La Ricostruzione di conversazione in Russia, ovvero: “È possibile giocare a calcio sul ghiaccio?”
Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’articolo di Roberto Ricci che pone una questione fondamentale che interesserà sicuramente molti dei nostri lettori , i quali, se vogliono dire la loro, invito a scriverci. Sia se insegnano in Russia sia se insegnano altrove. Pubblicheremo i contribuiti più interessanti. [Redazione: Christopher Humphris]
In questo articolo cercherò di sollevare un dibattito sulla Ricostruzione di conversazione, attività molto particolare, probabilmente uno dei principali marchi di fabbrica della Dilit.
Ho conseguito il diploma Dilit a marzo 2015, e, pochi giorni dopo, sono stato assunto in una scuola di Mosca, dove ho cominciato a lavorare ad agosto 2015. Questo era un progetto che avevo da anni, quindi il ricordo che ho di quel mese è e sarà sempre positivo, perché mi ha permesso di realizzarlo.
Tra le tante attività che ho imparato a utilizzare durante il corso, sicuramente la più sorprendente per me è stata la Ricostruzione di conversazione. Inizialmente ho avuto modo di vederla svolta da insegnanti esperti, durante le ore di osservazione, poi mi sono cimentato io stesso durante le ore di pratica didattica. In seguito ho avuto l’occasione di praticarla molte volte durante la mia esperienza come insegnante in un’altra scuola di Roma, dove ho lavorato da aprile a luglio del 2015, poco prima di trasferirmi a Mosca.
Tra i molti punti positivi di questa attività, quelli che da subito hanno catturato la mia attenzione sono soprattutto tre. La Ricostruzione di conversazione infatti:
- è un ottimo modo per far interagire e integrare studenti di madrelingua diversa;
- aiuta moltissimo a coinvolgere nella lezione gli studenti più deboli;
- è un’ottima attività per far parlare (seppure in un contesto controllato) tutti gli studenti, anche in classi numerose.
Durante i mesi di lavoro presso la scuola a Roma, ho potuto toccare con mano l’efficacia della Ricostruzione di conversazione, poiché i miei studenti provenivano da molti Paesi diversi (Giappone, Cina, Corea, Burundi, Madagascar, Lesotho, India, ecc), e il livello della classe, benché fosse relativamente numerosa (10-12 persone), era abbastanza omogeneo. Inoltre il sillabo della scuola era basato su criteri comunicativi e grammaticali, e non su un libro specifico.
Non appena ho iniziato la mia esperienza come insegnante a Mosca, tuttavia, ho subito riscontrato alcune differenze sostanziali:
- in primo luogo, ovviamente, gli studenti studiano l’italiano non come L2 ma come LS, quindi non hanno grandi possibilità di praticare la lingua al di fuori della lezione;
- gli studenti condividono tutti la stessa madrelingua, il russo, e moltissimi di loro hanno anche un buon livello di inglese;
- il “pacing schedule” dei corsi è basato su un libro di testo specifico, anche se gli insegnanti hanno tempo sufficiente per ampliare le lezioni con materiali propri;
- i gruppi, probabilmente per via della crisi in cui versa questo Paese negli ultimi due anni, sono sempre molto ridotti (3-4 studenti), e spesso sono anche piuttosto disomogenei.
Queste differenze, per così dire “strutturali”, non hanno creato problemi particolari per quanto La Ricostruzione di conversazione in Russia, ovvero: riguarda attività come L’Ascolto o la Lettura autentici, tranne che per due ragioni: spesso devo insistere affinché gli studenti non parlino tra di loro in russo, e il numero limitato degli studenti fa sì che il numero di scambi sia minimo.
