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Una parola, un tassello: descrizione del Puzzle linguistico

 

  1. Prima di cominciare

Un Puzzle Linguistico è la ricostruzione per iscritto di un brano audio di circa 15 secondi,[1] estratto da una conversazione spontanea, oggetto di un’attività di ascolto precedentemente effettuata in classe (cfr. Volare 4: 20). Il testo scelto può riferirsi a situazioni comunicative che variano da interazioni semplici, come la “Apertura richiesta di indicazioni stradali” (Volare 1, lezione 8) o la “Richiesta di informazioni” (Volare 2, lezione 7), a interazioni più complesse, come “Motivare una decisione” (Volare 3, lezione10) o “Spiegare la causa di un fenomeno” (Volare 4, lezione 17). Si tratta comunque di casi esemplari di contesti nei quali il discente può trovarsi a partecipare sia come interlocutore attivo, che come semplice ricettore, come nel caso dell’estratto dal programma radiofonico oggetto del Puzzle linguistico descritto in quest’articolo.

Siccome gli studenti devono ascoltare il brano molte volte senza pause, è consigliabile utilizzare un registratore piccolo e maneggevole, provvisto di contagiri. La durata media dell’attività è di circa 45 minuti. La disposizione ideale dei posti è quella a semicerchio, in modo che tutti si trovino alla stessa distanza rispetto alla sorgente audio. Inoltre, tale disposizione agevola la mobilità degli studenti, fattore importante in un’attività che, come vedremo, prevede una fase di lavoro a coppie con frequenti cambi di compagno. Ciò non significa che sia impossibile fare un Puzzle Linguistico in un’aula con i banchi fissi: semplici accorgimenti dettati dall’esperienza e dal buon senso possono permettere di superare gli ostacoli fisici presenti in aula.

La descrizione contenuta in questo articolo è la trascrizione degli appunti presi da un mio collega dell’IIC Madrid[2] durante una mia lezione. Il Puzzle Linguistico in questione si trova alla lezione 8 di Volare 4.[3] Il brano è estratto da un ascolto, registrato da una trasmissione radiofonica, in cui una donna parla con uno psicologo e con il conduttore della sua paura del buio. In classe sono presenti 10 studenti ispanofoni adulti, con alle spalle circa 300 ore di lezione. La narrazione del Puzzle Linguistico è piuttosto libera, seppur fedele, per quanto riguarda le fasi di lavoro descritte ai paragrafi 2, 3 e 4, mentre riporta esattamente tutto quello che è stato detto e fatto in classe al paragrafo 5.

2 Hai mai fatto un puzzle?

“Come si fa un puzzle?”, domanda l’insegnante all’inizio dell’attività. È la prima volta che fa in classe un Puzzle Linguistico: gli studenti probabilmente non lo conoscono, dunque bisogna motivarli a lavorare nel modo più efficace possibile. Dopo qualche attimo di silenzio, l’insegnante precisa che si riferisce al noto gioco in scatola il cui scopo è ricomporre una figura incastrando insieme pezzi di cartone sagomati.

Tentare di ricostruire la figura riprodotta sulla scatola procedendo in maniera sequenziale, riga dopo riga, non è una strategia produttiva: tutti si trovano d’accordo su questo punto. Molto meglio collocare per primi sul tavolo gli elementi più facilmente riconoscibili, per poi provare a incastrare tutti gli altri intorno a quelli, secondo affinità di colore, disegno, ecc. Si creano, così, delle aree corrispondenti a porzioni del disegno complessivo che, ingrandendosi, rendono possibile l’integrazione, nel quadro, dei tasselli di più difficile collocazione. Raggiunte queste conclusioni, l’insegnante fa il seguente annuncio: “Bene! Oggi faremo la stessa cosa con un piccolo pezzo dell’ascolto che abbiamo fatto giovedì scorso”.

