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Oltre le parole

Un approccio relazionale alla Ricostruzione di conversazione autentica

“I mammiferi in generale, e noi uomini in particolare, si curano moltissimo non degli episodi, ma delle strutture delle loro relazioni.
Quando apro lo sportello del frigorifero e il gatto si avvicina emettendo certi suoni, esso non sta parlando del fegato o del latte, anche se so che è proprio quello che il gatto vuole. Posso esser capace di indovinare e dargli ciò che desidera. Ciò che il gatto dice, in realtà è qualcosa che riguarda la sua relazione con me”.1

Gregory Bateson

Introduzione

L’obiettivo di questo articolo è quello di fissare alcuni elementi, caratteristici della psicologia relazionale e in una prospettiva più ampia dell’ottica sistemica, che possono essere utili per avvicinarsi alla ricostruzione di conversazione autentica.

Il riferimento alla psicologia relazionale è dovuto al fatto che lavorando con brani di lingua autentica giungiamo inevitabilmente a contatto con fattori che esulano dal campo strettamente linguistico per collocarsi appunto nel campo di indagine della psicologia relazionale.

L’attività consiste nella presentazione agli studenti di un brano di lingua parlata, brano che viene estratto da un più esteso dialogo tra due o più interlocutori.2

L’aggettivo autentico viene qui inteso nel suo senso assoluto:

esiste infatti un’accezione assoluta del termine, secondo la quale un testo autentico è un testo prodotto da parlanti nativi per parlanti nativi quindi non un testo elaborato ad hoc per studenti di lingua.3

Parallelamente alla Ricostruzione di conversazione autentica esiste, (almeno nella mia pratica), una ricostruzione di conversazione che chiamerò artificiale. L’aggettivo artificiale sta ad indicare un brano ideato a tavolino e non prodotto all’interno di uno scambio comunicativo linguistico realmente avvenuto tra due o più interlocutori.

Vediamone due esempi:

a) conversazione artificiale

A: Senti un po’, è un’impressione mia o Carla ce l’ha con te?
B: Te ne sei accorto anche tu, eh?
A: Ma che le hai fatto?
B: Ma che ne so! Non mi saluta più, e ho saputo addirittura che va dicendo in giro peste e corna di me.

b) conversazione autentica

A: … Vorrei tornarci specialmente adesso…
B: Eh! (interrompendolo)
A:… così, anche per cercare di rivedere ancora il fratello, è relativamente più giovane, spero che stia abbastanza bene. Insomma ha sempre 73-74 anni.
B: Be’, insomma, ancora giovane.
A: Sì. È molto – era molto attivo. Adesso è in pensione, naturalmente, anche lui.4

Quali differenze possiamo rilevare tra le due? Le due conversazioni presentano elementi lessicali e morfosintattici interessanti e, senza da parte mia alcun dubbio, sono entrambe utili da un punto di vista didattico. La conversazione b) ha in più un elemento fonologico che si evince dalla registrazione, mentre nella conversazione a) è arbitrariamente assegnato dall’insegnante che la costruisce. La a) è complessa e varia e, a prima vista, sembra difficile poter dire che non sia stata realmente prodotta da due interlocutori.5 Sotto questo aspetto possiamo dire che rispetta un’accezione “vicaria” del termine autentica.6 Nella conversazione b) la complessità coincide con la sua autenticità, ed inoltre presenta nel suo svolgersi degli aspetti imprevedibili.

prevedibilità/imprevedibilità

Credo che questo sia l’elemento più evidente che sostanzialmente differenzia la conversazione a) dalla conversazione b). Per certi versi è come se a) seguisse una sua linearità. Un’altra differenza, come vedremo in seguito fondamentale, è che la conversazione b) ha una sua origine che manca invece nell’altra, dove per origine si intende il resto della conversazione che precede il brano scelto. In questo articolo quando parlo di Ricostruzione di conversazione autentica faccio naturalmente riferimento alla tipologia b). Dopo questa precisazione entriamo nel contenuto specifico con la seguente affermazione

io credo che mai potremo ricostruire completamente un brano di una conversazione autentica

Il termine “completamente” non significa solamente ripercorrere insieme agli studenti un percorso linguistico (lessicale, morfosintattico, fonologico) ma anche, e soprattutto, ripercorrere un sentiero emotivo e relazionale che ha condotto quelle persone a produrre quel brano. Una cosa è la struttura del linguaggio e della parola e una cosa è la comprensione delle intenzioni sottostanti ad una frase.

L’atto comunicativo linguistico è un atto unico, irripetibile, prodotto da un essere umano in un contesto, in un suo momento storico, in una relazione. Il non poter ricostruire completamente un brano mi porta ad affermare che una parte del lavoro che l’insegnante deve fare si deve basare su ipotesi. L’insegnante non deve essere interessato solo a ciò che è manifesto ma deve sviluppare l’abitudine di costruire ipotesi anche su ciò che non è visibile. Ho parlato di ipotesi in quanto è riconosciuto che la comunicazione umana si svolge contemporaneamente a livelli differenti, attraverso canali differenti, ma tutti con lo scopo di portare informazioni. I livelli diversi sono stati classificati come7:

i) uditivo-linguistico
ii) uditivo-paralinguistico
iii) non uditivo-paralinguistico (cinesica, prossemica, ecc.)
iv) contestuale

In assenza di una ripresa video potremo logicamente utilizzare solo i livelli i), ii), iv) lasciando alle nostre ipotesi il punto iii).

Non vorrei ora dilungarmi sulla importanza, a volte maggiore, della comunicazione iii) sugli altri canali. Basti pensare all’enorme carica comunicativa che ha per esempio un viso girato dall’altra parte nel momento in cui il canale uditivo-linguistico ci porta una richiesta di informazione o un semplice saluto. Dovendo scegliere, come riceventi, un livello da analizzare è molto probabile che, in una situazione del genere, analizzeremo il messaggio non verbale in quanto ci classifica quello verbale. Bateson8 ha rilevato come ci troviamo in enorme imbarazzo quando dobbiamo parlare con un non vedente non solo perché il suo handicap ci tocca emotivamente, ma soprattutto perché egli non fa giungere a noi attraverso gli occhi i messaggi di cui normalmente abbiamo bisogno, è come se la comunicazione verbale non ci bastasse più.

