Ritorno al futuro
Erano le undici di sera. Anche quel giorno, com’è mia abitudine, prima di chiamare l’ascensore liberai la cassetta della posta intasata, come sempre, di volantini pubblicitari. Normalmente la delusione e la stizza per tutta quella carta sprecata in modo così impersonale sono tali che, con gesto rapido, accartoccio il tutto. Quella sera, invece, qualcosa attirò la mia attenzione. Una busta bianca su cui spiccava un bel francobollo si distingueva per eleganza e personalità dal resto del malloppo. Notai subito che si trattava di un francobollo straniero, ma la speranza che qualche vecchio amico o ex studente si fosse ricordato di me andò delusa quando vidi il mittente: la Volkshochschule (Università popolare) di Mainz, in Germania.
Che cosa mai poteva volere da me il mio vecchio datore di lavoro? Io sono un tipo ansioso e le lettere burocratiche, soprattutto se a tre anni dal mio ritorno in Italia, m’incutono un certo timore.
Durante la salita in ascensore aprii febbrilmente la lettera e m’immersi nella lettura: “Sehr geehrter Herr Rostagno, Le comunichiamo che il corso intensivo per principianti avrà luogo da lunedì 11 a venerdì 15 ottobre dalle ore 9.00 alle ore 12.00 e dalle 13.00 alle 16.00. Vi sono 15 iscrizioni… “.
Nonostante l’ascensore continuasse a salire, la notizia mi fece, per così dire, cadere dalle nuvole, ricordandomi un impegno preso alcuni mesi prima, che però avevo completamente dimenticato. Ma ora, all’improvviso, rividi la scena davanti a me.
Era successo durante la mia ultima vacanza in Germania. Di passaggio a Mainz, ero andato a rivedere i luoghi in cui avevo lavorato per sei anni, la Volkshochschule appunto. Lì avevo ritrovato gli amici di allora, avevamo festeggiato, e in un impeto di entusiasmo avevo accettato la proposta lusinghiera di tenere un corso intensivo d’italiano.
Accidenti alla mia precipitazione! Quella che allora avevo giudicato una buona occasione per riallacciare i fili con il mio passato, ora mi sembrava una trappola pronta a scattare. Perché avevo accettato?
Stavo ancora maledicendo la mia impulsività quando l’ascensore si fermò all’ottavo piano. A due a due salii i gradini dell’ultima rampa di scale e solo quando la porta di casa si chiuse dietro di me mi sentii al sicuro. Ora dovevo fermarmi un attimo a riflettere sul da farsi.
Innanzi tutto volevo capire perché mi trovavo in quella situazione. La mia decisione di accettare l’offerta del corso era dovuta solo ad un eccesso di entusiasmo o c’era dell’altro?
Poco a poco, scavando nel passato, cominciarono a riaffiorare ricordi che non sapevo più di avere: il lavoro alla Volkshochschule; le soddisfazioni e le delusioni legate ad esso; le convinzioni che si erano radicate in me, messe poi in discussione dalla doccia fredda dei mio primo corso di aggiornamento alla Dilit lnternational House; le discussioni con Christopher Humphris sulla possibilità di applicare i principi didattici proposti dalla Dilit lnternational House in situazioni diverse da quella italiana, l’accanimento con cui sostenevo la tesi della non-applicabilità, poiché il solo pensiero di sottoporre i miei corsisti della Volkshochschule alla tortura di 45 minuti di Ascolto autentico o di Lettura autentica mi faceva venire i brividi: chi li avrebbe più rivisti la volta successiva?
Mentre rimuginavo il passato, improvvisamente ebbi la certezza che la mia decisione di accettare il corso d’italiano era dovuta solo in parte all’entusiasmo e che in realtà io avevo fatto una scommessa con me stesso: dopo due anni e mezzo di “tirocinio” alla Dilit lnternational House volevo verificare la fondatezza dei pregiudizi di allora e, se possibile, dimostrarne la superabilità.
Se le cose stavano così, ero davvero in un bel guaio. Infatti capivo che ora mi sarebbe stato più difficile tirarmi indietro. Ma se avessi fallito? Sentivo di aver messo il primo piede nella trappola e al benché minimo movimento sbagliato questa sarebbe scattata, facendo forse crollare molte delle mie certezze attuali.
La mia ansia stava ormai raggiungendo il livello di guardia. Per placarla pensai di imitare gli “eroi” di tanti film americani, ma purtroppo in casa avevo solo acqua, che, come rimedio per le situazioni difficili, non è un gran che. Non potevo neppure tirar giù dal letto Christopher Humphris – era troppo tardi per telefonargli -, allora ricorsi al rimedio estremo di “Mezzanotte e dintorni”, ma neanche il tono bonario di Gigi Marzullo riuscì a ridarmi pace. Quella, vi assicuro, non fu affatto una notte tranquilla e non vi sarà difficile immaginare quanto fu faticoso prendere sonno, turbato com’ero da mille pensieri e domande che si accavallavano aggrovigliandosi.
