Luoghi comuni tra gli studenti e alcuni stratagemmi per fargli cambiare idea
Patrick, sacerdote australiano ultrasettantenne, era convinto di essere troppo vecchio per imparare una nuova lingua, me l’aveva detto e ripetuto in varie occasioni fin dall’inizio. Ma l’ultimo giorno mi chiede consigli su come migliorare. In fin dei conti forse non ha completamente gettato la spugna, ma quel suo mantra lo mette al riparo da qualsiasi eventuale commento sulle sue prestazioni linguistiche.
Oltretutto si ritiene molto analitico e questa sua convinzione è nata probabilmente da discorsi generali che avevo fatto sul tema una settimana prima. Patrick pensa che il suo approccio rappresenti un ostacolo ineluttabile e insormontabile per fare progressi. Ho la sensazione che cerchi con una certa pervicacia di trovare tutte le giustificazioni per un fallimento ancor prima di provare. Eppure vorrebbe continuare il corso.
Gli faccio notare che, se ne è consapevole di essere troppo analitico, è già di per sé un sintomo positivo, un buon punto di partenza per controllare l’eccessiva tendenza all’analisi. Molti altri sono così, perché nella scuola tradizionale siamo abituati a questo tipo di approccio cognitivo. Non male in assoluto, ma per capire una lingua parlata e parlarla, è necessaria anche una capacità di sintesi.
Consiglio di ascoltare l’italiano in quantità industriale e fare pratica di conversazione in quantità industriale. Gli ricordo che la nostra lezione dura solo 3 ore effettive al giorno, non tante se paragonate a un apprendimento spontaneo della lingua, come ad esempio succede quando si è bambini o si vive in un ambiente dove tutti quelli che ci circondano parlano una lingua diversa dalla nostra. Gli mostro un video, “I love you!”, in cui un bambino di pochi mesi, in totale rilassatezza, imita la madre come meglio può: “Aia uuu” (è possibile averne un assaggio anche su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=oCAOBrBUReU) Esempio perfetto di interlingua e perseveranza. Si intuisce che il bimbo potrebbe continuare così per ore senza stancarsi mai.
Per tentare di convincere uno studente, non è indicato usare trattati di linguistica. Per questo il video è un esempio sorprendente, divertente, interessante e accessibile a tutti (mi è arrivato tramite WhatsApp) ed è possibile trovarne altri.
Un altro sistema per increspare le calme acque del stagno di convinzioni dei miei studenti, è stato quello di fargli leggere e poi discutere su un articolo, “Una ricetta scientifica per essere creativi: spegnere il cervello”, di Giuliano Aluffi, apparso pochi anni fa su Il Venerdì di Repubblica. Vi si invita provocatoriamente a bloccare il cervello! Secondo questo articolo, infatti, la mente è conservatrice di fronte a idee nuove, al punto da produrre ormoni dello stress di fronte alle novità. Perciò, se vogliamo inventare qualcosa di nuovo, cambiare gli schemi, dobbiamo mettere a tacere quella parte della mente che ci censura e ci fa soffrire. La lezione si è svolta a un livello A2.3 e ha suscitato molto interesse.
Rabia, una giovane architetto di interni turca, approfitta di un corso individuale per rivelarmi un suo grave ostacolo nell’apprendimento dell’italiano.
Seguendo la tradizione didattica difficile da scalfire e molto diffusa ancora oggi in molti paesi nel mondo, compreso, ahimè, il nostro, Rabia è convinta di non poter capire l’italiano, se prima non lo traduce in turco.
Ma un serio dilemma le è sorto davanti alla frase “Ti va di venire da me?” Secondo il dizionario, mi dice, “da” significa “from”. Per non parlare, continua, del resto della frase: “You go…to come…”
Con notevole impegno, alla fine riesco a farle accettare l’idea che i dizionari online hanno i loro limiti e comunque la traduzione, che in determinati ambiti ha la sua degna funzione, diventa un problema nella comunicazione orale in lingua straniera. Da un lato è un’operazione che richiede troppo tempo ed energia in un’interazione che dovrebbe aver luogo in tempo reale, dall’altro le locuzioni, i modi di dire, le frasi fatte sono così numerosi, che spesso la traduzione fatta parola per parola, come quella dei meno esperti, dà risultati esilaranti.