L’ascolto da cui è tratto il brano può anche essere stato proposto durante la stessa lezione, o il giorno prima: trattandosi di un’attività analitica, l’importante è che gli studenti abbiano già affrontato la fase di comprensione globale. La previa conoscenza del contesto globale, infatti, consente agli studenti di dare al brano un senso in termini di coerenza rispetto a una situazione comunicativa nota e di coesione rispetto a un testo più ampio in cui è incluso. Alcuni studenti, però, erano assenti il giorno in cui era stato proposto l’ascolto. Per garantire anche a questi ultimi le conoscenze contestuali necessarie all’esecuzione del compito, il docente dà due minuti agli altri compagni per riferire loro il contenuto della registrazione.

3 Prima fase: lavoro individuale

Per chiarire il motivo del riferimento al gioco in scatola chiamato puzzle, l’insegnante spiega agli studenti che ascolteranno moltissime volte il brano e che dovranno trascriverlo per intero. “In che modo?”, domanda alla classe.

Mentre dice queste cose, disegna alla lavagna un rettangolo e dice: “Questo è il vostro foglio”. Vi inserisce dunque dei segni, uno dopo l’altro, in sequenza, chiarendo che rappresentano le parole del brano. “Così?” chiede rivolgendosi agli studenti. Gli studenti, ricordando la discussione precedente, riconoscono l’inadeguatezza di questa strategia rispetto al compito. A questo punto, l’insegnante barra con una croce il foglio che ha tracciato alla lavagna, ne disegna un altro, e inserisce al suo interno dei segni sparsi:

____

____

____

 

____

____

 

Mentre ascoltano il brano, gli studenti dovranno fare altrettanto: scrivere le parole che riescono a cogliere, lasciando degli spazi tra l’una e l’altra. Al secondo ascolto – e qui l’insegnante illustra il concetto inserendo ulteriori segni – gli studenti scriveranno altre parole, al terzo altre ancora, e così via. Ascolto dopo ascolto, il testo crescerà intorno alle parole già inserite.

Una volta spiegata la strategia da mettere in pratica, l’insegnante piazza il registratore davanti alla classe.

Quindi fa ascoltare una volta il brano, raccomandando agli studenti di non scrivere, affinché si facciano una prima idea del testo.[4] Dopodiché si siede davanti al registratore e comincia a sottoporre alla classe una serie di ascolti consecutivi e ininterrotti.

L’organizzazione dello spazio non è casuale. L’insegnante resta seduto per manovrare rapidamente e senza pause il registratore; allo stesso tempo, questa posizione gli consente di osservare tutti i componenti del gruppo per seguirne il lavoro e decidere quando fermare il nastro. È fondamentale che il docente resti seduto mentre manovra il registratore, perché, come è noto, i rapporti spaziali tra le persone e i loro mutamenti sono fonte di messaggi, anche se involontari. Se l’insegnante resta al suo posto, la sua presenza si riduce a quella di addetto al registratore, e l’attenzione degli studenti si concentra unicamente sul compito. Se invece l’insegnante si alza spesso, o se addirittura resta in piedi mentre gli studenti trascrivono il brano, la classe potrebbe percepire che da un momento all’altro il docente interromperà il lavoro per fare qualcosa, come ad esempio dare delle nuove istruzioni. Invece di indurre gli alunni a concentrarsi sul loro lavoro, si rischia in tal modo di comunicar loro la fretta di terminare.

L’insegnante, dunque, fa partire la registrazione: il nastro parte, giunge all’ultima parola, si riavvolge, riprende a girare, mentre gli studenti scrivono senza interruzioni. Il ciclo si ripete senza pause, il docente non parla nemmeno, si limita a schiacciare i tasti e a volgere lo sguardo su ciascun allievo per accertarsi che tutti siano impegnati. Questo perché la dinamicità è una condizione essenziale: non ci devono essere tempi morti per nessuno, tutti devono rimanere costantemente concentrati.

