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Il parlante e l’ascoltatore

A: Allora… ti volevo parlare di un problema che ho praticamente da quando sto qua, ma che comunque adesso non è più così grave come all’inizio. Il problema è…, non so come dire, la disciplina in classe. Per esempio, mentre svolgiamo un’attività gli studenti parlano tra di loro in italiano, non per tutto il tempo, ma anche per un attimo e a me dà molto fastidio. Ho provato in diversi modi a risolverlo. Comunque adesso non è più tanto grave perché ho notato che ho maggior sicurezza e riesco a risolverlo meglio.

B: Allora, noi ci vediamo perché vogliamo parlare di un problema che tu hai fin dall’inizio ed è quello legato alla disciplina che si crea quando gli studenti parlano l’italiano durante l’attività in classe. È un problema che comunque col tempo sta diminuendo, perché hai raggiunto una certa sicurezza.

A: Esatto. Come dicevo, all’inizio ero molto più insicura e penso che gli studenti l’avvertissero. Io desideravo creare una buona atmosfera in classe, ma mi restava difficile perché da un lato non volevo fare la parte dell’insegnante cattiva che vieta tutto e dall’altro dovevo mantenere la disciplina. Adesso però, noto che riesco molto meglio a rappresentare un’autorità in classe e gli studenti si sforzano di più a parlare in tedesco in mia presenza. Ma quando conversano tra di loro oppure quando non li ascolto continuano a parlare in italiano. Andando a vedere i colleghi al lavoro, ho però notato che anche nelle altre classi succede la stessa cosa e che dunque il problema non è solo mio.

B: Ritorni a parlare degli inizi, legandolo ad un problema di insicurezza che gli studenti avvertivano. Sentivi di dover creare in classe un ambiente piacevole, ma ti restava difficile dal momento che dovevi mantenere anche la disciplina, per cui non riuscivi a trovare un equilibrio. Poi dicevi che mentre osservavi le lezioni di altri insegnanti ti sei resa conto che anche nelle altre classi gli studenti parlavano la lingua madre e che quindi sei tu a considerare questo problema estremamente importante.

A: Sì. Sicuramente tutto questo ha a che fare… non so… con il fatto che sono tedesca. Io mi sento molto responsabile con il lavoro che mi è stato dato. Lo voglio fare bene e mi dà molto fastidio non riuscire a dare il massimo. Vorrei trovare un modo per risolvere questo problema. Anche se ho trovato delle soluzioni non sono ancora contenta.

B: Tu pensi che sia dovuto al fatto che ti senti molto responsabile e forse sono le tue origine tedesche che ti danno questa rigidità nel pensare che quando ti è stato dato un lavoro da svolgere lo devi fare assolutamente bene e se non ci riesci ti dà fastidio. Per te lavorare e fare l’insegnante significa mantenere il tedesco come l’unica lingua parlata durante la lezione. Anche se adesso hai trovato dei modi per riuscirci hai voglia di andare avanti.

In varie occasioni durante il corso di Formazione Continua che noi insegnanti alla Dilit-International House seguiamo regolarmente si era parlato di un tipo di colloquio molto particolare che si poteva attuare anche fra colleghi: chi ha un problema ha il ruolo del “parlante” e l’altro quello dell'”ascoltatore”.

Un giorno, Monika (insegnante di tedesco) mi chiese se volevo fare un colloquio di quel tipo con lei perché aveva un problema in una classe. Io fui molto felice di accettare perché questo tipo di colloquio mi incuriosiva moltissimo.

Abbiamo registrato due colloqui in cui Monika ha il ruolo del “parlante” e io il ruolo dell'”ascoltatore”.

Ecco la modalità che abbiamo seguito durante il colloquio:

1.Il parlante…
il parlante: un insegnante che vuole esprimere e in questo colloquio esplicita il suo specifico disagio.

2. Il parlante ha bisogno di risolvere…
risolvere: non sempre si può risolvere ma l’importante in questo caso è esprimere, raccontare a qualcuno.

3. Il parlante ha bisogno di risolvere un problema…
un problema: in un primo momento il parlante esprime un suo problema ma invece a volte la vera natura del problema è altrove.

4. Il parlante ha bisogno di risolvere un problema e sceglie…
sceglie: l’iniziativa viene dal parlante. è il parlante che si confida. Dunque sceglie in base alle sue simpatie, alle sue preferenze e alla fiducia che depone nell’ascoltatore.

