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Risposta ai pensieri di Alessia Castelli

Caro Christopher,

ho letto con molto interesse l’esperienza di Alessia Castelli nel Bollettino Dilit 2010, n.1. Mi piacerebbe molto risponderle per fare in modo da condividere (anche con gli altri insegnanti) le nostre esperienze.

Marica Spagnesi

Pensiero n.1 in risposta generale

“Aggie sbajato n’ata vota”
Rosalba in “Pane e Tulipani” di S. Soldini

Non sono un’insegnante di grande esperienza ma un’idea inizia a farsi largo nella mia testa. Che tutto questo “sbagliare” sia un elemento fondamentale e una risorsa indispensabile nel nostro lavoro? Due sono le cose: o sbaglio sempre perché 1) sono una pessima insegnante, 2) faccio male il mio lavoro, 3) questo lavoro non mi è mai piaciuto, non mi piace o non mi interessa. Oppure sbaglio sempre perché questo “sbagliare” fa parte del lavoro: è un suo elemento naturale e fondamentale, una risorsa, una ricchezza, un’opportunità.

Torniamo alla terza ipotesi della prima cosa. La elimino perché non mi riguarda (visto che faccio il lavoro più bello e interessante del mondo) e mi concentro sulle altre due. Ma anche in questo caso sarebbe molto strano “sbagliare” sempre. Almeno ogni tanto una giusta la dovrei fare (per la statistica, voglio dire).

È probabile, allora, che io non sia una pessima insegnante e neanche che io faccia così male il mio lavoro. Verosimilmente sono un’insegnante che ama il suo lavoro, curiosa, interessata e un po’ ostinata che cerca di fare bene quello che fa ma che non sempre ci riesce. Quindi sono un’insegnante che sbaglia. Spesso.

Come mai la lezione migliore è sempre quella che avremmo nella testa e che non abbiamo mai fatto? Come mai ci figuriamo un’attività perfetta che poi perfetta non viene mai? Come mai la teoria si va spesso a far friggere?  Come mai così spesso ci si sente frustrati e si pensa di non aver fatto attenzione a questo o a quell’aspetto? Di averne sottovalutato o sopravvalutato un altro (proprio quello che secondo noi era determinante per la buona riuscita di una lezione o di un intero corso)?

Io inizio a pensare (ma forse lo dico solo perché ho bisogno di essere consolata) che questa sia una condizione necessaria e non un fallimento continuo. Altrimenti non avrebbe senso la mia voglia di continuare.

Così ho considerato che questa risorsa dello “sbagliare” è proprio quella che mi porta a cercare e ricercare cose nuove, a cercare un contatto continuo con gli altri insegnanti nel tentativo di capire come fanno loro, a interessarmi a tutti i testi nuovi che vengono pubblicati, a fare ipotesi e analisi sul mio lavoro, a desiderare di fare bene quello che faccio (o, a questo punto, nel miglior modo possibile), ad ascoltare e ad osservare i miei studenti, a modificare sempre qualcosa nel tentativo di adattare, conciliare, far amare…

Mi piace pensare che sia proprio così e la prossima volta che mi dirò “aggie sbajato n’ata vota” proverò a ricordarmi di aggiungere “… e meno male!”

Pensiero n. 2 in risposta al pensiero n. 4

Un’esperienza con uno studente dislessico

Stralcio da una lettera a Freddy Nicolas, direttore della scuola in cui lavoro. Questa è una parte di quella lettera che ho scritto proprio in quei momenti, mentre cercavo di trovare una strada per lavorare con questo studente e brancolavo nel buio più totale… Fa parte di una serie di riflessioni su come ho provato ad affrontare il problema della scrittura e della lettura durante quel corso.