Fra il mio approccio all’insegnamento di allora, mi riferisco al tempo in cui lavoravo alla Volkshochschule, e quello attuale esiste un abisso. Che cos’è cambiato? Io certamente, ma essenzialmente è la mia percezione dei corsisti ad aver subito una radicale trasformazione, è maturata, per così dire, e mi permette oggi di instaurare un rapporto più paritario con le persone che siedono nei miei corsi.
La mia funzione non è più quella di dispensare la “verità”, linguistica s’intende, bensì di indicare loro la strada per arrivarci. In altre parole io non spiego più la grammatica (come facevo alla Volkshochschule) ma cerco di indirizzare i loro sforzi, la loro energia, alla scoperta della lingua. D’altra parte usando materiale autentico non potrei fare in altro modo, e sinceramente non me la sentirei più di ritornare a presentare la lingua attraverso mini-dialoghi costruiti appositamente per evidenziare un fenomeno grammaticale, che spesso suonano, se non falsi, almeno poco naturali alle orecchie di qualsiasi italiano.
Ma ad ottobre, alla prova dei fatti, pensavo, avrei avuto la forza di essere coerente con le mie attuali convinzioni o avrei accettato l’imposizione del testo adottato dalla Volkshochschule? Con quanta convinzione e forza di convincimento avrei affrontato le eventuali obiezioni o resistenze da parte dell’istituzione?
E i corsisti sarebbero stati soddisfatti o avrei dovuto tenere testa ad un atteggiamento di rifiuto verso un metodo al quale non erano abituati? Chi erano poi le 15 persone a cui mi sarei trovato di fronte? Senza parlare poi del timore di non farcela a superare gli ostacoli pratici contro i quali mi ero scontrato per anni. Come avrei dovuto gestire lo spazio della classe in un’aula attrezzata per lezioni frontali con tante file di banchi che non facilitano certo la comunicazione fra i partecipanti? E il registratore? Avrei dovuto “trascinarmelo” ogni volta avanti e indietro come facevo allora? Le fotocopie! Quasi me ne dimenticavo. Avrei dovuto portare l’originale il giorno prima o avrei potuto farle sull’istante?
Questi interrogativi mi tennero occupato per parecchio tempo non solo quella sera, ma anche nei giorni seguenti. Pur non potendo dare una risposta a molti di essi, avevo deciso che avrei accettato. Fortunatamente mancava ancora un mese all’inizio del corso e avevo tutto il tempo per prepararmi materialmente e psicologicamente.
Innanzitutto dovevo pormi degli obiettivi. Che cosa mi proponevo di raggiungere, didatticamente parlando? È vero che il corso sarebbe stato intensivo, ma in una settimana non avrei certo potuto fare molto, tenendo conto anche del fatto che sei ore al giorno sono pesanti e che quindi non potevo tenere sempre il gruppo sotto pressione.
Decisi così di puntare più sulla “qualità” che sulla quantità. Non volevo confrontarmi con nessuno, non mi interessava dimostrare la bontà del metodo in base alla quantità di regole apprese, semmai l’unico parametro di confronto avrebbe potuto essere l”‘autonomia” dei corsisti, vale a dire la loro capacità di muoversi liberamente all’interno della lingua italiana, senza il terrore di essere ripresi o corretti per gli sbagli che sono inevitabili, direi anzi necessari, soprattutto nella fase iniziale del processo di apprendimento. Volevo sostenere e rafforzare la loro motivazione a studiare l’Italiano. In base a queste considerazioni stesi un programma cercando di alternare le attività globali (Ascolto autentico e Lettura autentica) alle attività analitiche (Ricostruzione di conversazione, Puzzle linguistico, Esercizi di completamento e di trasformazione, Lettura analitica), inserendo almeno una Plo (Produzione libera orale) al giorno.
Cominciai quindi a raccogliere il materiale utile ed il giorno in cui dovevo prepararmi alla partenza, nel fare la valigia, mi accorsi di avere più materiale che indumenti. Fortunatamente non dovevo portarmi il registratore, perché altrimenti non avrei saputo dove metterlo, ed anche così la valigia era già pesantissima. Tra cassette audio e video e lingua scritta avevo materiale sufficiente per restare 1 mese in Germania ed invece sarei rimasto solo una settimana.
“Melius abundare quam deficere” recita un antico proverbio e così partii. La notte in treno non fu certo più tranquilla di quella in cui appresi la notizia di dover fare il corso, ma ora almeno avevo già dei punti fermi, per cui dedicai la veglia notturna al “ripasso della lezione”, cercando di immaginare tutti i possibili scenari a cui mi sarei trovato di fronte.
Il lunedì mattina l’accoglienza alla Volkshochschule fu molto calorosa e tutti si dimostrarono molto disponibili – anche per le fotocopie non ci sarebbero state difficoltà! – e questo contribuì a fugare alcune mie paure e a darmi sicurezza.