5. Il parlante ha bisogno di risolvere un problema e sceglie un ascoltatore…
un ascoltatore: è un insegnante che ascolta il parlante. L’ascoltatore, dopo aver ascoltato per un po’, interrompe e riformula ciò che aveva detto il parlante. Le sue frasi cominciano con “Mi sembra di aver capito …” oppure “Se ho capito bene hai detto che …”.

6. Il parlante ha bisogno di risolvere un problema e sceglie un ascoltatore che riformulerà…
riformulerà: quando riascolta la versione dell’ascoltatore il parlante si distanzia e questo l’aiuta a focalizzare la vera natura del problema.

7. Il parlante ha bisogno di risolvere un problema e sceglie un ascoltatore che riformulerà il contenuto…
il contenuto: il parlante, dopo aver ascoltato la riformulazione dell’ascoltatore, risponde “Sì, è così” oppure “No, non intendevo questo” e riaggiusta la sua versione dei fatti.

8. Il parlante ha bisogno di risolvere un problema e sceglie un ascoltatore che riformulerà il contenuto di tanto in tanto o che rilancerà il discorso…
rilancerà il discorso: non solo riformula: a volte si presenta il caso in cui l’ascoltatore vuole spiegazioni su un fatto oppure cambia direzione.

9. Il parlante ha bisogno di risolvere un problema e sceglie un ascoltatore che riformulerà il contenuto di tanto in tanto o che rilancerà il discorso. Continua così fino ad arrivare ad un punto chiave.
punto chiave: il problema è stato definito, delimitato, focalizzato. Riformulando e rilanciando si esaurisce il racconto. Allora si può considerare il colloquio parlante/ascoltatore finito. La relazione parlante/ascoltatore si spezza.

Si invita al proseguimento della lettura della trascrizione dei due colloqui.

A: Sì, nell’insieme ci riesco, ma ci sono sempre dei singoli elementi che mi creano tanti problemi. Per esempio adesso ho un problema particolare con uno studente, che non so come risolvere.

B: Con la classe, nell’insieme non hai molto problemi, perché riesci a tenerla compatta nel farla parlare la lingua tedesca, però ci sono degli studenti che ti creano questo problema. Per esempio adesso in una classe c’è uno studente a darti dei problemi.

A: Prima, quando ho cominciato, c’erano intere classi che parlavano in italiano. Anche se su quindici studenti soltanto cinque avevano delle difficoltà, tutti, essendo di madrelingua italiana, rispondevano in italiano e per me era molto difficile trovare il momento in cui dire: “Basta, a questo punto non si parla più italiano”. Sai… per un insegnante di italiano, che ha una classe composta da studenti di tutte le nazionalità che risiedono in Italia e che devono comunque parlare questa lingua, è tutto più facile. Invece se tutta la classe è di madrelingua italiana è molto più difficile che gli studenti comunichino tra di loro in un’altra lingua. In genere lo consento agli studenti del primo livello: durante il primo mese possono pure parlare in italiano durante le attività. Adesso ci riesco meglio e con le classi che ho da sei mesi si parla esclusivamente in tedesco.

B: Adesso hai parlato della differenza che c’è tra le classi composte interamente da studenti della stessa madrelingua e quelle che invece sono composte da studenti di lingue diverse. Tu dici che nel primo caso è molto più difficile.
Poi hai parlato dei primi livelli, dicendo che all’inizio gli viene data la possibilità di parlare in italiano, perché durante il primo mese non hanno la capacità di parlare sempre il tedesco, ma che una volta superata la fase iniziale, ti resta molto difficile imporgli di parlare sempre e soltanto in tedesco. Difficoltà che invece non riscontri con gli studenti dei primi due anni.
Vuoi parlare di questo passaggio?

A: Penso di aver acquistato più sicurezza rispetto agli inizi. Prima non ero molto convinta perché mi chiedevo che cosa potevo pretendere dagli studenti. Con gli anni, con l’esperienza che ho acquisito, ho capito che cosa potevo pretendere. Credo che dipenda dal fatto che sono diventata più dura. Prima sorridevo sempre, li scusavo, mentre adesso li guardo con durezza e riesco meglio ad impormi. Ad aiutarmi è la mia sicurezza.

B: Il fatto di avere più sicurezza ti dà la possibilità di capire cosa pretendere. Sicurezza che hai conquistato con l’esperienza. Ora non sorridi più quando pretendi, ma sei più seria, lo studente lo capisce e si rende conto che non può rifiutarsi di parlare in tedesco, perché sente che tu sei più forte.