Tornando all’affermazione fatta in precedenza, in cui sostenevo che mai potremo ricostruire completamente un brano di una conversazione autentica, devo dire che se l’insegnante vive e sente questa impossibilità, questo limite, paradossalmente ha in mano la chiave per la più “completa” riuscita dell’attività.

La relazione

La filosofia e la psicologia si sono sforzate, a più riprese, nel tentativo di inquadrare la relazione in definizioni che ne cogliessero gli elementi caratteristici. Qui non voglio presentare un elenco di definizioni o di approcci, ma solamente cogliere alcuni aspetti che possono esserci utili per il nostro lavoro. Allora, disponiamo di una registrazione autentica e vogliamo presentare ai nostri studenti un brano di lingua parlata che ha colpito la nostra attenzione e che, per i suoi aspetti lessicali, morfosintattici, ecc., riteniamo utile per il progresso della classe.

Ascoltare una registrazione per scegliere un brano da ricostruire significa entrare in una relazione. Relazione, (dal latino referre-riferire9) significa modo, qualità del rapporto tra due parti, ognuna delle quali richiama direttamente o indirettamente l’altra. Quindi un aspetto costitutivo di una relazione è che non ci può essere relazione se non ci sono almeno due parti diverse e distinte da contrapporre e raffrontare.

Queste due parti distinte altro non sono che due sé. Attraverso il processo di differenziazione, elemento basilare di ogni processo evolutivo, arriviamo ad avere necessità di delimitare e riconoscete un non-sé, o, per usare un termine più “positivo”, un altro da sé. L’esistenza del sé sarebbe impossibile senza un altro da sé in posizione antitetica. Questo riconoscersi in posizione antitetica ad un altro da sé ci porta inevitabilmente a dare e cercare una definizione a tutte le relazioni a cui partecipiamo.

Un esempio: pensiamo ad una persona X che conosciamo, pensiamo un attimo al rapporto che abbiamo con lui/lei e proviamo a completare questa frase che chissà quante volte diciamo:

“Io con X ho un rapporto di… “.

Questo “di” ci costringe a dare una definizione della natura della relazione con X per poterla identificare nelle esperienze cognitive prima ancora di osservare nei particolari le sue qualità estrinseche.

L’esempio fatto in precedenza non deve però trarre in inganno, in quanto la definizione della relazione con X è mutabile nel corso del tempo, con questo voglio dire che dobbiamo togliere dall’esempio precedente ogni contenuto di staticità. Dare una definizione statica alle nostre relazioni vuol dire commettere un grossolano errore: non prendere in considerazione il fattore tempo.

Una relazione, un rapporto, acquistano un significato ben preciso se vengono messi in relazione con il tempo e lo spazio.

Questi due elementi ci danno la cornice in cui inquadrare una relazione.

Nell’ottica relazionale lo spazio non è inteso in senso fisico10 e come tale misurabile, ma come elemento metaforico che è caratteristico del modo di porsi in relazione con gli altri. Parlando dello spazio dobbiamo rilevare l’esistenza di uno spazio personale, inteso come territorio proprio, una sorta di delimitazione che protegge l’individuo ponendo contemporaneamente un limite fra sé e l’altro, e uno spazio interattivo, inteso come spazio in cui sono agiti gli scambi interpersonali, un territorio in cui si entra per “fare rapporto” e da cui si esce per rientrare nel proprio spazio personale.

Interessante per i nostri obiettivi è anche la dimensione temporale di una relazione, anche se è impossibile separare lo spazio dal tempo. Come per lo spazio, anche per il tempo si può distinguere un tempo personale ed un tempo interattivo, con il secondo si intende quel tempo vissuto dai membri della relazione come esperienza comune, che scandisce la relazione stessa. Credo sia esperienza abbastanza comune quella di collocare con difficoltà, a volte, il momento di inizio di una intima relazione di amicizia per esempio. Come se il tempo cronologicamente trascorso sia inferiore al tempo vissuto, l’espressione: “mi sembra di conoscerlo/la da una vita” è l’esempio più calzante di questo concetto.

Quindi esiste in pratica un aspetto qualitativo e un aspetto quantitativo del tempo11.

Allora ci sono rapporti e relazioni che nelle nostre esperienze quotidiane suddividiamo in base al segmento temporale in cui avvengono. Instauriamo rapporti in un segmento temporale molto ristretto, presupponendo che non ci sia una continuità, mentre altre relazioni si svolgono in più fasi, in più segmenti temporali e con spinte motivazionali diverse e che ci aiutano anche a definire la relazione.

Coinvolgersi emotivamente è possibile sia in un segmento temporale breve che in uno sviluppo temporale di maggiore durata. Tutta questa discussione sul tempo e lo spazio trova la sua utilità nel momento in cui ci avviciniamo per la prima volta ad una registrazione. Un primo livello di analisi è quella di domandarci: abbiamo a che fare con un rapporto che non ha una storia passata e che non presuppone una continuità? o abbiamo a che fare con una relazione instaurata da tempo e che possiede un patrimonio interazionale consolidato nel tempo?

Ritornando al discorso iniziale sulla relazione diciamo che una relazione diadica vede quindi due sé entrare in relazione e due definizioni della medesima entrare in contatto. Ma che cosa significa entrare in relazione con qualcuno? Lungi da me l’idea di definire qualcosa di molto sfaccettato e variegato, dico che entrare in relazione con qualcuno, stabilire un rapporto, significa, nel suo aspetto essenziale, scegliere delle parti dl sé da mettere in “gioco” nel rapporto.

Quanto più la relazione non è definita in precedenza, ed esempio persone che si conoscono per la prima volta, tanto più questa scelta è inevitabile. Due persone si conoscono: il parlare di qualcosa che riguarda la propria vita personale, familiare, è il movimento che approfondisce il livello di intimità tra le due persone. Se uno dei due comincia a parlare di “casa sua” sicuramente dice delle cose che sono più pertinenti alla sue sfera emotiva. Certi contenuti possono entrare a calibrare la relazione dopo due incontri in birreria e non possono entrare dopo due anni di conoscenza.

Nelle nostre esperienze quotidiane facciamo abitualmente scelte di questo genere, con alcune persone non andiamo oltre certi temi, certi contenuti, mentre con altre “rischiamo” altri contenuti meno superficiali che sono a contatto con nostre parti più intime e profonde.

Vorrei fare ora una digressione per evidenziare come la scelta di cui parlavo prima è fondamentale e sempre presente.