Altre attività tipiche del metodo Dilit, come il Puzzle linguistico o le Letture analitiche morfosintattiche, riscuotono molto successo, perché, dal momento che focalizzano l’attenzione degli studenti sulle forme grammaticali, rappresentano qualcosa di molto familiare per gli studenti russi (indipendentemente dall’età). Da quello che ho potuto capire parlando sia con studenti che con insegnanti russi, infatti, in questo paese l’insegnamento sistematico delle forme e il ruolo centrale dell’insegnante costituiscono due cardini fondamentali di ogni corso di lingua. E questo, per chi è familiare con il metodo Dilit, non può che suonare come una difficoltà. Confrontandomi con insegnanti russi, ho avuto modo di capire come gli studenti apprezzino molto schemi, tabelle e spiegazioni esplicite della grammatica. Non solo: ho avuto studenti di livelli medio-alti (B2-C1) che hanno sempre studiato con questo tipo di approccio, e ho potuto constatare che i risultati non sono affatto negativi. Questo dipende probabilmente dal fatto che tutto il sistema scolastico russo è basato su questo tipo di metodo, sicuramente molto rigido e antiquato, ma che in molti casi permette comunque di raggiungere risultati notevoli, e che, in ogni modo, contribuisce a creare una forma mentis molto “grammaticale” negli studenti, che quindi si sentono a loro agio con questo tipo di approccio.
Per tutte queste ragioni, l’attività che ho avuto più problemi a utilizzare è stata la Ricostruzione di conversazione. Come è noto, l’obiettivo di questa attività è proprio fare grammatica. Tuttavia questo obiettivo si raggiunge in modo non convenzionale, attraverso un’interazione serrata tra l’insegnante e gli studenti, numerose ripetizioni individuali e collettive di parole o di spezzoni di frase, e, soprattutto, attraverso la fase del “teatro”.
Ho riscontrato soprattutto due problemi:
- in primo luogo, a livello di organizzazione della lezione, dedicare 45 minuti (il tempo minimo, a mio parere, per questa attività) alla Ricostruzionedi conversazione costituisce un problema per quanto riguarda il pacing schedule, soprattutto in vista del fatto che i test intermedi e finali di ogni livello sono stati creati ad hoc sul sillabo del libro di testo utilizzato. Insomma, gli studenti non devono imparare l’italiano, ma devono imparare l’italiano di quel libro (che, per esempio, affronta il tema dell’imperativo solo a metà del secondo volume, ossia a metà livello A2, oppure introduce il passato prossimo verso la fine del livello A1, senza poi riprenderlo per altre tre unità). Personalmente, percepisco questo come una forte limitazione, ma, ovviamente, questa decisione non dipende da me;
- in secondo luogo, gli studenti hanno chiaramente dimostrato, a più riprese, di non gradire il fatto di diventare parte attiva nel corso della lezione, né tantomeno di essere messi al centro dell’attenzione, come avviene durante la recita della ricostruzione di conversazione.
I miei studenti, mediamente, rappresentano un campione sociale molto preciso: sono professionisti (avvocati, commercialisti, manager) di fascia medio-alta e di condizione economica benestante, e sono tutti piuttosto restii a mettersi in gioco con il rischio di sbagliare. Nel 90% dei casi, essi studiano l’italiano puramente come hobby, quindi prendono le lezioni molto seriamente, ma allo stesso tempo come un momento in cui essere liberi da qualunque responsabilità individuale, anche quella di diventare studenti-ricercatori. In un certo senso, sono come dei clienti al supermercato, e il loro atteggiamento assomiglia molto a qualcosa come “io ho pagato, vorrei due etti e mezzo di regole, per favore”.
Lungi da me l’intenzione di descrivere un popolo complesso come quello russo con poche parole, ma mi sembra che nella loro reazione negativa alla Ricostruzione di conversazione convergano due tratti diversi, uno antico e uno nuovo: la loro naturale, atavica riservatezza e il loro nuovo atteggiamento professionale, fortemente improntato al risultato immediato, all’efficacia rapida, al riscontro evidente. Insomma, tutti obiettivi che la Ricostruzione di conversazione riesce a raggiungere solo in parte, essendo, a mio parere, un’attività che mostra i suoi benefici nel mediolungo periodo.
Mi sono confrontato a più riprese con altri insegnanti di italiano che hanno studiato alla Dilit, e ho scoperto che hanno avuto le mie stesse difficoltà e le stesse reazioni da parte dei loro studenti.