A: Come ti dicevo prima, ci sono degli studenti che mi fanno impazzire. Noto che, e questo mi dà un po’ fastidio, che sono molto più tollerante con gli studenti che mi sono simpatici. Con loro sono indulgente: penso che hanno problemi con lo studio, con il lavoro e li capisco anche se si assentano e ritornano dopo qualche lezione. Ma se avverto che le difficoltà di uno studente dipendono dalla mancanza di impegno, provo un fastidio tremendo, specialmente se mi è antipatico… non so [il parlante è molto imbarazzato] è difficile staccarsi dalle antipatie/simpatie che si possono provare anche nel ruolo dell’insegnante.

B: Adesso invece hai parlato degli studenti che ti fanno impazzire. Dicevi che quando uno studente ti è simpatico anche se si assenta, ritorna dopo qualche lezione e sbaglia, tu ti senti più indulgente. Invece con lo studente che dovrebbe sapere quello che tu gli chiedi e non fa sforzi e in più ti è antipatico, tu reagisci in maniera più severa.

A: Sì, severa, e non so come reagire. Per esempio c’è uno studente del primo livello che ha la madre tedesca. Probabilmente non si sono parlati più di tanto in tedesco, ma comunque noto che lui capisce molto e quando deve scrivere delle lettere o quando mi parla, ogni tanto usa delle espressioni che di solito uno studente del primo anno non sa. Il suo vocabolario non è normale per un primo anno. Ricordo che all’inizio gli avevo subito proposto di iscriversi ad un livello superiore, magari un secondo livello, ma lui si era rifiutato. Siccome non avevo capito o non mi aveva permesso di capire bene a che punto era la sua conoscenza del tedesco, non ho insistito. Invece adesso noto che questo studente, che frequenta regolarmente, con gli altri fa sempre il grande maestro: spiega le regole della grammatica, sempre in italiano, e anche quando parla con me si esprime in italiano. Lui dice che non gli viene spontaneo, ma io noto, dal suo modo di esprimersi in tedesco, che lui ci riuscirebbe benissimo e a me il fatto che non si sforzi dà un fastidio tremendo. Mi fa rabbia il fatto che non riesco a stimolarlo e lui lo sente. Mi sembra che lo faccia deliberatamente per farmi arrabbiare.

B: Hai parlato di uno studente in particolare, la cui madre è tedesca che probabilmente non gli ha parlato in modo coerente in tedesco. Tu hai notato che quando per esempio scrive, a volte usa delle espressioni ed un vocabolario che non è proprio quello di un principiante. Quando lui è arrivato tu hai capito subito che non era un primo livello e hai provato a mandarlo ad un livello superiore, ma lui ha rifiutato la tua proposta. Tu noti che questo studente spiega agli altri le regole in italiano e che nonostante, rispetto al resto della classe, ha la capacità di parlare il tedesco si rifiuta di farlo. Secondo te non lo fa perché non si sforza e questo fatto ti fa rabbia. Tu fai di tutto e ti senti incapace nel non riuscire a farlo parlare in tedesco e ti sembra che in lui ci sia anche una sorta di piacere nel farti arrabbiare per questo motivo.

A: Ho provato in tanti modi. Per esempio ho istituito una cassa, facendo pagare chiunque parlasse in italiano, ma è un modo che non mi piace perché trasforma l’insegnante in un poliziotto. Perciò ho lasciato perdere. Il fatto è che per il resto della classe non ci sono grossi problemi, ma la presenza di un elemento così permette agli altri di mettersi a parlare in italiano. Non riesco a trovare il modo… Chissà, forse vuole esprimere delle cose troppo elaborate e non ci riesce oppure non si sforza. Fa sempre dei commenti… anche stupidi, sempre in italiano.

B: Tu dici che hai provato in tutti i modi, anche istituendo una cassa, facendo cioè pagare una multa a tutti quelli che parlavano in italiano, ma non ti piaceva fare la parte del poliziotto.

A: Sì, e non ero molto convincente perché si sentiva che non mi piaceva comportarmi così.

B: Con il resto della classe non ci sono grossi problemi anche se il fatto che questo studente parla in italiano spinge anche gli altri a fare altrettanto. “Perché lui sì e noi no?”.