Infine una collega mi ha raccontato il caso, emblematico, capitatole solo pochi giorni fa, di una signora, che trovando difficoltà a memorizzare un dialogo che stavano ricostruendo in classe, aveva portato a sua discolpa il fatto di avere una memoria visiva e non uditiva.
Alzi la mano chi non si è mai trovato davanti a una circostanza simile.
La collega ha invitato allora la studentessa in questione a ricostruire le immagini della scena nella mente. Per una felice quanto rara combinazione, un’amica della studentessa presente alla lezione era insegnante di tecniche mnemoniche e ha confermato la validità del metodo.
La signora ha quindi ceduto di buon grado ai consigli, anche se l’accenno alla sua memoria visiva, in realtà, nascondeva la richiesta del permesso di scrivere.
La mia collega non si illude che il problema non si ripresenti in un secondo momento. L’esperienza e anche alcuni studi insegnano che l’integrazione di una nuova certezza esige del tempo, indipendentemente dalla buona volontà dell’individuo. Ma bisogna pur cominciare da qualche parte e questo è stato un primo passo. Prendo a prestito uno schema usato da una mia amica, consulente di strategia di gestione del cambiamento in grandi aziende, che illustra la complessità implicita nell’assumere un nuovo punto di vista:
1. Prospettiva iniziale ⇒ 2. Diniego ⇒ 3. Resistenza
⇓
6.INTEGRAZIONE ⇐ 5. Sperimentazione ⇐ 4. Negoziazione
Cambiare idea richiede tempo! In una prima fase, punti da 1 a 3, è istintivo opporre RESISTENZA per passare poi a una seconda fase, punti da 4 a 6, di INTEGRAZIONE.
Fondamentale trovare piccole storie o giochini che colpiscano la mente e che provochino piccoli sobbalzi nelle certezze o meglio nelle convinzioni.
Per esempio, ascoltando per caso alla radio, nel mese di gennaio, un programma di radio24.ilsole24ore, di cui purtroppo non ricordo l’esatto titolo, una coach motivatrice, parlando di come realizzare i buoni propositi per il nuovo anno, invitava a usare mentalmente la parola VOGLIO, invece di DEVO. Sembra che il solo fatto di pensare in questi termini produca sostanze chimiche diverse, come la dopamina o al contrario il cortisolo, capaci di influenzare le nostre azioni.
Non ho paura dei gatti neri o dei venerdì 13, insomma tendo allo scetticismo, quindi una prima reazione alle strane affermazioni sentite alla radio è stata quella di prenderne le distanze. Forse era il mio cervello che stava automaticamente censurando le novità!
Però sono anche ottimista e credo che tutto sia possibile, perciò cerco sempre di lasciare uno spiraglio aperto a qualsiasi idea con cui mi capiti di entrare in contatto. Ho colto un’analogia con un “esperimento” cui sono stata sottoposta qualche anno fa per verificare se fossi intollerante o allergica a una serie di sostanze, dalle graminacee ai peli di gatto, passando dalla pasta per celiaci. Più tardi ho scoperto che questo tipo di esame non era una novità per diversi dei miei studenti stranieri, specialmente di lingua tedesca. Provate anche voi a eseguire questo trucco di magia su parenti e amici. Se non dovesse funzionare, almeno vi sarete fatti quattro risate.
Fategli unire saldamente la punta del pollice a quella del medio della stessa mano e invitateli a concentrarsi prima sulla parola “sì”, in un secondo momento sulla parola “no”. Quando pensano a “sì” cercate di aprire il cerchio con le dita di una vostra mano. Ripetete l’operazione mentre pensano a “no”. La capacità di resistenza cambia a seconda che si pensi in positivo o in negativo.
(vedi il libro di Edoardo Sabatti “Io lo so, tu…prova” editore@tarantola.it
e anche http://www.risorseonline.com/2016/modabeauty/test-delle-intolleranze-alimentari-metodo-kinesiologico-come-funziona-per-noi-alla-grande)
Ho trovato delle somiglianze tra questo esperimento, quanto diceva la motivatrice e l’articolo letto in classe e quindi lo ritengo plausibile. Avrei la tentazione di usarlo in classe. In realtà ne avevo già parlato alcuni anni fa con degli studenti in un momento di relax, ma mai in modo pianificato.
A chi potesse interessare, non sono intollerante a nessuna sostanza.
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“La follia è continuare a fare le stesse cose ed aspettarsi risultati differenti.” A. Einstein.→