Caro Freddy,

L’altra volta ti ho parlato di come abbiamo affrontato il problema della lettura e di come abbiamo lavorato per arrivare a leggere correttamente una parola. Ti vorrei parlare, però, anche del procedimento contrario: quello di riuscire a scrivere una parola in modo corretto e poi leggerla. Dopo alcune prove in cui procedevo a tentoni, ho fatto qualche passo indietro e ho chiesto a Simone di sedersi davanti a me e di osservare bene la posizione delle labbra quando si pronuncia la sequenza: A E I O U. Gli ho chiesto di dirmi se notava qualcosa e lui mi ha detto che la bocca diventava più piccola. Bene. Gli ho fatto ripetere la sequenza molte volte dalla massima apertura alla massima chiusura delle labbra. Poi gli ho chiesto di dirmi quale vocale pronunciavo solo capendolo dalla posizione delle labbra (senza voce). Bene. Poi l’ha fatto lui. Gli chiedo di toccarsi le labbra con le dita e pronunciando la vocale e fare attenzione alla posizione delle labbra quando pronuncia quella data vocale (visto che in classe ci sono io ma non c’è uno specchio, che, però, a pensarci bene adesso, avrei potuto usare in classe). A questo punto penso che forse (forse) questo sarà uno strumento che potrà utilizzare da solo quando si troverà davanti a una parola da pronunciare e dovrà cavarsela da solo perché l’insegnante non c’è.

Come procedo ora?

Io dico una parola e lui la deve scrivere. Prendiamo il caso di SCIUPARE o di PRECIPITAZIONE. Scelgo parole in cui normalmente ci sono nessi consonantici problematici per Simone come tutti i nessi con una consonante più R: PR, TR, GR, eccetera; nessi con affricate, vocali semplici e dittonghi. Considera che a questo punto del corso ci sono già stati molti miglioramenti e Simone scrive rispettivamente:

SPUPARE      e    PACITIZIONE

Indico SPUPARE e dico: Leggi.

Simone dice (perché se lo ricorda non perché lo stia leggendo davvero) SCIUPARE.

Insegnante: Dividi in sillabe.

Simone divide SPU   PA   RE poi ci pensa un attimo e corregge e scrive SCO  PE   RA

Ha una buona capacità di autocorrezione e aspetto che mi dia la sua versione definitiva. Scrive SCU   PA  RA. Poi corregge: SCO  PE  RA

(Ha già corretto, ma non è ancora sicuro delle vocali. Ha individuato, però, SC e non SP. Sono abbastanza soddisfatta perché ci sta ancora ragionando. So che questa non è la sua versione definitiva, si tocca le labbra, prova a pronunciare…, io aspetto)

La sua versione definitiva però è proprio quella anche se continua a leggere lentamente e so che non è convinto. All’improvviso cancella e dice: no, è così:   SCUC  PA  RA  (come vedi, c’è un progresso, nella prima sillaba mette la U che è un elemento nuovo anche se aggiunge una C, ma a me non interessa per il momento perché sulle consonanti lavoro dopo.)

A questo punto lui dice che è la sua versione definitiva. Bene, possiamo iniziare a lavorare.

Insegnante: leggi

Simone: SCIUPARE (si ricorda)

Insegnante: adesso metti un punto sotto le vocali

Simone: SCUC  PA  RA
                    .       .        .

Insegnante: leggi, sempre molto lentamente

Simone: SCIU   PA  RE  (si ricorda e legge la parola sciupare, ma rallentando si sofferma sulle vocali e dice che non sono giuste la seconda e la terza ma non sa come correggere)

Insegnante: concentrati sulle ultime due

Simone: ok, PA  RE (la pronuncia è sempre giusta perché secondo me Simone non sta ancora leggendo ma solo ricordando)

Insegnante:  adesso leggi lentamente solo la vocale della prima sillaba

Simone: A

Insegnante: ora leggi solo la vocale della seconda sillaba

Simone: A (sono felicissima perché Simone ha iniziato a leggere le sillabe)

Insegnante: leggi tutta la parola

Simone: SCIUPARE (Simone ha iniziato a leggere le sillabe ma non legge ancora la parola secondo me)

Insegnante: bene, leggi ancora, ma molto lentamente

Simone: SCIU

Insegnante: stop, adesso dimentica questa prima sillaba e pensiamo solo alle altre due. Pronuncia solo quelle due

Simone: PA  RE

Insegnante: adesso leggile (ti ricordo che alla lavagna lui ha scritto PA  RA)

Simone: PA  RE (Simone  è tornato indietro, allora decido di seguirlo. Forse lo sto un po’ spazientendo però lui mi sembra divertito e sono convinta che questa sia una strada che lo può aiutare)

Insegnante: metti un puntino solo sulle vocali

Simone: PA  RA
    .     .

Insegnante: Sono uguali?

Simone: Sì, sono uguali.