A: Per me questo è veramente un problema, oltre al fatto che questo studente mi sta veramente antipatico, perché ha qualcosa di depravato, non so… come guarda, le stupidaggini che dice. Una volta ho chiesto agli studenti di parlare del medico, del corpo e lui ad un certo punto ha detto in tedesco “Busen”. Allora io gli ho chiesto di dire che cosa significava e lui non ha risposto, costringendo me a dare la spiegazione del termine. Allora ho detto a voce alta che “Busen” significava “seno” e lui deve aver pensato che io mi sentivo imbarazzata davanti alla classe nel dire questa cosa e si è divertito da morire. Ecco lui si diverte così e a me da molto fastidio. Dio! Lo trovo stupido e mi dà fastidio essere presa in giro così.

B: Hai detto che ti sta molto antipatico e che per esempio quando una volta avete parlato di vocaboli rispetto al corpo lui ha detto una parola in tedesco…

A: “Busen” sì…

B: … tu hai chiesto alla classe che cosa significava.

A: No, ho chiesto a lui che cosa significava perché lui aveva detto “Busen“, sapendo benissimo che cosa significava.

B: … ma lui però non ha risposto e ti ha praticamente obbligata a dire la parola in italiano, che sarebbe “seno”. Ti sei sentita male perché hai capito che lui ti voleva mettere a disagio.

A: Sì, ma questo è il suo modo, diciamo così, strano di ribellarsi ed è per questo che mi è antipatico.

B: E dicevi che ti dava fastidio perché lo trovi stupido e non sopporti essere presa in giro.

A: Sì, e non so come risolvere questo problema. Ma oltre a questo ho un altro problema legato sempre alla disciplina. Per esempio in un’altra classe del terzo livello c’è una ragazza molto molto brava, già da tre anni in classe con me. E con lei c’è un’altra ragazza, anche lei molto brava, e a tutte e due piace molto chiacchierare. Se ne stanno tutto il tempo a parlare in tedesco tra di loro. “Che fai… che non fai… il tuo nuovo fidanzato… bla bla bla”. Anche se si dovrebbe parlare di tutt’altro, loro parlano soltanto di questo e a me sta bene fino ad un certo punto, perché ogni tanto bisognerebbe parlare di argomenti interessanti, mentre loro non parlano che dei loro nuovi fidanzati. È difficile dirgli non parlate di queste cose e ogni tanto provo a cambiarle di gruppo, ma loro si mettono spesso vicine e non posso sempre dividerle. Non sempre lo farebbero anche perché una delle due è una “dark” e quindi non è certo una tipa ubbidiente. Non so…

B: Dicevi che… prima non sapevi molto bene come risolvere il problema dello studente italiano e adesso che rispetto alla disciplina c’è un altro problema in una altra classe dove c’è una ragazza molto brava a cui piace chiacchierare con un’altra ragazza, altrettanto brava. Parlano in tedesco ma sempre dei loro ragazzi e anche quando tu proponi degli argomenti interessanti loro parlano sempre dei loro ragazzi e a te dà molto fastidio. Vorresti che loro parlassero dell’argomento che tu hai proposto e non delle loro cose. Hai provato ad impedirglielo facendole cambiare di gruppo, però è una soluzione che non puoi applicare sempre perché non puoi iniziare la lezione ogni volta invitandole a separarsi. E poi una delle due è una “dark”, per cui è una di quelle che possono anche rispondere.

A: Sì, perché se tu le dici “Alzati e mettiti lì” e lei ti risponde “No!” che fai? In questa scuola non abbiamo i mezzi per punire, che so attraverso un voto negativo. E poi lei mi conosce da tre anni. Forse uno studente nuovo può sentirmi come un’autorità, invece lei mi conosce benissimo. Vabbé… ma non è un problema grosso, è l’altro studente del primo livello il problema più grave.
Tutto sommato il problema della disciplina in classe per me era molto più grave due, tre anni fa. Intanto mi sono abituata e adesso mi chiedo se è un problema legato più alla disciplina o più alla mia tolleranza. A volte potrei sorvolare, essere più tollerante. Non so se è il mio carattere a trasformare tutto questo in un problema o se invece è giusto che lo senta così. Certo non c’è nessuno che può dirti “È così!”, è una cosa molto personale.

B: Dicevi che questa ragazza ti conosce bene, mentre invece se non ti conoscesse avresti più autorità su di lei. Invece ti conosce bene e si permette di risponderti come vuole. Però comunque non è un problema così importante. Il vero problema è l’altro ragazzo. Stai ripensando alla questione della disciplina chiedendoti se è un problema più legato alla tua tolleranza e quindi una questione che ha a che fare con il tuo carattere. Oppure se è giusto essere così. Così… puoi specificarmi?