Prima dell’attività di Produzione libera orale diciamo agli studenti che siamo a loro disposizione per rispondere a qualsiasi domanda vogliano farci (come si dice una parola, qual è la forma verbale corretta, ecc.). Nella nostra pratica abbiamo notato che raramente gli studenti impegnati in una Produzione libera orale fanno “uso” dell’insegnante, e questo scarso utilizzo è ancora più marcato quando il tema della produzione libera riguarda loro stessi (sfera privata, lavoro, famiglia, aspettative, delusioni, speranze). Il mantenimento del rapporto, il non frazionarlo in vari segmenti poi fastidiosi da ricucire, è più importante dell’ostacolo linguistico, proprio perché si sta “giocando”, si sta tirando fuori una parte di sé.

Non esiste al momento uno studio su questo aspetto della interazione insegnante/studente, al momento attuale avanzo l’ipotesi che l’uso dell’insegnante come dizionario/grammatica da sfogliare è inversamente proporzionale alla qualità del rapporto instaurato con l’altro. Quanto più nella Produzione libera orale interpretano se stessi tanto meno la presenza dell’insegnante viene richiesta.

Tornando alla nostra registrazione di partenza possiamo quindi affermare che il tema, il contenuto, ci sta ad indicare qualcosa del livello di intensità della relazione. Questo credo sia il secondo livello di analisi che possiamo fare quando ci avviciniamo ad una registrazione autentica. La domanda che dobbiamo porci è: quali parti del sé queste (due) persone hanno scelto in questa conversazione?

A riprova di questo posso dire che, mediamente, le registrazioni autentiche che riscuotono un interesse maggiore tra gli studenti sono quelle in cui i partecipanti raccontano storie personali, fatti passati che li hanno coinvolti. Se esiste una categoria di registrazioni di “successo” personalmente le identifico in tutte quelle registrazioni in cui i partecipanti si toccano e si prendono, dove l’incontro, la relazione, è vissuta come un momento reciproco di arricchimento; dove l’altro non viene percepito come un intruso la cui funzione è unicamente quella di porre domande; dove esiste realmente un interscambio in cui l’offrire e il ricevere si intersecano.

Al contrario le registrazioni che lo studente ascolta distrattamente sono quelle in cui il contenuto è rappresentato da sterili discussioni senza una sentita partecipazione, o quelle in cui gli interlocutori stanno unicamente eseguendo un compito richiestogli da altri, in cui l’interazione con l’altro è solamente funzionale ad un favore chiesto. E lo studente, facendo leva sulle sue cognizioni e percezioni che esulano da abilità linguistiche “capisce” e “sente” la vicinanza o la distanza emotiva dei partecipanti.

Contenuto e relazione

Dopo aver esaminato a grandi linee la relazione, passiamo ora ad esaminare che cosa succede pragmaticamente quando due persone interagiscono. Nell’introduzione ho parlato di come la comunicazione umana si volge contemporaneamente a diversi livelli e di come il codice linguistico non sia l’unico trasmettitore, non comunichiamo solo con le parole ma anche attraverso un codice analogico. Il canale non uditivo paralinguistico ci porta costantemente un numero molto alto di comunicazioni che molto spesso mettiamo in secondo piano per concentrare la nostra attenzione al canale uditivo-linguistico.12

Nell’ottica relazionale esiste un assioma meta-comunicazionale che, in breve, dice che evitare di comunicare è impossibile13, scambiamo comunicazioni con il nostro prossimo attraverso vari canali, attraverso la combinazione dei medesimi e anche attraverso il contesto in cui l’interazione avviene. Il silenzio è forse l’esempio più evidente di questa impossibilità di non-comunicare, se due persone si trovano nella stessa stanza senza parlare tra di loro probabilmente si stanno comunicando di non voler instaurare un rapporto a livello verbale, si stanno comunicando che non vogliono in quel contesto, in quel momento, approfondire o cominciare una relazione a livello verbale. Bateson scrive che lo zero, cioè l’assenza completa di ogni evento indicativo può essere un messaggio:

la lettera che non scriviamo, le scuse che non porgiamo, il cibo che non mettiamo fuori per il gatto possono essere tutti messaggi sufficienti ed efficaci, poiché zero può aver significato in un contesto; il contesto lo crea chi riceve il messaggio.14 (il neretto è mio)

Quindi sinteticamente possiamo dire che tutti i comportamenti di due o più individui in un contesto sono comunicazione e, siccome il comportamento non ha un suo contrario (non esiste un non-comportamento), è impossibile non comunicare. In una prospettiva relazionale la comunicazione tra individui è equivalente a tutto ciò che è osservabile nell’interazione stessa.15 Quando due persone interagiscono, la maggior parte della loro comunicazione (intesa nella sua accezione più ampia) si basa sulla definizione che le due persone danno della loro relazione. Bateson16 afferma che qualsiasi enunciato da A à B non sarà da questo ultimo accettato passivamente, ma è molto probabile che B dedichi alcuni momenti per rispondere alla domanda: “Che cosa significa per la mia relazione con A che A mi dica questo?”.

La caratteristica prevalente della comunicazione (sempre nella sua accezione più ampia) è di fondarsi principalmente sulla relazione e sulle definizioni della medesima. Gli studiosi e i teorici della comunicazione riscontrarono che in ogni comunicazione verbale sono sempre presenti due elementi di informazione, e cioè l’aspetto di contenuto l’aspetto di relazione.

Watzlawik, ed altri, espongono questi due concetti in modo molto chiaro facendo riferimento al mondo dei calcolatori17:

se un calcolatore deve moltiplicare due cifre, bisogna dargli questa informazione (le due cifre) e l’informazione su tale informazione (che cosa ci deve fare): il comando moltiplicale. È chiaro che le istruzioni sono meta-informazioni perché sono informazioni sulle informazioni.

Proverò ora a dare una esemplificazione pratica di questi due concetti. Da una registrazione autentica ho estratto il seguente brano:
A: Decidiamo se darci del “tu” o del “lei”
B: Come vuole.
A: È sempre un mio problema.
B: È sempre un suo problema, guardi, le dirò che io sono un timido e l’approccio col prossimo, proprio sempre, mi è un pochino difficoltoso.18

Alcune informazioni preliminari: A è una ragazza, età ipotizzata 20-25 anni; B è un uomo, professore in una scuola superiore, collaboratore dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, età ipotizzata 60-65 anni (non di più perché altrimenti sarebbe in pensione). È la prima volta che le due persone si conoscono.