Ma che cosa stanno facendo, esattamente, gli studenti? Quali abilità utilizzano e, di conseguenza, esercitano nel fare un Puzzle Linguistico? Sicuramente, la loro abilità di comprensione orale. Tuttavia, il Puzzle Linguistico non è semplicemente un’attività di comprensione e trascrizione fonetico-ortografica. Come osservato nell’articolo introduttivo (pag.2), per comprendere quello che ascoltiamo non usiamo solo l’udito, ma attiviamo quella che J. W. Oller chiama pragmatic expectancy grammar. Ed è proprio nell’educazione all’uso efficace della grammatica pragmatica delle aspettative, e nello sviluppo delle abilità linguistiche e cognitive a essa sottostanti, che il Puzzle Linguistico persegue la sua meta glottodidattica principale. Se da un lato questa facoltà opera, almeno in parte, in maniera immediata e quasi inconscia, per essere potenziata ha bisogno di specifiche strategie didattiche, le quali implicano momenti di riflessione e un allenamento mirato.

Eppure, l’attività di trascrizione a ritmo sostenuto fin qui descritta non garantisce un buon livello di riflessione linguistica. Tanto più che gli studenti, a un certo punto, esauriscono le proprie risorse, senza peraltro esser sicuri del proprio lavoro. Inoltre, i loro testi presenteranno dei buchi e, nello sforzo di inseguire le parole vaganti, avranno commesso numerose imprecisioni.

Per questo motivo, quando l’insegnante si accorge che un allievo non riesce più ad andare avanti, interrompe il ciclo di ascolti e invita gli studenti a ricopiare il proprio testo. Ciò consente loro di mettere ordine in un lavoro che probabilmente presenta numerose cancellature e imprecisioni dovute alla fretta, con intere sequenze strette in poco spazio e rimandi interni che riducono la leggibilità della trascrizione. Il fatto stesso di ricopiare, inoltre, induce gli studenti a ritornare sul testo, e a focalizzare la loro attenzione sulla sua coerenza e coesione interna.

Quando gli studenti hanno finito di copiare, l’insegnante propone altri due ascolti, e poi li invita a rileggere il proprio testo e a migliorarlo, correggendo ciò che non è logico o non è grammaticalmente corretto. Fino a questo momento, gli alunni hanno usato principalmente il loro udito; la loro competenza linguistica va allenata a una migliore integrazione di cognizione e percezione sensoriale, e adesso è il momento di fermarsi per analizzare tutti quei casi in cui “l’orecchio e la logica sono in disaccordo”. L’insegnante suggerisce che, in questi casi, “deve vincere la logica”.

Date queste istruzioni, il docente lascia a tutti un paio di minuti per riflettere.[5] Terminata la riflessione, gli studenti verificano le loro ipotesi riascoltando il brano una o due volte ancora. Si tratta, in pratica, del rovesciamento della verifica compiuta tramite il lavoro individuale: se la fase di riflessione costituisce un’occasione per integrare e correggere il lavoro svolto durante la prima serie di ascolti, adesso sono gli ascolti a confermare o mettere in discussione le ipotesi prodotte durante la riflessione.

Tuttavia, le possibilità di progresso nella ricostruzione del testo non si esauriscono qui.

4 Seconda fase: circolazione delle idee

Sarebbe un peccato, infatti, non sfruttare la presenza, nel medesimo luogo e al medesimo tempo, di tante menti, ognuna in possesso di abilità e competenze diverse, ognuna caratterizzata da un suo modo di affrontare e risolvere i problemi.

Ecco quindi che l’insegnante dà il via alla fase di lavoro a coppie, durante la quale ogni studente confronta il proprio testo con quello del compagno vicino. In questa fase, gli studenti restano seduti a fianco, in modo che ciascuno possa agevolmente leggere sul foglio dell’altro: insieme, i due compagni valutano, di fronte a soluzioni diverse, qual è l’alternativa più appropriata, quale la versione più corretta. Questo scambio di idee, inoltre, può sensibilizzare l’attenzione di un allievo su determinati punti della sua trascrizione, sui quali magari fino a quel momento egli non nutriva particolari dubbi. O ancora, dal confronto può venir fuori una possibile via d’uscita da quello che sembrava a entrambi un punto morto. Durante la discussione, qualche studente consulta il dizionario, la grammatica in appendice al libro o i propri appunti personali.

