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Produzione libera

Gli occhi negli occhi, profonda voglia e ricerca di capirsi l’un l’altro, totale estraniamento da tutto ciò che li circonda, le menti totalmente impegnate a trovare modi più appropriati – cioè più chiari, più precisi – per dire ciò che si ha da dire e per ascoltare l’altro nel modo più completo possibile.

Sono due innamorati? Può darsi. È senza dubbio un momento molto molto bello per le due persone coinvolte.

La tesi di questo articolo è che questa intensità comunicativa, questo totale coinvolgimento di ogni grammo dell’essere di ciascuno dei due partecipanti sia possibile anche fra due studenti durante la Produzione libera orale in una classe di lingua.

Magari! diranno non pochi lettori-insegnanti che sono più abituati a vedere studenti che finiscono subito, che dicono poche frasi fra di loro e poi si girano verso l’insegnante come per dire “Abbiamo finito. Ora che si fa?”. E l’insegnante va da loro e cerca di “pompare” la conversazione suggerendo altre cose da dirsi. L’insegnante torna al suo posto e, più per educazione che per voglia, i due studenti si dicono altre due o tre cose e si girano di nuovo verso l’insegnante. Questa volta le loro facce dicono “Per favore, non insistere: non abbiamo nient’altro da dirci. Facciamo un’altra cosa. Qualsiasi altra cosa!” Per forza l’insegnante molla e passa ad altro. Paradossalmente, la classe contenta, l’insegnante frustrato.

Vediamo un po’. Perché l’insegnante è frustrato? Perché crede che la Produzione libera sia molto importante per il progresso degli studenti. Ed ha ragione. La Produzione libera dovrebbe occupare una percentuale consistente del tempo di un corso di lingua. La sua importanza è seconda soltanto alle attività ricettive “autentiche” (quelle, cioè, in cui il compito è di cercare di capire). È durante la Produzione libera (orale o scritta che sia) che l’interlingua dello studente si riorganizza, si consolida, si arricchisce, si complessifica, utilizzando dati entrati in qualche modo in testa precedentemente grazie all’ascolto e la lettura.

C’è una posizione nella glottodidattica moderna che punta ad una maggiore partecipazione da parte degli studenti alla programmazione di un corso. Secondo questo punto di vista, se l’importanza della Produzione libera viene spiegata e discussa con gli studenti, questi ultimi dovrebbero “metterci più anima”. E sicuramente in qualche miglioramento è legittimo sperare. Ma secondo me non basta. Non basta perché questo approccio non riconosce quanto è diversa la situazione dell’insegnante rispetto a quella dello studente. Innanzitutto, esiste una differenza di rischio. La dignità dello studente è a rischio 10 volte di più rispetto a quella dell’insegnante. A causa del suo linguaggio ancora molto rozzo rispetto alla complessità del suo pensiero, lo studente si espone continuamente a fare figuracce. La probabilità che venga visto diverso da ciò che ritiene di essere è molto alta. Tramite la sua prima lingua ha messo parecchi anni a mettere a punto una propria identità. Nella propria lingua, nel proprio ambiente, viene considerato magari spiritoso, o generoso, o intelligente, o simpatico, o solare, o saggio, o… Con la lingua nuova non c’è nessuna garanzia che possa risultare tale agli occhi degli altri. Dal punto di vista dello studente è una strategia intelligente, quindi, cercare di ridurre tale rischio. È intelligente quindi cercare di accorciare i tempi in cui il rischio è più alto, cioè i momenti in cui la richiesta dell’insegnante è “nuotare in alto mare senza salvagente”, cioè le Produzioni libere.

L’altra differenza fra i due ruoli, studente e insegnante, è che l’insegnante ha preparato la lezione (lo studente no) e sa perché vuole che gli studenti parlino di un certo argomento, ad esempio, dei libri che hanno letto. Lo studente invece, quando entra in classe, sta pensando alla necessità di far riparare il rubinetto che perde a casa, al fidanzato che aveva un tono di voce equivoco al telefono, al compagno di classe che gli ha fatto un torto, alla multa che gli hanno dato… ognuno ha la testa piena di pensieri, desideri, preoccupazioni che poco hanno a che fare con il tema che l’insegnante vuole proporgli.

Consapevole di questo, l’insegnante cerca di proporre un tema accattivante. E questa è certamente una buona decisione. Ma non basta. Non basta se riteniamo che una Produzione libera efficace sia quella che si avvicina abbastanza alla situazione che abbiamo descritto all’inizio dell’articolo.  Situazione in cui gli studenti parlano per molto tempo e non vogliono smettere. Situazione che lo studente ricorda anche a distanza di tempo come un’esperienza profonda ed arricchente a livello emotivo.