Analizziamo ora le battute:

A1 – Decidiamo se darci del “tu” o del “lei” definisco la relazione come paritaria, propongo un negoziato sullo stile comunicativo
B1 – Come vuole non accetto il negoziato, non è una relazione tra pari, io ho già scelto lo stile comunicativo
A2 – È sempre un mio problema ho capito che hai già deciso, sto cercando di giustificare il mio avvicinamento di prima, definisco ora la relazione come una relazione di aiuto, riconosco il gap generazionale
B2 – È sempre un suo problema, guardi le dirò che io sono un timido e l’approccio col prossimo, proprio sempre, mi è sempre un pochino difficoltoso ho ricevuto la definizione di aiuto, visto che hai riconosciuto la differenza generazionale cerco di metterti a tuo agio definendomi “timido” sottolineo la scelta dello stile

Con l’enunciato A1 la ragazza tenta un avvicinamento proponendo una definizione della relazione paritaria, con B2 l’uomo riporta la distanza dandole del “lei”, e contemporaneamente non accetta il negoziato (un modo per accettarlo sarebbe stato una risposta del tipo: “d’accordo”), questo anche perché la giovane che propone il passaggio al “tu” esce un po’ fuori dalle regole formali dell’interazione.

Si potrebbe obiettare che la ragazza non ha detto di voler usare il “tu”. Questo è evidente a livello di messaggio verbale, ma a livello di relazione dobbiamo notare che in assenza di un esplicito accordo è una regola sociale accettata che il registro formale sia quello di inizio, specialmente tra due sconosciuti. Come in una partita di calcio le due squadre partono dal risultato di 0-0, (quindi dal segno X per gli scommettitori del totocalcio) se nessuna delle due squadre attacca il risultato non si modificherà e il segno X persisterà.

La battuta B1 è a mio avviso una risposta al livello di relazione del messaggio A1.

Un altro esempio:
A: In genere quelli più grandi di me non mi piacevano.
B: Io credo che anche tu piaccia a persone più giovani.
A: Mah, sai, io…
B: Cioè tu sei un tipo che piace alle persone più giovani, anch’io debbo dire…
A: A me interessa più chi piace a me non a chi piaccio io, non ho mai capito perché…
B: Chiaramente deve piacere a te per smuovere, così… l’entusiasmo la fantasia, … giusto è vero … sì però è importante suscitare delle simpatie, no? che dici?19

(la trascrizione del brano non rende la ricchezza di sfumature nel tono della voce, nelle pause, negli accenti, tutte cose essenziali per il nostro lavoro di “ricostruttori”).

Vediamo ora di scomporre le battute

A1 – In genere quelli più grandi di me non mi piacevano
B1 – Io credo che anche tu piaccia a persone più giovani definisco questa relazione nei termini: “tu sei una persona che piace”, che è equivalente a dire “tu mi piaci”, propongo una relazione che potrebbe andare oltre questo momento
A2 – Mah, sai, io… [a bassa voce, non sapendo cosa dire] sono imbarazzata da questo complimento, questa definizione mi coglie alla sprovvista
B2 – Cioè tu sei un tipo che piace alle persone più giovani, anche io debbo dire che… ripeto il complimento, io mi pongo nei tuoi confronti come una persona che ti offre la sua amicizia
A3 – [interrompendola] A me mi interessa di più chi piace a me non a chi piaccio il [ridendo], non ho mai capito [il] perché… definisco la nostra relazione come limitata a questo contesto, io mi definisco come una persona che “sceglie” e non che si fa scegliere
B3 – [con tono duro] Chiaramente deve piacere a te per smuovere così, l’entusiasmo… [ecc.] non volevo spingere così avanti la mia offerta

Alcune informazioni preliminari: A una donna di 59 anni, B una donna di 52. Devo dire che ascoltando questa conversazione la battuta che ha colpito la mia attenzione è stata A3, in quanto sembra veramente fuori posto, e, come fa notare l’altra con B3, evidentemente logica e scontata.

Un’altra per così dire “stranezza” di A3 che è stata pronunciata con un tono molto duro e non in armonia con il tono rilassato del resto della conversazione. La “stranezza” di A3 sta nel fatto che lei non sta rispondendo ad un complimento ripetuto (avrebbe potuto rispondere “grazie”) con B1 e B2, ma sta rispondendo ad una definizione della relazione che sta per lei diventando troppo intima.

Interrompendo l’altra con A3 è come se bloccasse la definizione data da B, e la risata finale ha la funzione di attenuare la portata emotiva, e la durezza, della comunicazione verso B.

Non avendo il supporto visivo delle immagini attraverso una ripresa video possiamo lavorare ipotizzando le medesime almeno nei momenti più interessanti. Per esempio la battuta B2 è possibile associarla ad un movimento fisico di avvicinamento, ad esempio sporgendosi con il busto verso l’interlocutore, o spostando la sedia, così come possiamo associare la battuta B3 con un movimento fisico di allontanamento, come un tirarsi indietro.

Qui ritorna evidente l’importanza del messaggio non verbale, del canale non-uditivo paralinguistico di cui parlavamo all’inizio, e di come in una comunicazione il livello verbale e non verbale debbano essere congruenti.

Tra l’aspetto di contenuto e l’aspetto di relazione di un messaggio verbale esiste una relazione gerarchica20, in quanto l’aspetto di relazione costituisce il contesto in cui bisogna interpretare il significato e la funzione dell’aspetto di contenuto. In questo senso possiamo dire che l’aspetto di relazione classifica l’aspetto di contenuto.

L’aspetto di relazione di un messaggio verbale è strettamente connesso con il contesto in cui la comunicazione avviene. Credo sia ormai acquisito e riconosciuto da tutti il concetto secondo cui un messaggio prende un significato in riferimento al contesto di appartenenza.

Per Bateson il contesto è necessario per la descrizione di qualsiasi processo:

il contesto è legato ad un’altra nozione non definita che si chiama ‘significato’. Prive di contesto le parole e le azioni non hanno alcun significato. Ciò non vale solo per la comunicazione umana ma per qualunque comunicazione…21

Il significato di un messaggio è quindi strettamente dipendente dal contesto in cui avviene, qui si innesta il grande significato che la comunicazione paralinguistica possiede. Infatti molte volte il tono della voce di un messaggio verbale ci rappresenta il contesto in cui interpretare il contenuto del messaggio medesimo.