Insegnante: molto bene. È giusto! queste due vocali sono uguali. Adesso pronuncia quella parola senza la prima sillaba, quindi solo queste due che stiamo trattando ma senza leggere

Simone: PA  RE

Insegnante: Ancora

Simone: PA   RE

Insegnante: ora solo le vocali

Simone: A   E

Insegnante: ancora!

Simone: A  E

Insegnante: ancora! toccati le labbra mentre lo fai. Noti qualcosa?

Simone: (pronuncia ancora, si tocca le labbra e scoppia a ridere)

Insegnante: sono uguali queste due vocali?

Simone: noooooooo! noooo! non sono uguali, io adesso lo sento, non sono uguali, è diverso, è diverso…

Insegnante:  hai lavorato benissimo. È giusto! Non sono uguali! Ora guarda quelle che hai scritto

Simone: (sulla lavagna c’è scritto PA e RA) sìììì, sììì…queste sono uguali….allora non è giusto, questo è sbagliato

Insegnante: prendi solo la prima sillaba e leggila

Simone: PA…sì, è come la pronuncia PA PA, è A… questa è giusta…

Insegnante: bene, leggi la seconda

Simone: RA.. (sta leggendo davvero)

Insegnante: pronuncia quella giusta

Simone: RE…sì RE…non è uguale questa /si tocca le labbra e pronuncia di nuovo

Insegnante: sai riconoscere che vocale è?

Simone: questa è E… certo è E

Insegnante: leggi tutta la sequenza

Simone: PA RE… PA RE

Insegnante: Cancella e riscrivi la sequenza

Simone: PA RE  (scoppia a ridere)

Lui ride e a me mi batte il cuore… (il “me mi” rafforzativo è puramente voluto)…

Freddy, so bene che una cosa del genere può sfinire uno studente, però solo all’inizio. All’inizio S. mi guardava come a volermi chiedere: ma questa qui, si può sapere perché non mi dice subito come si legge e la facciamo finita invece di farmi fare ‘sta roba incomprensibile? È chiaro che lo studente aveva ragione e si sarà chiesto: ma questa che vuole da me o questa pazza chi l’ha mandata? Anche perché all’inizio non sapevo neanche io bene quello che stavo facendo, anzi, per essere sincera brancolavo nel buio più completo. Poi, come spesso succede sono gli studenti, senza esserne consapevoli a suggerirti indirettamente che cosa devi fare…

Non dico che sia “il” sistema per risolvere tutti i problemi, però un po’ ha funzionato. Lo studente era contento, mai frustrato, disponibile e collaborativo… Insomma è stato bello! La prossima volta ti parlerò di come abbiamo trattato le consonanti.

Ciao, Marica

Christopher, in conclusione,

leggendo il pensiero n . 4 di Alessia, mi è venuto in mente che noi a Prolingua, qualche mese fa abbiamo avuto un’esperienza del genere. Ti ho voluto mandare uno stralcio di questa lettera (più lunga) in cui aggiornavo il mio direttore su quello che succedeva a lezione.  È stata una cosa interessantissima: uno studente nigeriano che parlava inglese. E anche italiano. Si esprimeva con tranquillità e capiva tutto perfettamente. Il problema era solo leggere e scrivere. Abbiamo pensato si trattasse di una dislessia ma probabilmente non diagnosticata. La situazione sembrava molto complicata: le vocali invertite ma in modo sempre diverso. La A veniva letta qualche volta E (più spesso) ma altre O oppure I. E viceversa la E veniva letta A (più spesso) ma anche I. Per le consonanti la situazione era anche più difficile. Per compensare questi problemi spesso lo studente si affidava al suo intuito e tirava ad indovinare per non essere sottoposto allo stress e alla frustrazione di sbagliare: parola da leggere ad esempio: FERRAMENTA, lettura: FARMACIA; SCARPE, lettura: SPESSO e via dicendo.

Ad Alessia vorrei dire che ha ragione su tutta la linea e che spesso le situazioni sono difficili. Qualche volta estreme addirittura e non sempre è possibile avere un aiuto da parte dello studente che magari ignora o non è completamente consapevole del suo problema.  Questi, però, continuano ad essere i casi più interessanti e più emozionanti.

Spero di essere stata utile almeno a far sentire Alessia un po’ meno sola.

Un abbraccio

Marica Spagnesi