A: Così… più tollerante. Se capisco che si stanno dicendo due, tre battute in italiano e poi vanno avanti in tedesco devo saper lasciar correre.

B: Vorrei tornare alla questione dell’altro ragazzo. Dicevi che hai l’impressione che lui ci prende gusto a darti fastidio e che contemporaneamente fa il capoclasse e che ha rifiutato di andare in un corso più avanzato.

A: Sì, io penso che lui fa molto bene, non so che professione faccia, non me lo ha mai detto. Deve essere un impiegato, uno che non ha molto successo nella vita e perciò gli piace il fatto di stare in questa classe dove può fare il capogruppo, quello che sa più degli altri, in genere studenti dell’università, a cui spiega le regole grammaticali. Io praticamente gli rovino il gioco dicendo che non si deve parlare delle regole, ma di quello che si è capito, sentito.

B: Hai detto che questo studente non parla molto di quello che fa nella vita e che, secondo te, fa un mestiere come quello dell’impiegato, dal quale non ricava molta soddisfazione. Perciò il fatto di essere il capoclasse gli dà il piacere di spiegare agli altri, che magari sono anche laureati, sentendosi in questo modo importante. Invece tu gli rovini il gioco, dicendogli che non può spiegare in italiano. E quindi c’è un conflitto che lo porta a comportarsi così.
Puoi parlare un po’ di più del fatto che gli rovini il gioco?

A: Io non lo vedo come un gioco che viene rovinato. A lui piace molto dire che qualcuno non ha capito e spiegare. Adesso quello che mi dispiace è che dopo che ne abbiamo parlato, una settimana fa, non è più venuto. Mi ha detto che doveva tornare in Basilicata, lui è della Basilicata, e che sarebbe tornato la prossima settimana. Perciò adesso non c’è tutta questa urgenza. Anche se c’è un’altra cosa che mi viene in mente: lui mi ha detto che ha una madre tedesca con cui ha parlato poco in tedesco, perché è stato educato dalla nonna che ha esercitato un grosso potere su di lui, impedendogli di parlare in tedesco con la madre. Questo fatto potrebbe farci capire che il suo senso di oppressione risale alla sua infanzia.

B: Tu dici che lui ha una madre tedesca con cui quasi mai ha parlato in tedesco, perché è stato educato dalla nonna che secondo te ha avuto un ruolo importante nella sua educazione e che forse nella sua psicologia ha contribuito a farlo sentire dominato. Il segno della forza della nonna risiede nella sua infanzia. Mi puoi spiegare un po’ meglio che cosa può significare?

A: Lui me lo ha accennato così, tra una cosa e l’altra, e non abbiamo approfondito. Io gli avevo detto che trovavo strano il fatto che avendo una mamma tedesca non sapesse parlare questa lingua. E lui mi ha detto che la famiglia del padre non voleva che lui imparasse il tedesco, non so se glielo ha vietato la nonna, non ho capito bene. Se la mamma viveva con lui… oppure no. Non ho approfondito. Ma mi sembra che a lui dispiaccia molto di non saper parlare il tedesco, oggi, e che quello che sa lo deve al periodo in cui risiedeva in Germania con la madre.

B: C’è un’altra cosa che dicevi. Che secondo te, da quanto ti ha raccontato, la famiglia del padre non voleva che lui imparasse il tedesco mentre a lui sarebbe piaciuto e quello che ha imparato lo deve ai periodi trascorsi con la famiglia della madre. Volevo chiederti: ma come mai c’è stata questa separazione dalla madre?

A: Purtroppo eravamo andati insieme alla fermata dell’autobus e quando è arrivato il mio autobus il discorso si è interrotto e non abbiamo mai più approfondito. Da un lato lui si comporta come si comporta, dall’altro mi vuole raccontare di sé. È un tipo molto strano e in classe non si può parlare di queste cose, perché sono molto personali. Io gli rovino il gioco impedendogli di fare il capo… non so come dire. Certo che se lui si mette a spiegare agli altri le regole grammaticali mentre io li invito a parlare, ad usare la fantasia, lo riprendo dicendogli che quanto sta proponendo non è importante in quel momento. Forse per lui quello che facciamo è troppo facile, ma io non ho mai capito veramente a quale livello sta. Non me lo fa capire. Forse è ad un secondo livello. Non so.