A che cosa prestiamo più attenzione quando un interlocutore ci manda un messaggio verbale del tipo: “Ah, interessante”, detto con tono distratto e disinteressato? In una esperienza comunicativa come questa sarà il tono a classificarci il contenuto, e a darci l’aspetto di relazione della comunicazione.

Questo esempio ci ripropone come il canale uditivo-linguistico veicola dei messaggi che molte volte sono classificati e decodificati dal ricevente (a livello di relazione) dai canali uditivo-paralinguistico e non-uditivo paralinguistico.

Nel lavoro preliminare sulla nostra registrazione dobbiamo prestare molta attenzione a tutti quegli elementi paralinguistici (risate, gemiti, brontolii, modulazioni del tono, ecc.) che sono apportatori di un grande numero di informazioni sulla natura della relazione in corso.

Due parole ancora sulla nozione di contesto. Per molto tempo il contesto è stato trattato, e a volte lo si considera tuttora, come unicamente lo spazio fisico in cui avviene una comunicazione, spazio fisico che prescinde dalla relazione in atto. In pratica il contesto fisico veniva considerato come una parte della cornice a cui fare riferimento per analizzare la comunicazione.

Ad esempio una registrazione in un negozio è facilmente inquadrabile dal punto di vista relazionale perché il contesto ci è dato dallo spazio fisico in cui avviene il tutto, e in cui le regole generali ci sono già date. Ma lavorando con materiale autentico ci troviamo spesso a contatto con registrazioni in cui non esiste un contesto fisico così predominante, registrazioni in cui gli interlocutori sono comodamente seduti davanti ad una tazza di caffè parlando del più e del meno.

Questi interlocutori costruiscono contingentemente il contesto confermandolo o ridefinendolo continuamente, e quindi confermando o ridefinendo la loro relazione. Possiamo dire che quanto più un contesto non è strutturato in partenza tanto più la relazione tende a definirlo.

Un esempio. Abbiamo il seguente scambio linguistico:

A: Senti, ma che fai tu qui?
B: Mah,… cosa faccio nella vita?22

Sappiamo dalla presentazione che i due interlocutori (Teresa e Renato) è la prima volta che si incontrano e che si conoscono, il compito loro dato dagli autori era stato quello di parlare liberamente e senza un canovaccio. La domanda di Teresa mette Renato nella condizione di non capire bene il significato relazionale della stessa, in quanto fuori del contesto a cui egli era preparato, è da notare che è soprattutto la parola “qui” a fornire questa incongruenza.

La risposta di Renato non è altro che il tentativo di ridefinire il contesto comunicativo, probabilmente Renato si sarà domandato:

“perché questa persona mi fa questa domanda se siamo qui tutti e due per lo stesso motivo?”

Dalla conversazione che precede questo breve scambio sappiamo che Teresa voleva indicare con la parola “qui” l’idea “qui a Roma”. Questo esempio ci fa capire come è sempre chi riceve il messaggio che crea il contesto.

Concludendo questa parte sul contenuto e la relazione possiamo dire che quanto più la conversazione non è strutturata (ad esempio conversazioni in cui i partecipanti sono colleghi, amici, familiari, ecc.) tanto più il contenuto non può scindersi dalla relazione. Nel nostro lavoro di preparazione di questa attività dobbiamo cercare di lavorare su entrambi gli aspetti, e, conseguentemente, cercare per quanto ci è possibile di trasmettere le nostre informazioni agli studenti.

Dobbiamo comunicare sulla comunicazione. È chiaro che questo lavoro presenta minore difficoltà se viene svolto con studenti avanzati, ai quali possiamo riferire le nostre impressioni, le nostre ipotesi, sulla relazione in atto, facendo riferimento al codice linguistico.

Comunque, in ogni caso, è doveroso che gli studenti prima di cimentarsi in una Ricostruzione di conversazione autentica abbiano ascoltato la registrazione da cui abbiamo estratto il brano.

Questo credo sia il minimo che i nostri studenti debbano pretendere.

Punteggiare la relazione

Se riceviamo una lettera completamente priva di punteggiatura (virgole, punti, ecc.) probabilmente avremo una duplice reazione. Una prima di “rabbia” verso lo scrivente e una seconda che ci vedrà impegnati nel mettere noi stessi una qualche forma di punteggiatura.

Questa seconda operazione sarà per noi inevitabile ed indispensabile, e soddisferà il bisogno di regolare il flusso delle informazioni. Sarà inoltre molto probabile che, se lo scrivente appartiene alla nostra stessa cultura, adotteremo un codice conosciuto anche al nostro ipotetico corrispondente.

Nella comunicazione e nelle situazioni interazionali che ci vedono nelle vesti di protagonista o di osservatore compiamo esattamente la stessa operazione, conferiamo cioè un ordine agli eventi, organizziamo e strutturiamo i medesimi tramite una operazione di punteggiatura23. Punteggiare significa mettere un “prima” e un “dopo”, significa dare la spiegazione di un fatto attraverso dei nessi causali.

Un modo di punteggiare il flusso degli eventi e di dare loro una organizzazione è quello che vede l’evento X e l’evento Y in serie alternata, in modo tale che l’evento X sia causa dell’evento Y che a sua volta sarà causa dell’evento X2, e così via… Questo modo di punteggiare una sequenza interazionale si basa sul presupposto (sarebbe più corretto dire su di una epistemologia) che vede gli eventi legati tra di loro da una causalità lineare. Una visione lineare e unidirezionale, da uno stato all’altro, dal passato al presente, dalla causa all’effetto24. Veniamo da secoli di pensiero causale lineare e unidirezionale, in cui la nostra esperienza del mondo fisico, le nostre tradizioni, le nostre convinzioni, sono state influenzate dal pensiero lineare. È facile trovare esempi a prima vista evidenti in cui gli eventi sono visti in una relazione di causa-effetto.

Il punto in cui il pensiero causale si arresta coincide con l’aspettativa di comprendere gli eventi e i fenomeni tramite una loro atomizzazione in parti, un secondo limite risiede nella enorme quantità di informazioni che così facendo si vanno a perdere, ogni scomposizione in parti comporta anche la distruzione dei nessi, dei collegamenti. La causalità lineare, inoltre, taglia fuori il concetto di retroazione secondo il quale ogni evento dà origine ad una risposta che proprio per il suo accadere torna indietro divenendo essa stessa causa di un’altra interazione.