A questo punto le mie domande sono le seguenti:
- quanto è giusto proporre (o imporre?) un metodo così fortemente comunicativo a studenti che sono da sempre abituati a uno studio meticoloso della grammatica, e che, studiando la grammatica in modo esplicito, sono in grado di raggiungere ottimi livelli anche nella produzione orale?
- in che misura è possibile modificare il ruolo del docente e quello del discente, dando più responsabilità a quest’ultimo, quando lui è il primo a non volerne e non si ha il tempo per convincerlo lentamente, lezione dopo lezione, che questo è vantaggioso per lui?;
- fermo restando che la mancata riuscita della Ricostruzione di conversazione può essere dipesa da errori tecnici, quindi da me, è possibile mettere in pratica questa attività con classi poco numerose, monolingue, restie a mettersi in gioco e desiderose di spiegazioni grammaticali esplicite?
Spero di essere riuscito a porre le basi per un dibattito costruttivo e interessante su questo argomento.
Tra le ricostruzioni quella in cui Luigi, giù in cortile, chiede ad Anna, chiamandola dalla finestra di buttargli giù le chiavi che ha dimenticato sul tavolo della cucina oppure di cercargli i documenti nella cartellina verde lasciati sulla tv in salotto. Le mie ricostruzioni cominciavano con un tormentone, sempre lo stesso da parte di Luigi: “Annaaaaaaaaaaaa!” E sempre lo stesso da parte di Anna che, un po’ spazientita si affacciava dalla finestra, seccata dal dover lasciare il sugo sul fuoco: “ Che c’èèèè????”
Il serial si svolge con una serie di scene sempre nella stessa location. Ha aiutato molto la cattedra posizionata in alto rispetto all’aula su una pedana che sembrava fatta ad hoc. La cattedra è sempre stata la cucina di Anna e lo spazio antistante è stato di volta in volta il cortile, il parcheggio, il supermercato da cui Luigi chiamava casa.
Un esempio:
Luigi (giù nel cortile, si accorge di aver dimenticato le chiavi della macchina. Cerca dappertutto ma non le trova).
L.: Annaaaaaaaaaaaa!
A: Sta cucinando tranquilla quando sente chiamare. Apre la finestra un po’ seccata e chiede: “Che c’èè???”
Gli studenti già alla terza ricostruzione vanno in automatico e iniziano a ridere pieni di aspettativa per il nuovo episodio. Stiamo lavorando sull’imperativo.
L.: Buttami giù le chiavi. Le ho dimenticate sul tavolo, in cucina
A: Doveeeee?
L: Sul tavolo, in cucina
A: Aspetta!
L: (guarda l’orologio un po’ ansioso perché è in ritardo)
A: (riaffacciandosi dalla finestra) Eccole. Prendileeee. (E gliele lancia). Ti dimentichi sempre tutto! Dove hai la testaaaaa?
L: sul tavolo, in cucinaaaaa! (Ride)
A: (ride)
Ogni ricostruzione è uno spaccato divertente della vita di questa coppia. Non ho mai visto ridere tanto gli studenti, ansiosi di recitare il tutto, come quando lavoro con questa modalità. Ho introdotto, inoltre, contestualmente, un’altra variante: gli studenti non vengono a coppie a recitare la scena mentre gli altri guardano. Recitano liberi di provare nello spazio. La prima persona che incontrano, in quel caso, è Anna. E da lì inizia casualmente la recitazione. Appena finito si muovono nello spazio alla ricerca di un altro compagno/che sarà Anna della situazione oppure risponderanno alla chiamata con un “che c’èèè?”.
È chiaro che l’insegnante deve creare da sé le ricostruzioni utili ma, personalmente, sono anni che lo faccio e mi trovo bene solo così. I vantaggi sono enormi: studenti molto interessati e incuriositi su ciò che succederà, attenzione conseguente alle forme, divertimento assicurato, coinvolgimento al cento per cento.
Tornando in quell’istituto alcune settimane dopo mi sono sentita chiamare da lontano da una studentessa, con un “Annaaaaaa!”. Mi sono girata e ho risposto: “che c’èèè?” e siamo scoppiate a ridere. È la prova “scientifica” delle ricadute positive di questa attività anche a distanza di tempo!