B: Mi hai parlato di nuovo del suo atteggiamento in classe, del fatto che tu gli rovini il gioco quando blocchi la sua voglia di spiegare le regole in italiano agli altri , mentre tu vuoi farli parlare del testo. E poi non riesci a capire il suo vero livello perché lui fa sempre in modo chi non fartelo capire. Forse è a un secondo livello, per cui forse si annoia probabilmente. Forse ho un po’ esagerato su questa parte , ma volevo essere sicura.

A: Sì, sì, va bene possiamo anche… [è impacciata e le sembra che l’ascoltatore voglia interrompere il suo sfogo]

B: … perciò adesso vorrei fare il punto. A te dà fastidio il fatto che lui non segua le regole e che tu passi il tempo a dirgli di seguire le regole che lui non segue.

A: Se uno non segue le regole per un attimo non fa niente, ma se lo fa in continuazione anche il resto della classe si ribella e si mette a parlare in italiano o della grammatica. Ci sono delle regole che si devono seguire.

B: Allora bisogna trovare un sistema per obbligarlo a seguire queste regole. E le multe non funzionano.

A: Ci ho provato e siccome è lui quello che ha pagato più degli altri per aver parlato in italiano, alla fine diceva che non aveva i soldi e faceva un sacco di storie. Io non mi ci sentivo in quel ruolo.

B: No. Pensavo all’autodisciplina. A come farla scatenare in modo che funzioni. La disciplina fra di loro. Le multe non funzionano però qualcosa dovrebbe far sì che siano gli altri a far osservare le regole.

A: Ma sì, tu sai che ci sono quelli bravi che vogliono parlare, ma ci sono anche quelli deboli che sono contenti se c’è finalmente qualcuno che gli parla in italiano e che spiega le regole che non hanno ancora capito.

B: Quanti sono?

A: In una classe… mi pare sono dodici, ma adesso ci sono alcuni che non vengono più e quindi sono otto-nove.

B: Be’, non sono pochi.

A: No. No. Due o tre sono piuttosto deboli. Io cerco sempre di trovare il modo di non metterli insieme con lui, mentre lui lo metto affianco di una persona brava, che è interessata a parlare in tedesco.

B: Quello che si potrebbe fare, secondo me, è che tu faccia terminare molte attività con un Quiz. Oltre alla socializzazione, dovresti utilizzare il Quiz. Sai fare il Quiz?

A: No.

B: Cioè dividi la classe in due squadre: A e B. Poi sulla lavagna scrivi le regole del gioco, fra cui c’è quella che fa perdere un punto alla squadra di chiunque parli italiano. Poi fai il Quiz. Per esempio se fai l’Ascolto, fai prima delle socializzazioni in coppie e poi tagli la classe in due squadre per iniziare il Quiz.

A: E tu come le crei le squadre?

B: Sto molto attenta. Perché all’inizio hanno lavorato in coppie. E quelli che sono stati in coppia non li puoi mettere in squadre diverse perché altrimenti andrebbero a raccontare agli altri, al nemico, ciò di cui hanno parlato. Mi sono spiegata?

A: Sì, ma si saranno già cambiate le coppie.

B: D’accordo, ma devi stare attenta a come fai i cambi: il nuovo partner di un determinato studente deve trovarsi nella stessa squadra dell’altro più tardi.
Le due squadre si avvicendano per ben mezz’ora ad interrogarsi sulla loro comprensione della registrazione. La prima regola è che si parli in tedesco, altrimenti la squadra perde un punto. Sono gli studenti a controllare. In questo modo se la vedono fra loro. Non devi più essere tu a controllare.

A: Ho visto queste due volte che lui non c’era che con la classe non ho grandi problemi. Anche se ci sono quelli più deboli, almeno stanno zitti se non lo sanno, ma non è che si mettono a parlare in italiano.

B: Prova la settimana prossima e poi mi dici.

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Tre settimane più tardi

B: Eravamo rimaste ai Quiz.

A: Sì, dopo la nostra conversazione lo studente che mi dà problemi, Franco, non è venuto per due lezioni e così i Quiz sono saltati. Quando è tornato ho diviso la classe in due gruppi e ho chiesto di descrivere la famiglia. Come al solito lui non ha saputo trattenersi dal fare commenti in italiano e la sua squadra ha perso cinque punti. Quelli della sua squadra erano tutti un pochino arrabbiati. Adesso tutti gli studenti gli dicono che deve parlare in tedesco ed io provo a trattenermi. Ci vorrebbe più tempo per approfondire la sensazione che riceve tutta la classe.