Quando la discussione all’interno di una coppia termina, l’insegnante annuncia che farà ascoltare il brano altre due volte consecutive.[6] Egli non aspetta che tutti abbiano finito: perché l’attività funzioni, occorre mantenere sempre alta l’attenzione di tutto il gruppo. Mentre il nastro gira, gli occhi degli studenti corrono dal foglio al registratore e al compagno, e nell’incontro degli sguardi le coppie si scambiano cenni di soddisfazione o perplessità, mentre le penne indicano i pezzi saldamente collocati o i tasselli da risistemare appena le voci sul nastro avranno taciuto. Riascoltare il brano, insomma, consente alle coppie di verificare i risultati della collaborazione e, allo stesso tempo, di rilanciare il confronto.

Dopo due cicli di ascolto e socializzazione col medesimo compagno,[7] l’insegnante effettua un cambio di coppie, in modo che ciascuno si trovi a confrontarsi con un compagno diverso. Quando lo scambio di idee termina, il docente fa ripartire il nastro, e il ciclo ricomincia. Affinché le idee circolino il più possibile all’interno della classe, il docente effettua due cambi di coppie.[8]

Non esiste una regola fissa che stabilisca il numero di ascolti e confronti a coppie: durante un Puzzle Linguistico, gli studenti possono riascoltare il testo tutte le volte che vogliono. È vero, infatti, che spesso, alla fine della fase individuale, o durante quella a coppie, sono gli allievi stessi a dire: “un’altra volta!”, prima di tornare sulla propria trascrizione. È importante, dunque, lasciare che siano gli studenti a decidere, in base alla loro percezione di quanto ancora sono in grado di fare per migliorare il proprio testo. Quando anche le risorse del gruppo si sono esaurite, l’insegnante assume un ruolo più centrale.

5 Terza fase: ricomposizione del quadro

Arriva infine il momento in cui gli ascolti e i confronti a coppie non sono più d’alcun aiuto. L’insegnante allora dà agli studenti un’ultima possibilità, informandoli che, se vogliono, possono riascoltare ancora il brano. Gli studenti chiedono un ultimo ascolto, ma nemmeno questo porta novità alle loro trascrizioni. Il docente, allora, dà l’istruzione di fare un cerchio intorno ai problemi che non hanno trovato soluzione.

A partire da questo momento, il compito dell’insegnante è quello di “indagare ciò che c’è nella testa degli studenti”. Non si tratta, semplicemente, di guidare la classe alla soluzione, ma di esplorare cosa dicono le interlingue degli studenti riguardo alle questioni che emergono (cfr. Humphris 2000).

Per prima cosa, l’insegnante si alza, va alla lavagna e chiede a uno studente di sottoporgli un problema. Il messaggio implicito in questa richiesta è: “presenta uno dei tuoi dubbi affinché possiamo esaminarlo insieme, non è mia intenzione correggere quello che mi dici”. Se, infatti, l’insegnante si affrettasse a dare la soluzione, gli allievi, dopo aver lavorato a lungo in maniera autonoma, si ritroverebbero ad occupare un ruolo passivo, con conseguente perdita della tensione cognitiva sulla quale si è basata fino a questo punto la lezione (cfr. Gallo: 1992). Il problema di uno studente diventa, poi, il punto di partenza per:

  • Esaminare le ipotesi di tutti gli studenti a proposito del problema in oggetto.
  • Esplorare, attraverso domande, cosa dicono le interlingue degli studenti.
  • Condurre le ipotesi, anche quando non coincidono con il testo originale, a una formulazione corretta.
  • Indirizzare la classe alla soluzione, attraverso suggerimenti e domande che stimolino e indirizzino il ragionamento.

In appendice a quest’articolo, riporto uno schema che viene solitamente distribuito durante i corsi di formazione della Dilit International House, e che esemplifica le strategie che il docente può seguire per indagare le interlingue degli studenti e guidarli alla soluzione dei problemi.

Vediamo allora come si è svolta questa fase nella lezione che stiamo esaminando.

INS: «Regina, dimmi il tuo problema più grosso.»

Regina inizia a dettare delle parole, ma poiché potrebbe non essere chiaro per tutti in che punto del testo è situato il suo problema, l’insegnante la invita a fermarsi un attimo. Dopodiché traccia due barre verticali alla lavagna e, indicando lo spazio in mezzo ad esse, dice:

INS: «Allora, diciamo che qui c’è il tuo problema: dimmi qualche parola prima e qualche parola dopo, così abbiamo un contesto.»