Prima di proseguire con il discorso, solo un paio di parole sull’organizzazione dello spazio-classe, parole che per molti lettori sono scontate, ma non per tutti. La prima cosa da dire è che gli studenti devono parlare in gruppi più piccoli possibile (e due è il numero più piccolo e quindi il migliore). Esistono ancora, invece, insegnanti che organizzano tali momenti coinvolgendo tutta la classe in una sola conversazione collettiva. All’obiezione che, così facendo, il tempo di ciascuno per parlare è in media estremamente basso perché generalmente mentre uno parla gli altri stanno zitti, molti insegnanti rispondono che è l’unico modo per mantenere la disciplina. Molti di questi insegnanti lavorano nella scuola dell’obbligo con ragazzi poco motivati e spesso molto numerosi. Vorrei che questi insegnanti vedessero l’effetto che ha sui ragazzi una radicale riorganizzazione dello spazio-classe come abbiamo imposta in numerose sperimentazioni in scuole statali in Italia. In pratica si tratta semplicemente di far girare a 180° la metà delle sedie in modo che ogni ragazzo si trovi faccia a faccia ad un altro ragazzo, fra di loro c’è un solo banco. Paradossalmente, abbiamo visto che, così facendo, il fatto che la metà dei ragazzi abbia le spalle rivolte all’insegnante non aumenta la voglia di “cazzeggiare”. Anzi. Evidentemente viene letto come segnale di maggiore fiducia da parte dell’insegnante nei loro confronti e, anche se può sembrare strano, aumenta la voglia di non disattenderla.

Torniamo al discorso principale. Rimangono due aspetti ancora da considerare. Prima, il tema di cui gli studenti devono parlare. Qui c’è in agguato un altro paradosso: spesso l’insegnante, volendo aiutare gli studenti ad avere tante cose da dire, gonfia il tema. Esempio: le vacanze. “Parlate delle ultime vacanze, delle prossime vacanze, delle vacanze che sognate, della più bella vacanza che avete fatto; parlate dei luoghi, delle persone che avete conosciuto, dei mezzi di trasporto, del tempo, dell’alloggio, di tutto quello che volete.” In realtà, questo “banchetto” tematico produce l’effetto opposto a quello che l’insegnante voleva. Non ha un effetto “ispiratore”, non invoglia lo studente a cominciare a parlare di qualcosa, lo induce, invece, a perdere tempo a pensare “quale mi piace di più?” o meglio “quale mi annoia di meno?” Oppure ci sono quegli studenti che pedissequamente percorrono in ordine l’elenco dei temi, parlando un po’ di ognuno, come se fosse un esercizio controllato.

Dov’è l’errore dell’insegnante? Di nuovo, secondo me, siamo davanti ad una carenza di fiducia verso gli studenti. Se l’insegnante ha realmente fiducia sa che tutti gli studenti (perlomeno tutti quelli che studiano la lingua da almeno 100 ore), sono in grado di parlare con un altro studente per più di mezz’ora delle ultime vacanze. E sono in grado di fare altrettanto riguardo alle prossime vacanze. E idem per le vacanze che sognano. E idem per la più bella vacanza che hanno fatto. Insomma 4 temi che dovevano essere argomenti di 4 Produzioni libere orali diverse vengono proposti tutti insieme. Non c’è niente da fare: non riusciamo a nascondere le nostre ansie allo studente. La fiducia nelle capacità dello studente da parte dell’insegnante che propone un solo tema viene percepita dallo studente. Come viene percepita la mancanza di tale fiducia da parte dell’insegnante che offre un “banchetto” di temi. E lo studente risponde a tono. Nel secondo caso, la consegna viene vista come un noioso compito scolastico. Nel primo caso, invece, parla di una sola cosa, e man mano procede nel racconto, i fatti, le emozioni, tornano sempre più presenti in mente e la curiosità dell’interlocutore viene a poco a poco maggiormente stimolata. Il risultato è una conversazione sempre più interessante per i due partecipanti, i quali, di conseguenza, si impegnano sempre di più a cercare di capirsi. Le condizioni ottimali, appunto, per l’arricchimento dell’interlingua.