Il sistema causa-effetto mostra evidenti limiti quando andiamo ad analizzare il linguaggio in quanto è un modo di pensare troppo riduttivo e soprattutto che non produce conoscenza. Il linguaggio, in quanto prodotto da esseri viventi, non si riduce solamente alla sequenza: fare una domanda – ricevere una risposta, poiché sia nella domanda che nella risposta sono presenti i due soggetti, con le loro storie, con le loro aspettative sia nei confronti della domanda che nei confronti della risposta.

Nell’analizzare il linguaggio autentico ci imbattiamo in una complessità per cui la causalità lineare non ci serve a niente, non ci aiuta a comprendere una complessità che va oltre quello che “ascoltiamo”. Nell’avvicinarsi alla Ricostruzione di conversazione autentica proviamo allora ad adottare una visione degli eventi che si poggia su di una visione circolare degli eventi stessi, in cui i due dialoganti si influenzano reciprocamente, in cui tutti gli elementi del processo si muovono in consonanza.

Proviamo a dare un esempio di visione circolare o di causalità circolare. Per padroneggiare la Ricostruzione di conversazione è necessario un allenamento, quante più conversazioni l’insegnante ricostruirà tanto più diventerà esperto e abile. Per gli studenti avviene la stessa cosa, quante più conversazioni faranno tanto più diventeranno abili e “veloci”25. Una punteggiatura lineare vedrà l’interazione insegnante/studenti nel seguente modo: l’insegnante ha addestrato gli studenti che sono diventati sempre più abili.

Ma il quesito che dobbiamo porci è questo: i nostri studenti sono diventati abili perché noi li abbiamo addestrati? Oppure noi siamo diventati abili perché gli studenti ci hanno addestrato?26

In una visione circolare gli studenti effettuano l’allenamento sugli insegnanti contemporaneamente all’allenamento al quale sono da loro sottoposti.

In una tale organizzazione qualsiasi comportamento è al tempo stesso causa-effetto in rapporto a tutti gli altri comportamenti in quel contesto. Questa strutturazione della Ricostruzione di conversazione e di tutta la situazione didattica in generale, è una strutturazione circolare o ricorsiva. Un osservatore (insegnante) che osserva (ascolta/vede) uno scambio interazionale (la conversazione) può punteggiare il flusso degli eventi in modo tale che sembrerà che l’uno o l’altro abbia preso l’iniziativa, o che si trovi in una posizione di sudditanza, o che sia il trainante della conversazione. Può etichettare uno dei partecipanti come “attivo” e l’altro come “passivo”.

Ma, a pensarci bene, è difficile stabilire quale dei due soggetti viene per primo, o quale sarebbe il ruolo e la posizione di uno se non ci fosse l’altro. È la passività del primo che causa l’attività del secondo o è la troppa attività del secondo che fa sì che il primo assuma una posizione più passiva?

Da dove partire?

Immaginiamo di guardare attraverso un ipotetico buco. Attraverso esso vediamo un bambino che sta fermo in piedi, ma ogni tanto, con cadenza abbastanza regolare lo vediamo compiere un salto sul posto. Non vediamo i suoi piedi e non sappiamo perché improvvisamente salti. Possiamo dare una spiegazione a questo comportamento associandolo ad uno di quegli strani giochi con compagni immaginari che solo i bambini sanno fare. Se il nostro buco lentamente si allarga possiamo inserire nella scena originaria un altro bambino, e poi un altro ancora, e così via.

Tutti i bambini sono impegnati in un gioco in cui a turno devono saltare una corda fatta girare da un altro bambino al centro del gruppo. L’allargamento del buco d’osservazione ci ha permesso di avere una visione di insieme di tutto il campo, e ci ha permesso di inserire quel comportamento che avevamo definito “strano” all’interno di un gioco, con delle regole ben stabilite e con la presenza di altri partecipanti. Ogni qualvolta ci troviamo di fronte ad un segmento comunicativo, ad un enunciato “strano” dobbiamo operare nello stesso modo.

Una volta scelto il pezzo dobbiamo allargare progressivamente il “buco” e lasciar entrare il prima e il dopo. Questo lavoro di allargamento del campo di analisi è utile quando la difficoltà risiede nell’inizio, nel primo enunciato da ricostruire. Vediamo un esempio:

A: Lo conosce bene, ci va lei
B: Eh, sono tanti anni che non ci vado, infiniti anni, ero giovane insomma
A: Peccato!27

Una delle difficoltà che si possono incontrare nella ricostruzione di questo brano risiede nel fatto che l’inizio è di non facile collocazione, la domanda che come insegnanti molto spesso ci poniamo è: “Come faccio a portare gli studenti al primo enunciato?”.

Allarghiamo il campo e abbiamo:

B: Sì, è bella, c’è un bellissimo lago che si chiama il Worther See
A: Lo conosce bene, ci va lei
B: Eh, tanti anni che non ci vado, infiniti anni, ero giovane insomma
A: Peccato!

Se nel primo scambio la difficoltà “tecnica” era il pronome “lo” ora la difficoltà è la risposta affermativa “sì”. A che cosa sta rispondendo?

Allarghiamo ancora di più:

A: Bella deve essere quella parte lì
B: Sì, è bella, c’è un bellissimo lago che si chiama il Worther See
A: Lo conosce bene, ci va lei

Il problema si è di nuovo spostato, come una scatola cinese più ne apriamo una più ne troviamo dentro un’altra. Cerchiamo di dare una collocazione all’aggettivo “bella”, allarghiamo ancora:

B: Non stava a Vienna28, stava in una piccola cittadina, verso l’Italia e la Jugoslavia, in Carinzia
A: Bella deve essere quella parte lì, ecc.

Un altro esempio:

A: No perché io… no io se ricordo bene sono stato mi pare una volta là29, e non mi aveva molto soddisfatto, trovavo un sacco di cose ma… voglio dire, diciamo, almeno per i miei interessi non c’era molto.30

Una delle difficoltà di questo enunciato sta proprio nelle prime due parole, come spiegare agli studenti la funzione comunicativa di quel: “No perché”, e soprattutto perché la persona in questione lo usa? Il nucleo di tutto questo enunciato mi sembra essere, con una dovuta traduzione “la libreria in cui tu lavori non mi aveva molto soddisfatto” e cioè l’esprimere un giudizio negativo. Una possibile spiegazione di: “No perché” possiamo darla solo se andiamo indietro, esattamente a due minuti prima.