B: Dici che purtroppo non c’è stato molta possibilità di sperimentare questa soluzione, perché lui si è assentato per qualche lezione. Però sei riuscita a applicare il principio una volta, dividendo la classe in due gruppi. Come al solito Franco non si è trattenuto e la squadra ha perso cinque punti e questo ha fatto reagire il gruppo contro di lui.
Hai notato in seguito che c’è una maggiore partecipazione da parte degli studenti nell’intervenire per farlo parlare in tedesco. Secondo te ci vorrebbe più tempo per verificare se questa soluzione funziona veramente.

A: Sì, anche se è questa classe ad essere un po’ particolare. È grande e ci sono alcuni studenti che vengono due volte sì, una no, ecc. Uno ha un seminario da seguire, altri dei problemi di lavoro, spesso arrivano in ritardo. Il livello di alcuni studenti è piuttosto basso e quindi sono proprio contenti quando qualcuno parla in italiano. Il problema è dunque quello dei vari livelli in classe. Ci sono degli studenti veramente bravi: frequentano regolarmente, si impegnano, seguono e altri che ci provano, ma che per ragioni personali non possono sempre frequentare e rimangono indietro. Per questi ci vuole più tempo.

B: Dicevi che questa classe è un po’ particolare, perché ci sono degli studenti che frequentano regolarmente ed altri no. Poi ci sono quelli che arrivano sempre un po’ in ritardo, per cui ti sembra che ci siano studenti di vario livello. Quelli meno regolari hanno maggiori difficoltà e ti sembra che in certi momenti sono anche contenti che Franco li possa aiutare, risolvendo rapidamente in italiano i loro problemi. Per questo, secondo te, ci vuole più tempo per poter coinvolgere tutti in questo modo.

A: E poi è successo qualcosa su cui mi piacerebbe conoscere la tua opinione. Tu sai che noi alla fine dell’anno accademico facciamo una festa e ogni classe dovrebbe (se vuole) cantare o recitare in tedesco. Io ho proposto diverse volte alla classe di farsi venire un’idea e alla fine chi ne ha proposta una è stato Franco, che portava una favoletta, un libretto, con tanto di morale… in italiano! Io l’ho lasciato fare e lui ha spiegato in italiano il contenuto di questa favoletta. Gli altri erano d’accordo. Da allora ci siamo occupati di questo, pensando a come organizzarlo. Era una storiella raccontata che bisognava trasformare in qualcosa da recitare, così da coinvolgere tutti. Allora ho chiesto alla classe chi era interessato a partecipare. Franco mi ha detto che aveva chiesto ad un suo amico, a Cinecittà, un regista. Vabbè. Ho detto: “Facciamo così: tu, Franco, mi dai questo libretto, ed io faccio delle fotocopie facendo in modo che su ogni pagina rientrino cinque, sei pagine del libretto. Le diamo a tutti e così anche gli altri possono vedere come recitare questa favoletta”. Cosa fa? La lezione successiva si presenta con 12 pagine fotocopiate del libretto, mettendomi in condizione di non poterle garantire ad ogni studente. Gli ho detto che questa non era la mia idea e che quindi bisognava preparare tutto in un altro modo. Ancora una volta mi ha detto che ci pensava lui. Io, nel frattempo ho consegnato queste fotocopie ad un’altra studentessa, che si era offerta di adattare il tutto in chiave teatrale. Mi sono raccomandata con lei e Franco di coinvolgere tutti, garantendo ad ognuno una battuta da dire. Okay.
Ultima lezione: la studentessa dimostra di aver capito benissimo il compito. (Quindi non può essere che io mi sia espressa male.) Presenta due pagine riassuntive della favoletta da recitare, con battute in un tedesco, dal livello piuttosto basso, comprensibile a tutti.
Che fa Franco? Presenta un adattamento, molto elaborato… in italiano! Aveva persino indicato ai lati delle battute come decorare il palcoscenico, il modo in cui dire le battute. Insomma, un lavoro molto elaborato che però non andava bene per il livello degli studenti. Inoltre, secondo lui, ognuno degli studenti doveva portare a casa le dodici pagine fotocopiate del libretto e tradurle. Capisci che se facciamo questa cosa… 
[ride] non ci basta un anno!