Rimane un ultimo aspetto da prendere in considerazione quando prepariamo una Produzione libera: lo stato d’animo dello studente. Non va preso sotto gamba. L’insegnante non deve sperare che gli studenti avranno voglia di esprimersi. Deve invece intervenire, deve operare per modificare lo stato d’animo. Per rispondere al lettore che ritiene invadente verso lo studente un tale atteggiamento lo invito a pensare all’ultima volta che è andato a teatro. Mentre ci si arriva al teatro si sta pensando più delle volte ad altro. Io, per esempio, l’altra sera sono andato a vedere uno spettacolo di danza contemporanea. Sono partito da casa presto perché il teatro era in periferia in una zona che non conoscevo. Quando entravo nel teatro pensavo al benzinaio anziano e particolarmente allegro che mi aveva dato delle indicazioni utilissime, ad un film con cani e gatti come protagonisti che ho visto per caso mentre mangiavo in piedi un kebab in una pizzeria, alle persone particolarmente cordiali nella stessa pizzeria, alla preoccupazione di trovare una multa sulla macchina dopo lo spettacolo, visto che in teoria il parcheggio era vietato dappertutto. Entrato nella hall del teatro vedo un uomo che so di conoscere ma non mi ricordo in quale contesto, lo saluto, mi saluta, presenta l’amica che sta con lui e le dice che abbiamo studiato danza classica insieme. Il mio imbarazzo si scioglie: ora mi ricordo tutto e mi butto in conversazione brillante con loro. Scopro che è programmatore, gli parlo di un mio vecchio progetto glottodidattico, si entusiasma, comincio a crederci di nuovo, parliamo, parliamo. Ci interrompono, entriamo e prendiamo posto. Volevo andare al bagno. Ci sarà tempo? Quanto durerà lo spettacolo? È già tardi. Dopo devo andare a prendere un’amica per andare a ballare il tango. Questo teatro è più lontano di quanto pensavo. Sarò in ritardo. Forse ci posso andare adesso al bagno. Ma devo far alzare delle persone per la seconda volta in 2 minuti. Comunque l’amico ha ripreso a parlare del mio progetto. Rimando a dopo. Ad un tratto la luce sul pubblico si spegne. Ora c’è il buio totale. Smettiamo di parlare. Tutti smettono di parlare. Gli occhi sono rivolti verso il palco. Parte una musica strana, danzatori entrano da tutte le parti movendosi in modo nevrotico, incontrandosi, toccandosi e lasciandosi rapidamente in varie combinazioni. Io sono totalmente coinvolto, mente e anima. Non c’è traccia nei miei pensieri di niente di tutto ciò che c’era un attimo prima.

Vorrei sperare, mi direte, se no che coreografa sarebbe? Che regista teatrale sarebbe chi non riesce a catturare le menti e i cuori del suo pubblico nel primo minuto della sua opera?

Appunto, il regista, il coreografo, sa che il pubblico sta pensando ad altro. Tocca a lui ad usare la sua arte per cambiare lo stato d’animo della gente. L’insegnante di lingua deve assumere la stessa responsabilità, altrimenti non può lamentarsi se gli studenti non hanno voglia di parlare.

Cerchiamo di imparare dal regista teatrale, dal coreografo. Che cosa sa che noi a volte dimentichiamo? Sa che i sensi sono più di uno e che la razionalità coinvolge solo una parte del cervello. Lo stato affettivo può addirittura eclissare la nostra razionalità. Razionalmente moltissimi nostri studenti ritengono di non essere in grado di sostenere una conversazione su un determinato argomento per 45 minuti. Eppure gli stessi studenti, trattati in modo diverso, lo fanno. Qual è questo modo diverso? Semplicemente riservare 3-4 minuti all’inizio della lezione dedicandoci con cura alla cattura delle menti e delle anime degli studenti, facendo leva su più sensi e privilegiando gli aspetti affettivi rispetto a quelli razionali.

Per esempio, lo spazio: disporre gli studenti in coppie faccia a faccia, utilizzando tutto lo spazio per distanziare quanto possibile le coppie l’una dall’altra genera negli studenti la curiosità. Poi la luce: creare una penombra in un’aula normalmente piena di luce non lascia indifferenti. Poi avviare un cd, a volume basso, di musica rilassante; invitare gli studenti a chiudere gli occhi e a portare l’attenzione al proprio respiro, senza modificarlo; dopo 1 minuto di silenzio invitarli, con voce calmissima, a pensare ad un momento dell’infanzia in cui hanno raccontato loro una favola; altro minuto di silenzio; poi, sempre con voce calmissima, dare suggerimenti, l’uno intervallato da un breve silenzio dall’altro, come “Dov’eri?”, “Chi te l’ha raccontata?”, “Che odore aveva?”, “Quali colori erano presenti? quelli dei suoi abiti, della stanza, di qualcosa nella stanza?”, “Come ti sentivi?”, “Che pensi di questa persona?”, “Ti è piaciuta la favola?”; dopo un altro minuto di silenzio dire “Aprite gli occhi e raccontate al/alla compagno/a quell’esperienza”. Ne avranno per almeno 45 minuti pieni.

È solo un esempio. Il numero di variazioni sul tema è illimitato; o meglio è limitato solo dai limiti della nostra fantasia e del nostro coraggio.