L’insegnante indica gli spazi vuoti prima e dopo le due barre verticali.

Regina detta le parole che precedono e seguono il suo problema. L’insegnante trascrive, chiedendo, quando non è sicuro di cosa abbia detto la studentessa, di scandire una parola lettera per lettera. Christopher Humphris definisce questo comportamento dell’insegnante “fare lo scrivano ligio”: il docente deve essere certo di trascrivere esattamente quello che lo studente dice, altrimenti contraddice il messaggio fondamentale che informa tutte le sue istruzioni. Alla fine, alla lavagna c’è questo:

questo tipo di paura o di fobia                                                               con minore severità

INS (rivolgendosi sempre a Regina): «Hai qualche idea?»

Regina: «Sì»

La studentessa detta la sua ipotesi.

questo tipo di paura o di fobia           preferisce     si gli    giudica      con minore severità

Regina: «Dopo “fobia” manca qualcosa»

INS (invitando gli altri studenti a partecipare): «Qualcun altro?»

Adolfo: «se me preferisce li si giudica»

Nicolas: «se si preferisce li si giudica»

L’insegnante aggiunge queste ipotesi al quadro

si

questo tipo di paura o di fobia       se        preferisce      si gli    giudica    con minore severità

                                                                   me                                  li  si

INS: «Altre ipotesi?»

Silenzio: non ci sono altre ipotesi.

INS (indicando “preferisce” e “giudica): «Queste parole sono giuste».

Detto questo, l’insegnante sottolinea le parole corrette e le esclude dal problema, così:

                                                                 si

questo tipo di paura o di fobia   se            preferisce     si gli      giudica con minore severità

                                                                me                                    li si

Adesso comincia la fase di “investigazione delle interlingue”. L’insegnante fa delle domande agli studenti, per capire qual è la natura delle loro ipotesi, in base a quale criterio, cioè, sono state formulate:

INS (indicando il pronome “gli”): «Questo a cosa si riferisce?»

Regina: «A quelli che hanno paura»[9]

INS: «E che tipo di pronome è?»

Regina: «Maschile plurale»

INS: «Diretto o indiretto?»

Regina: «Indiretto»

INS (indicando il pronome “si”): «E questo?»

Regina: «Non so»

Qualcuno dice: «Indefinito», Regina annuisce.

INS ( indicando il pronome “li”): «Questo cos’è?»

Nicolas: «Lo interpreto come oggetto diretto»

INS (indicando il pronome “si”): «E questo?»

L’insegnante, intanto, trascrive delle note, affinché tutta la classe possa seguire il ragionamento.

A questo punto, l’insegnante dà un’informazione, per guidare l’ipotesi a una formulazione corretta:

INS: «Il pronome oggetto va sempre prima dell’indefinito»

Uno studente: «gli si»

L’insegnante apporta quest’ultima modifica.

Adesso, si tratta di scegliere tra le due ipotesi, “li si” “gli si”. L’insegnante pone una nuova domanda, per rilanciare il ragionamento degli studenti.

INS (indicando “giudicare”): «È transitivo o intransitivo?»

Gli studenti sono incerti; del resto, gli spagnoli hanno spesso difficoltà a distinguere i verbi transitivi dagli intransitivi.[10] Poiché la classe è giunta a un punto morto, l’insegnante dà un’informazione che sblocca la situazione.

INS: «È transitivo, si dice “giudicare qualcuno”»

Gli studenti, in coro: «Li!»

INS (indicando “gli si”): «Posso cancellare?»

Gli studenti, in coro: «Sì»

Resta da risolvere il problema a sinistra di “preferisce”. L’insegnante indaga nuovamente le ipotesi degli studenti.

Prima di proseguire, l’insegnante fa notare agli studenti che “me” non è corretto. Al silenzio della classe, l’insegnante suggerisce di pensare qual è la forma del pronome atono davanti al verbo. Uno studente corregge “me” con “mi”.

Nessuna delle due ipotesi corrisponde ancora al testo della registrazione; tuttavia, l’insegnante deve far ragionare gli studenti sulla probabilità delle due versioni.