B: Come tutti gli anni, voi insegnanti proponete agli studenti di fare una festa. E quindi tu hai proposto di organizzare una recita oppure di cantare qualcosa per fare uno spettacolo. Franco ha portato un libretto contenente una favoletta in italiano e tu gli hai chiesto di fare delle fotocopie che non includessero le immagini. Questo serviva a diminuire il numero delle fotocopie. Lui invece, la volta successiva, ha presentato undici pagine che riproducevano esattamente il contenuto del libro. Tu gli hai detto che la tua idea era quella di limitare il numero delle fotocopie, prendendo soltanto le pagine contenenti il testo. Franco ha detto che ci pensava lui. Contemporaneamente hai dato ad un’altra ragazza, che si chiama Elisabetta, le fotocopie che Franco ti aveva dato la volta precedente. Hai quindi affidato a tutti e due il compito di adattare il testo ad una recita, chiedendo inoltre di garantire a tutta la classe delle battute da recitare. Nell’ultima lezione Elisabetta ha portato un testo che riassumeva in due pagine il contenuto del testo, con tanto di battute per tutti. Perciò aveva capito bene il compito: testo breve, tedesco facile. Franco invece ha presentato un testo molto elaborato, suggerendo persino lo scenario e pretendeva che ognuno si portasse a casa una pagina per tradurla.

A: Questo fa capire la mentalità di questa persona. Vedendo questa cosa io ho capito che lui non riesce a rimanere al suo livello di conoscenza del tedesco. Lui vuole sempre le cose perfette, esprimersi in un modo molto più elaborato, ma non ci riesce e per questo ricorre all’italiano. Lui non accetta di esprimersi in un modo più semplice, meno elaborato.

B: Secondo te il fatto che lui abbia perfezionato questa scenetta indica la sua mania per la perfezione che in tedesco non può ottenere. Perciò, alla fine, non si accontenta di essere approssimativo in tedesco e ripiega sull’italiano.
Ma tu hai notato come si comporta con gli altri quando si esprime in italiano?

A: Lui? Gli altri italiani?

B: Lui come si comporta con gli altri italiani al di fuori della lezione?

A: Vedo che vanno tutti insieme alla stazione, prendono l’autobus e parlano, fanno i loro discorsi. Ma secondo me non è molto simpatico agli altri anche se è integrato nel gruppo. Comunque… dal momento che la festa ci sarà la prossima settimana e non c’è molto tempo per preparare la scenetta, alla fine tutti hanno deciso di fare il lavoro preparato da Elisabetta. A Franco abbiamo detto che ci dispiaceva per tutto quel lavoro che aveva preparato, ma che non era una cosa che si poteva concludere in una settimana. Abbiamo così cominciato a distribuire i ruoli e a cercare il materiale necessario per la recita. E adesso, stasera, vogliamo provare. Franco ha detto che prepara la corona, la maschera della ranocchia. Insomma non si è tirato indietro di fronte al fatto che non si faceva la sua versione della recita e che non avevamo molto tempo per organizzarla.

B: La classe ha deciso di recitare il testo di Elisabetta, perché facilmente applicabile, visto il poco tempo a disposizione. Lui non ha reagito male perché subito si è rilanciato dicendo che ci pensava lui a procurare il materiale per la recita: la corona, ecc. Non se l’è presa, perché ha capito che non c’era tempo.

A: C’è un’altra cosa molto interessante. Quando lui si è presentato la prima volta, gli ho proposto di iscriversi ad un livello più alto e lui si è rifiutato. Invece due-tre lezioni fa, dopo la lezione, è venuto da me e mi ha spiegato perché non aveva mai voluto frequentare un livello più alto. Perché gli sarebbe servito un certo tipo di materiale (grammatica, spiegazioni, roba del genere), qualcosa che doveva mandargli sua zia dalla Germania. E siccome la zia non gli ha mai mandato nulla non se la era sentito di provare. A me è sembrato molto strano questo discorso. Si trattava di una giustificazione che giungeva dopo un bel po’ di tempo, praticamente alla fine del corso.

B: Ultimamente ti ha spiegato i motivi per cui non è voluto mai andare ad un livello superiore, quello che tu gli avevi consigliato. Ti ha detto che per poterlo fare aveva bisogno di materiale, come la grammatica, che gli doveva mandare una zia dalla Germania. Ma questa non glielo ha mai mandato. E secondo te questa è una giustificazione che ti dà soltanto adesso che è finito il corso. È veramente strano!

A: Sì.