Infatti abbiamo:

A1: E lavori qui a Roma?
B1: Adesso sì, lavoro qui
A2: Dove lavori?
B2: Lavoro in una libreria
A3: Ah, interessante. Dove?
B3: Alla libreria inglese, alla Lion
A4: Mi pare si trova…
B4: Via del Babuino
A5: Sì, sì, sì, via del Babuino, perché sono andato una sola volta in questa…
B5: [interrompendolo] No, io ho insegnato per due anni, ho provato ad insegnare… [B prosegue parlando di questa sua esperienza lavorativa]

L’ipotesi che possiamo formulare è che già con l’enunciato A5 il soggetto volesse esprimere il suo giudizio negativo sulla libreria in questione, il cambio di argomento effettuato con l’enunciato B5 lo costringe a mettere per un attimo da parte questo giudizio e ad esprimerlo ben due minuti dopo. Nel seguito della conversazione A s’informa sull’orario di lavoro di B, sull’organizzazione della libreria, da chi è gestita, le sue finalità.

Ma perché A introduce il suo giudizio negativo con l’espressione “no perché”? Sono state fatte due ipotesi circa la “traduzione” di “no perché” in questo contesto.

1) “Ti ho fatto tutte queste domande perché io sono stato in questa libreria, ecc.”.
2) “Non pensare che ti abbia fatto queste domande senza alcun motivo, perché io sono stato una volta in questa libreria, ecc.”.

Se noi non facciamo riferimento a quello che è successo in quei due minuti precedenti ci resta difficile formulare una ipotesi circa il perché di quella scelta linguistica. Il processo di allargamento del campo di analisi dovrebbe avvenire all’indietro, verso il passato, e in avanti verso il futuro. Vediamo un esempio grafico. Disponiamo di una registrazione autentica della durata di 4-5 minuti e localizziamo il pezzo che vogliamo ricostruire a N minuti dall’inizio. La nostra analisi relazionale e linguistica dovrà essere indirizzata prevalentemente alla parte che precede il brano da ricostruire, e quindi, ma non di minore importanza, alla parte che la segue. Come se la sezione da ricostruire rappresentasse il presente, la parte che la precede il passato (l’origine), e la parte che la segue il futuro.

Il pezzo precedente (il passato) lo dobbiamo usare come un prezioso serbatoio dal quale attingere una grande quantità di informazioni, un serbatoio dal quale attingere gli stimoli per formulare ipotesi che nel pezzo seguente (il futuro) trovano la loro conferma. Nel serbatoio del passato possiamo trovare la chiave per meglio comprendere una scelta che ci può risultare inspiegabile (una frase non completata, un argomento non terminato, l’intenzione di portare il contenuto della conversazione su di un binario piuttosto che su di un altro). Nei serbatoio del futuro possiamo trovare la conferma o meno di quanto nel passato si andava costruendo. Paradossalmente diciamo che in sede di preparazione la parte che meno ci deve interessare è il brano da ricostruire.

Quanto più ci concentriamo e lavoriamo sul passato e sul futuro tanto più le informazioni che potremo dare saranno ricche e il brano che vogliamo ricostruire diventerà facile.

Insegnante/Brano da ricostruire: una relazione difficile

In conclusione vorrei trattare della relazione che forse ci interessa di più, in quanto nelle sue caratteristiche essenziali si ripresenta ogni qual volta vogliamo ricostruire una conversazione autentica. Quando vediamo un film, vediamo le immagini scorrere davanti a noi e ci è fastidioso entrare in un punto qualsiasi, a film già iniziato. Nella Ricostruzione di conversazione dovrebbe vigere la stessa esigenza, quello che dobbiamo cercare non è tanto la fotografia di un momento, (A1/B1/A2/B2) quanto semmai un filmino, ovvero sia una ipotesi di movimento di immagini che non siano fissate in un’immagine sola che le congela.

Quindi il nostro primo obiettivo è quello di dare un movimento a una storia che può sembrare statica. Il punto importante è dove sta l’insegnante, cioè se anche l’insegnante è in movimento allora anche la storia che ascoltiamo o vediamo lo è.

Un insegnante che si siede e si blocca probabilmente blocca e fa sedere anche la storia, la sua mobilità è il permesso che può garantire che la storia non stia fissa, a immagini fisse, a immagini riduzionistiche.

Si può obiettare che tutto questo lavoro preliminare sia in qualche modo superfluo ai fini del risultato, e che comunque possiamo ricostruire una conversazione autentica senza dover complicare e complicarci la vita.

Una delle difficoltà maggiori che incontriamo nello svolgere questa attività è l’ansia di non riuscire a soddisfare gli studenti, con grave danno, soprattutto, della nostra immagine. Molte volte la strategia a cui si ricorre per ridurre questo disagio consiste nell’accelerare i tempi di attuazione della ricostruzione, questo perché prima usciamo da questo terreno delicato prima la nostra ansia di riuscita si placa. Nasce così la figura dell’insegnante maniacale, il quale deve “fare” a tutti i costi, deve arrivare a tutti i costi al termine degli enunciati da ricostruire.

Così facendo, oltre a rendere un cattivo servizio didattico allo studente, l’insegnante rinforzerà in se stesso la convinzione che la Ricostruzione di conversazione autentica è realmente un terreno delicato, uno spazio in cui la sua immagine può seriamente essere messa in discussione.

Un modo a mio avviso per superare questo impasse consiste nel costruire insieme agli studenti il maggior numero possibile di informazioni sulla registrazione ascoltata. Se diamo una risposta semplice, breve, causale, tendiamo a ridurre il livello di ansia che molto spesso ci accompagna in questa attività. Ma la riduzione dei livelli di ansia ci porta a ridurre i livelli di informazione che possiamo offrire agli studenti. Allora la riduzione dei livelli di ansia non va d’accordo con l’aumento dei livelli di informazione. L’aumento dei livelli di informazione è proporzionale all’aumento dell’analisi. Tante più informazioni noi diamo intorno ad un oggetto tanto più complessa alla fine risulterà la comprensione di quell’oggetto.