INS: «Quale è più logico, in questo contesto?»

Tutti, compreso Adolfo, riconoscono che “si” è meglio.

A questo punto, l’insegnante fa riascoltare il pezzo corrispondente a quanto scritto alla lavagna, tre o quattro volte, in rapida successione.[11] Una studentessa, Cecilia, con espressione da “Eureka!”, esclama: «Dice “lei”». L’insegnante fa riascoltare il brano, i compagni annuiscono.

Cos’è successo? Il lavoro fatto fino a questo punto ha ridotto l’incertezza nella percezione uditiva del contesto in cui si trova la parola “lei”, il che probabilmente ha consentito a Cecilia di riconoscere una sequenza fonica che prima si perdeva nel flusso indistinto di suoni che la circondava.

Adesso la sequenza è stata ricostruita esattamente:

questo tipo di paura o di fobia, se lei preferisce, li si giudica con minore severità

L’insegnante chiede agli studenti se hanno domande, se la frase è chiara per loro. Qualcuno chiede di ripetere la regola sull’ordine dei pronomi. Il docente soddisfa la richiesta dicendo che il pronome si indefinito segue sempre i pronomi oggetto, diretto e indiretto.

Risolto questo problema, l’insegnante concede una pausa: il testo era, effettivamente, molto lungo e gli studenti sono stanchi. La discussione di eventuali ulteriori problemi è rimandata alla lezione successiva. Normalmente, si procede con l’esame di altri problemi presenti in classe, anche se a volte non c’è il tempo, né tantomeno ci sono le energie, per affrontarli tutti. Ma questo non è necessario: nel Puzzle Linguistico “è il processo che conta, non il prodotto finale” (Humphris 1983). Gli obiettivi più importanti, durante la terza fase, sono:

  • l’esplorazione delle ipotesi degli studenti, che porta questi ultimi – e l’insegnante – ad essere più consapevoli dello stato del proprio apprendimento;
  • la valutazione del grado di probabilità di diverse opzioni;
  • il raggiungimento di una soluzione soddisfacente dei problemi aperti tramite il ragionamento.

 

A proposito di indagine dell’interlingua dello studente, vorrei ora citare un altro esempio, preso sempre da un Puzzle Linguistico osservato in classe, il cui svolgimento è stato accuratamente trascritto. Il testo dell’attività si trova alla lezione 17 di Volare 4. La classe è composta da 8 alunni ispanofoni adulti, ad un livello corrispondente a circa 340 ore di lezione. A un certo punto del processo di risoluzione del problema, si può osservare sulla lavagna la seguente situazione:

 

all’enorme quantità di anidride carbonica immessa nell’atmosfera dalle centrali termoelettriche dalle industrie    dagli  autoveicoli, viene ad aggiungersi

                                                                                                 degli          

Anzitutto, occorre dire che, in questo caso, è stato necessario allargare il contesto per poter ragionare sulle diverse ipotesi che erano state prodotte nel corso del lavoro. Il problema consiste nello scegliere tra due preposizioni articolate, delle quali quella più in alto (dagli) coincide con il testo originale. L’insegnante chiede agli autori delle ipotesi di spiegarle, e lo studente che ha detto “degli” dice che si riferisce “a un tipo di industrie”. Il suo non è, dunque, un errore, ma un’ipotesi plausibile: per lo studente in questione, ci troviamo di fronte a una specificazione.

L’insegnante, quindi, fa riascoltare alcune volte in rapida successione solo il breve pezzo che va da dalle centrali a autoveicoli. Dopodiché, indicando sulla lavagna il punto tra la parola industrie e la preposizione, domanda: «Ci sono pause?». Immediatamente, lo studente che aveva detto “degli”, risponde di sì e conferma l’ipotesi del compagno. Anche lui, adesso, è convinto che la soluzione è “dagli”, e che gli autoveicoli rappresentano uno degli agenti dell’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera. Se l’insegnante avesse frettolosamente corretto “degli”, avrebbe portato a termine il Puzzle Linguistico nella convinzione che il suo studente non ha le idee ben chiare sulla distinzione tra “di” e “da”, cosa che non è affatto vera. Per di più, si è creata un’occasione per ragionare sui legami tra aspetti grammaticali e fonetico-intonativi.

