Insegnare in Australia
Riceviamo e volentieri pubblichiamo un aggiornamento rispetto alle email di Antonio Arrivabene
pubblicate nel precedente Bollettino. Invito i lettori a commentare.
Ti scrivo perché vorrei soltanto aggiornarti sulla mia esperienza di insegnamento in Australia dopo
il nostro scambio di e-mail in cui esprimevo i miei dubbi sugli studenti anglofoni.
In una scuola va tutto bene. Lavoro con le attività e le tecniche della scuola Dilit e gli studenti sono
contenti e motivati, apprezzano la varietà delle attività e le attività stesse. Più di tutto, forse,
apprezzano la sfida propria di alcune attività e l’impegno che gli viene richiesto. Perché hanno
notato che esiste una differenza fra quello che gli viene proposto oggi e quanto invece gli veniva
proposto prima: anticipazioni sul contenuto dei testi scritti e orali, qualità e natura dei testi, lettura
ad alta voce per curare la pronuncia (sic!), lettura di gruppo, lettura pezzo per pezzo di un testo da
parte dell’insegnante per guidare gli studenti nella comprensione (sic!), attività di ascolto con
lettura (??) delle trascrizioni dei stessi testi. E sono incoraggiati dal fatto di sapere che l’insegnante
non giudica le loro prestazioni, né si aspetta che siano perfette. Forse più di tutto apprezzano
proprio la fiducia che l’insegnante ripone in loro spingendoli a lavorare diversamente da come
hanno fatto finora.
Io, per parte mia, sono debitore alla scuola Dilit per tante cose, non ultimo l’avermi liberato dalla
assoluta necessità di avere con me un manuale (benché ne usi alcuni davvero buoni). La ricerca di
materiale autentico è diventata una dei compiti più belli e stimolanti del mio lavoro.
Purtroppo in altre scuole non tutto è come vorrei. C’è un manuale da seguire e c’è “il programma”.
Gli studenti vanno aiutati anticipando loro i contenuti dei testi, gli errori vanno corretti, ecc.
“L’argomento, per tutta la durata della lezione, deve essere uno e solo”, con il risultato che un
argomento, in un manuale, viene studiato e rivoltato per ore pur di riuscire a ricavare qualcosa
tematicamente vicino da poter presentare allo studente. Si cerca in tutti i modi di restare
aggrappati a un tema e per questo si attinge dappertutto per conservare quella patina di vicinanza
tematica. Non solo. I testi vengono stravolti e privati della loro naturalezza, realtà, efficacia
comunicativa e offerti alla classe. Sull’altare del sacrificio c’è l’argomento stesso, c’è l’insegnante, e
più di tutti ci sono gli studenti costretti a sorbirsi ore e ore di uno stesso tema.
Le parole che più mi hanno rattristato sono queste: “L’attività che tu hai proposto (la Ricostruzione
di conversazione) potrebbe forse andare bene in Italia (italiano L2) ma qui il contesto di
insegnamento è italiano LS, quindi gli studenti, una volta fuori dalla scuola, hanno a che fare con
un contesto dominato dall’inglese. Non è possibile quindi richiedere agli studenti di fare ipotesi
sull’italiano perché l’unica fonte per loro è l’insegnante”.
Sono rimasto molto sconcertato nel sentire queste parole. Purtroppo la mia direttrice non si è resa
conto che queste parole equivalgono a dire che gli studenti non possono pensare. Se gli studenti
hanno fiducia nel direttore di una scuola e loro precedente insegnante, è normale che non faranno
fatica ad accettare le sue riflessioni sul modo di insegnare e ad accettare il ruolo (di soggetto non
pensante) che gli viene dato.
Nonostante ciò io vedo il bicchiere mezzo pieno e sono molto contento e soddisfatto. Come dicevi
nella tua mail, ci vuole tempo e non si può fare tutto da soli. E naturalmente io, nonostante i
divieti, quando posso cerco di proporre agli studenti qualcosa di diverso.