Quando dissi, però, che avevo intenzione di condurre tutto il corso in italiano, senza dare ad intendere che capisco e parlo il tedesco, mi sentii obiettare che forse era meglio alternare le due lingue, per risparmiare ai partecipanti uno shock troppo forte. Pur non concordando con questa obiezione decisi di seguire il consiglio.
Alle 9, entrando in classe, pregai subito i partecipanti di eliminare le “barriere architettoniche” disponendo i banchi lungo le pareti; dopodiché li invitai a formare un cerchio con le sole sedie. Nessuna resistenza: tutti lavoravano di buona lena. “Chi ben comincia è a metà dell’opera” pensai, e quando tutti furono seduti iniziai con una breve introduzione in tedesco, spiegando le finalità del corso. E fu un errore, almeno dal mio punto di vista. Sul momento non ne ebbi la percezione, notai anzi che i loro volti sembravano più distesi, ma la comodità di poter comunicare con me nella loro madrelingua aveva abbassato il livello della loro tensione emotiva e rendeva superfluo da parte dei corsisti l’impiego di quelle strategie di comunicazione che chiunque parli una lingua straniera si trova a dover utilizzare per superare situazioni di impasse comunicativo. Terminai l’introduzione chiedendo se avessero delle domande e, visto che nessuno ne aveva, pronunciai la frase fatidica “adesso parliamo italiano”. Dopodiché andai alla lavagna e scrissi le seguenti frasi:
Come, scusa?
Non ho ancora capito.
Che cosa significa ………..?
Come si dice ?
Come si scrive?
Come si legge questo?
spiegando come avrebbero potuto usarle. Naturalmente diedi la spiegazione in italiano. Osservando i loro volti non vidi segni di cedimento e allora decisi che era giunto il momento di dare la parola al Sig. Marchetti che, comodamente seduto in poltrona a casa sua, telefona all’Hotel Universo per prenotare una camera. La Ricostruzione di conversazione filò via in un baleno, forse più velocemente di quando la faccio alla Dilit lnternational House
Cosa stava succedendo? Perché non avevo incontrato tutte le difficoltà e resistenze che avevo immaginato? Eppure era un gruppo normalissimo formato da persone di diversa estrazione sociale con un’età media sui 35 anni. In ogni caso volevo verificare se le mie paure precedenti erano dovute solo a pregiudizi, e così, dopo averli lavorati ai fianchi, decisi di assestare un colpo da KO: I ‘Ascolto autentico. E ricomparve il Sig. Marchetti che ora rivendicava il proprio buon diritto ad avere la camera che aveva prenotato.
Prima dell’ascolto li avevo pregati di non scrivere e di abbandonarsi semplicemente alla melodia della lingua italiana e durante l’attività, anche se in disparte, li osservavo cercando di cogliere i primi sintomi di disperazione, ma neanche questa volta ci furono.
Dopo l’ascolto spiegai che dovevano sedersi di fronte al vicino e parlare di quanto avevano sentito. Non capirono subito e così mostrai loro come dovevano disporsi, dopodiché li lasciai liberi di parlare, dicendo che potevano parlare anche in tedesco. A questa consultazione seguì un altro ascolto e così via per sei volte senza che io avessi potuto intravedere un segnale di benché minimo fastidio. A mezzogiorno quando andai a fare pranzo ero abbastanza soddisfatto.
Iniziai il pomeriggio con una Lettura autentica, un testo di 25 righe in cui una persona parla di sé e della propria famiglia, a cui feci seguire una Produzione orale guidata in cui ognuno, prendendo spunto e lessico dal testo appena letto, si presentava ad un compagno. Era la prima attività in cui dovevano parlare solo italiano, ma questo sembrava non spaventarli. Anzi sembravano soddisfatti.
Per concludere la giornata un po’ di musica italiana. Ascoltammo “E penso a te”, una vecchia canzone di Lucio Battisti, con il compito per loro di riempire le lacune presenti nel testo che avevo distribuito.
Al termine dell’attività restava ancora un po’ di tempo, che impiegai per una Lettura analitica del testo della canzone. Il compito era quello di cercare tutti i verbi al presente indicativo. Il giorno seguente iniziammo con il confronto fra di loro dei risultati della loro ricerca.
E così andammo avanti per tutta la settimana. Non mi dilungo nella descrizione particolareggiata dei giorni seguenti, ma ci tengo a dire che il martedì ci fu anche un momento di grave scoraggiamento da parte di una ragazza. Quando me ne accorsi la pregai di attendere un attimo al termine della lezione e le parlai a quattr’occhi, cercando di capire quali erano le sue difficoltà. Aveva l’impressione di essere l'”ultima della classe” e si sentiva un po’ discriminata da parte del resto del gruppo. Ne discutemmo e in sostanza quello che le dissi era semplicemente che ognuno deve fare la propria strada senza preoccuparsi troppo degli altri. Nei giorni seguenti la vidi rincuorata, partecipava con maggior interesse e dava l’impressione di divertirsi.
Ci siamo lasciati lei, io e tutti gli altri con la promessa di ritrovarci nel prossimo corso nel marzo 1994.