I due esempi di Puzzle linguistico raccontati in questo articolo mostrano un’attività che promuove la crescita linguistica attraverso il confronto tra l’interlingua del discente e le regole della lingua bersaglio, intese come sistemi complessi il cui funzionamento dipende dall’interazione delle diverse componenti del contesto linguistico ed extralinguistico. L’ambito di riflessione linguistica non è circoscritto a priori e la direzione dell’attività dipende, in buona parte, dall’iniziativa degli studenti. Le fasi in cui il Puzzle linguistico è strutturato garantiscono il massimo impiego delle risorse cognitive dell’individuo e del gruppo; anzi, proprio nel confronto tra pari, ciascun discente può andare oltre i livelli di sviluppo consentiti dal lavoro autonomo. L’insegnante resta in disparte fino all’ultima fase; anche qui, però, il suo ruolo non è quello di fornire rapidamente una soluzione, ma di promuovere la consapevolezza linguistica e di guidare gli studenti alla soluzione dei problemi tramite il ragionamento.

[1] Nei libri di testo contenenti tale attività, il numero di parole varia, secondo il livello e la difficoltà del brano, tra 15 (Volare 1, lezione 1) e 117 (Volare 4, lezione 8), anche se l’ideale sarebbe non superare le 50-60 parole.

[2] Ringrazio Franco Pauletto per la disponibilità e la pazienza, visto che, tra l’altro, questo non è l’unico Puzzle Linguistico che l’ho “costretto” a osservare.

[3] A dire il vero, si tratta, come osservato alla nota 1, di un brano che eccede la lunghezza consigliata per un Puzzle Linguistico. È comunque possibile utilizzarne solo una parte.

[4] Nelle cassette di Volare, i testi per i Puzzle Linguistici sono registrati in tracce separate rispetto agli ascolti da cui sono estratti. Se, invece, l’insegnante estrae un brano a sua scelta da un ascolto, può essere utile scrivere alla lavagna una o due parole dell’inizio e una o due parole della fine del testo, onde chiarire i confini del pezzo da analizzare. Questo perché, andando avanti e indietro rapidamente con la cassetta, capita spesso di far cominciare la riproduzione un po’ prima del brano scelto e di fermare il nastro un po’ dopo.

[5] In realtà, dà alla classe due minuti di tempo per evitare che qualcuno se la prenda troppo comoda, ma non è rigido nel rispettare questo limite. Se vede che gli allievi lavorano proficuamente, non li interrompe all’esatto scadere del tempo.

[6] Non si tratta di un numero fisso; l’insegnante, se lo ritiene opportuno, può far riascoltare il brano anche tre o quattro volte.

[7] Ma possono essere anche tre, o quattro: il numero dipende dal livello, dalla L1, dalla difficoltà del testo, dalla qualità della consultazione dopo ogni ascolto.

[8] Anche qui, il numero è variabile.

[9] Anche se è Regina a rispondere, l’insegnante rivolge le sue domande a tutta la classe. Anche se è stata Regina a proporre l’ipotesi, si tratta comunque del frutto del lavoro della studentessa con i compagni con cui si è confrontata. Tale accorgimento, inoltre, consente di evitare di centrare l’attenzione su una sola persona e, allo stesso tempo, serve a mantenere la partecipazione di tutti.

[10] In spagnolo, quando l’oggetto diretto di un verbo transitivo è una persona o un animale, esso è preceduto dalla marca d’accusativo “a”. Per esempio, la frase: «Ho chiamato Paolo» corrisponde a: «Llamé a Paolo». Ciò è spesso causa di una confusione tra oggetto diretto e indiretto che, in alcune varianti locali, produce fenomeni di uso dei pronomi oggetto difforme dallo standard, noti con il nome di leismo e laismo.

[11] Cosa impossibile da fare con un impianto stereo di grosse dimensioni, di quelli da libreria. Questo è uno dei motivi per cui è consigliabile usare registratori piccoli e maneggevoli.