“Non sono il tipo per fare questo genere di cose.” Consapevole che molti lettori staranno pensando così, vi propongo un’intervista fatta ad una nostra collega, Gianna De Bartolomeo, dopo aver accettato – molto malvolentieri – di partecipare ad una sperimentazione voluta dai suoi colleghi (Claudio Chiavegato, Silvia De Angelis, Susanna Andrei), in cui gli studenti bendati odoravano delle spezie, mettevano la mano nella sabbia e assaggiavano delle caramelle prima di essere invitati a scrivere liberamente. L’occasione era la preparazione di un laboratorio per un nostro Seminario internazionale (dell’anno 2005) in cui l’equipe di cui lei faceva parte aveva preso delle decisioni quando lei era assente. L’intervista è stata fatta dopo la sperimentazione che lei ha svolto in classe.

  1. Com’era il titolo del laboratorio?
  2. “Scrivere può essere un’esperienza speciale”.
  3. E non avevi la minima idea di quello che c’era dietro?
  4. No, assolutamente. Mi piaceva l’idea della scrittura. Il progetto, però, ha preso una forma molto diversa da quella che io mi aspettavo.
  5. Cioè?
  6. Cioè, quando in bacheca ho visto che mi avevano assegnato al laboratorio “Produzione libera scritta“, ho cominciato a scrivermi sulla mia agenda tutte le regole che io ho dentro di me su come si fa una “Produzione libera scritta“. E quindi le ho messe in ordine in una lista da leggere all’équipe. Ebbene, quella lista non l’ho mai letta.
  7. E perché?
  8. Perché il progetto aveva preso una forma completamente diversa. La lezione proposta era di tipo diverso rispetto a quello che avevo pensato. Non era un’esperienza di tipo “classico” in cui per gli studenti si trattava di ricevere un’istruzione e seguire l’istruzione.
  9. Eri rimasta entusiasta di questa proposta?
  10. Assolutamente no. Questa proposta non mi convinceva per niente. Sapevo che ci sono degli insegnanti che durante le lezioni a volte usano, no so, musica ed incensi, tecniche di rilassamento, ecc. Io no. Accendere l’incenso magari piace a 10 persone e all’undicesima non piace, quindi non si rilassa per niente. E per quanto riguarda la musica metterei quella che piace a me e non è detto che piaccia a tutti. Quindi evito di fare queste cose. Poi, oltretutto all’inizio si parlava solo dirilassamento. Io non ero convinta che la scuola fosse un ambiente deputato a questo tipo di cose. Pensavo che gli studenti non avrebbero gradito che io facessi queste cose perché non è quello che si aspettano da di un’insegnante di lingua.

Col tempo il mio modo di vedere la questione è passato attraverso diverse fasi. Mi rendo conto ora che attribuire il problema al fatto che gli studenti non sarebbero stati contenti era in realtà semplicemente un modo per non affrontare il problema vero. E cioè che ero io che non riuscivo a farlo.

Ad ogni modo mi trovavo davanti al fatto compiuto; mi dicevano: “Si fa così”. Pessimo per me perché bisognava addirittura bendarli, far sentire degli odori, dei sapori, la musica. Io dicevo: “No.” E poi “Credo di no”.

  1. E poi, invece?
  2. Poi ho detto “Ok, si può fare a condizione che io conosca molto bene la classe, e che siano ragazzi che hanno una grande fiducia in me e che quindi sia una situazione in cui io sappia dove andare a parare se qualcuno si alza e se ne va, se qualcuno comincia a ridacchiare, a fare casino, insomma se qualcuno in qualche modo si rifiuta di fare questa cosa.”

Ma il fatto di doverli bendare è stato veramente un grosso scoglio. Ne avevo veramente timore. Perché mi sembrava un’esperienza così intima con una persona.

  1. E la classe come ha risposto?
  2. La classe ha risposto benissimo!
  3. E tu?
  4. L’emozione era forte, molto forte. Cioè io ero emozionata per la capacità di questi ragazzi di affidarsi a me.
  5. L’atmosfera?
  6. L’atmosfera era perfetta.
  7. E i loro scritti?
  8. Hanno scritto delle cose bellissime.
  9. Avevi pensato all’inizio dell’attività che sarebbe finita così?
  10. No.
  11. Infine, due aggettivi per descrivere un’attività come questa.
  12. Emozionante, sicuramente. E liberatoria: le barriere le crei tu. Non c’è qualcun altro da convincere: sei tu che ti devi convincere. Liberatoria in quel senso. Ti liberi da un pregiudizio, che non è vero che è sugli studenti: il pregiudizio ce l’hai su di te.

Se questo vale per la Produzione libera scritta varrà anche per quella orale, no?