Ma al di là di ogni discorso teorico credo che il modo più proficuo di svolgere questa attività sia quello di introdurre sempre l’idea che è un “gioco”. Perché se uno prende le cose troppo sul serio rischia di renderle troppo statiche. Essendo statiche non si muovono.

Bibliografia

Bateson G. (1976 Ed. it.)Verso un’ecologia della mente, Adelphi: Milano.
Bateson G. (1984 Ed. it.) Mente e natura, Adelphi: Milano.
Cronen V.E., Johnson K.M., Lannamann J.W., (1983 Trad. it.) “Paradossi, doppi-legami e circuiti riflessivi: una proposta teorica alternativa”, in Terapia familiare n. 14.
Humphris C., Luzi Catizone R., Urbani S., (1985) Comunicare meglio, Bonacci: Roma.
Urbani S., (1988 Ed. it.)Senta, scusi..., Bonacci: Roma.
Watzlawick P., Beavin J., Jackson D.D., (1971 Ed. it.) Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio: Roma.
Watzlawick P. (1976 Ed. it.) La realtà della realtà, Astrolabio: Roma.
Watzlawick P., Weakland J.H., (1978 Ed. it.) La prospettiva relazionale, Astrolabio: Roma.

Note

Nota 1. Bateson (1976). Back to text
Nota 2. Urbani ha dato una chiara ed esauriente descrizione dei presupposti metodologici e delle modalità ottimali per la sua esecuzione nel Bollettino Dilit, 1982 n. 1Back to text
Nota 3. Urbani (1988). Back to text
Nota 4. Humphris et al. (1985). Brano estratto dalla Lezione 3, Attività 3. Back to text
Nota 5. Esiste naturalmente una varietà infinita di conversazioni artificiali che possiamo collocare in una ipotetica scala dove i due poli sono una minore o maggiore autenticità “vicaria”. Back to text
Nota 6. Urbani (1988). Back to text
Nota 7. Sluzji C. E., Beavin J., “Simmetria e complementarità”, in Watzlawick e Weakland. Back to text
Nota 8. Bateson (1976) pagine 408-409. Back to text
Nota 9. Il nuovo Zingarelli, vocabolario della lingua italiana, (1983) Zanichelli. Back to text
Nota 10. Non dobbiamo dimenticare che esiste anche una dimensione culturale e sociale nella distanza/vicinanza come problema preliminare in una relazione. Back to text
Nota 11. Per i concetti relazionali “spazio” e “tempo” devo le spiegazioni a mautrizio Andolfi, corso di psicologia relazionale 1985/87, Istituto di Terapia Familiare, Roma. Back to text
Nota 12. Questo è vero in modo particolare per un osservatore esterno, che concentra la sua attenzione al messaggio verbale, mentre i partecipanti alla relazione sono reativi a tutti i messaggi ricevuti. Back to text
Nota 13. Una maggiore panoramica sugli assiomi della comunicazione e su alcune implicazioni pratiche si può trovare in Watlawick et al. (1971) che pur avendo subito un inevitabile invecchiamento rimane un accettabile punto di partenza. Back to text
Nota 14. Bateson (1984). Back to text
Nota 15. Watzlawick P., Beavin J., “Alcuni aspetti formali della comunicazione” in Watzlawick P., Beavin J., Jackson D.D. (1971). Back to text
Nota 16. Bateson (1976). Back to text
Nota 17. Watzlawick P., Beavin J., Jackson D.D., “Tentatativi di fissare alcuen assiomi della comunicazione” in Watzlawick P., Beavin J., Jackson D.D. (1971).Back to text
Nota 18. Humphris et al. (1985), brano estratto dalla Lezione 2, Attività 2. Back to text
Nota 19. Humphris et al. (1985), brano estratto dalla Lezione 23, Attività 1. Back to text
Nota 20. Negli ultimi anni il modello che prevede unicamente questi due livelli della comunicazione in posizione gerarchica sta lasciando il passo ad una visione più complessa, a più livelli, e con la possibilita dell’influenza reciproca. A chi è interessato consilgio Cronen et al. (1983). Back to text
Nota 21. Bateson (1984). Back to text
Nota 22. Humphris et al. (1985), brano estratto dalla Lezione 6, Attività 1. Back to text
Nota 23. la maggior parte dei conflitti interpersonali ha como nodo il diverso modo di punteggiare gli eventi, noi non vediamo fatti diversi dal nostro prossimo, ma vediamo in modo diverso il loro ordine, la loro sequenza. la punteggiatura è l’essenza della seuente barzelletta: un uomo arriva in paradiso e incontra un vecchio amico, seduto e con in grembo una giovane bellissima e sensuale: “E’ davvero il paradiso” dice il nuovo venuto, “lei è il tuo premio?” “No” risponde il vecchio con tristezza “io sono la sua punizione”. Watzlawick (1976). Back to text
Nota 24. In una visione lineare la causa di un evento è sempre collocata nel passato e l’effetto nel futuro. A tal proposito vorrei proporre un quesito: l’interesse io il non-interesse del lettore verso questo articolo è l’effetto provocato dal contenuto del medesimo? (contenuto = causa); oppure la mia aspettativa circa un auspicabile interesse del lettore è la cuasa che ha provocato in me il desiderio di scriverlo? (auspicato interesse = causa). Con la seconda parte del quesito ha collocato la causa nel futuro e l’effetto nel passato. Back to text
Nota 25. È evidente la differenza esistente tra uno studente che già conosce le modalità di attuazione dell’attività e uno studente nuovo, molto spesso accade che lo studente snuovo rimane in silenzio la prima volta che si cimenta in questa attività. Back to text
Nota 26. Quando facciamo il “coro”, cioè la ripetizione dell’enunciato da parte di tutta la classe insegannte compreso, la velocità di esecuzione è la nostra? la loro? o una strana media tra le due? Back to text
Nota 27. Humphris et al. ((1985), brano estratto dalla Lezione 7 Attività 1. Back to text
Nota 28. La difficoltà si è di nuovo spostata, adesso diventa interessante andare a vedere perché è stata introdotta la città Vienna come elemento fondamentale per poter arrivare alla ricostruzione del nostro enunciato di partenza. Back to text
Nota 29. là = la libreria in cui lavoar l’interlocutore. Back to text
Nota 30. Humphris et al. (1985), brano estratto dalla Lezione 7 Attività 1. Back to text