Dire, fare, capire: un’esperienza d’insegnamento
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
No one forgets a good teacher! Così recita la pubblicità di un’agenzia inglese che si occupa di formazione insegnanti. Ma perché è proprio vero che un bravo insegnante non si scorda mai? E che cosa significa poi essere un bravo insegnante?
Lascio questi quesiti aperti come spunti di riflessione. Intanto però vorrei raccontarvi di una mia esperienza di insegnamento come professore a contratto di lingua inglese e glottodidattica (si tratta di una nuova forma di precariato intellettuale!) presso l’università di Roma Tre, facoltà di Scienze della Formazione Primaria, e magari avere dei vostri commenti a proposito.
Questa bellissima esperienza è iniziata due anni fa con un corso di Lingua Inglese I e due laboratori di glottodidattica a cui ho dato il titolo Mille e una fiaba. Insegnare l’inglese ai bambini con materiali autentici. L’anno scorso poi, oltre a questi due insegnamenti mi è stato dato un vero e proprio modulo di glottodidattica di 30 ore (Inglese II).
La cosa curiosa di queste esperienze d’insegnamento è che quando ho accettato non avevo alcuna idea di come avrei organizzato i corsi. Intuivo solo le difficoltà, come quella non da poco di fare lezione potenzialmente a tutti gli studenti del secondo anno, ossia a più di 200 persone; e di non avere grandi supporti multimediali né dell’ultima né della penultima generazione! Per fortuna dopo alcuni picchi di 100 persone, la frequenza in classe si è assestata intorno alle 50 presenze ed è arrivato finanche un riproduttore audio (il video c’era sempre stato, ma era fisso in un’aula non sempre a mia disposizione). Tuttavia anche così appariva difficilissimo lavorare come mi ero ormai abituata, ossia in modo comunicativo, ponendo lo studente al centro del processo di apprendimento-insegnamento, facendogli rivestire il ruolo del ricercatore, promuovendo la sua autonomia, considerandolo in tutta la sua complessità di persona. Cosa fare allora?
In classe di inglese con più di 50 studenti
La cosa su cui ho puntato fin dall’inizio nelle mie lezioni di Inglese I è stata quella di lavorare sulla piacevolezza dell’esperienza di apprendimento e sulla motivazione degli studenti.
Innanzitutto, ho cercato di capire chi avessi davanti e quali fossero le loro condizioni di partenza, la loro formazione pregressa, le altre esperienze di apprendimento linguistico e non, i loro stili cognitivi e di apprendimento, le loro aspettative sul corso, ecc. Questa analisi dei bisogni è avvenuta attraverso un questionario, che troverete alla fine, distribuito all’inizio del corso.
In secondo luogo, ho cercato di proporre in classe – come input linguistico – materiale autentico vario, divertente e leggermente al di sopra delle loro possibilità, quale cartoni animati, brevi sequenze di film, registrazioni audio, canzoni, articoli di giornale, fiabe, fumetti, testi teatrali e letterari, ecc.
Allo stesso tempo, ho cercato di organizzare attività interessanti e motivanti per il target dei miei studenti, come ad esempio role-play (che funzionano benissimo con i principianti), attività comunicative basate sul gap informativo, attività di produzione libera orale o scritta, giochi per fare grammatica, per ampliare il lessico, ecc.
Last but not least, ho cercato di creare in classe un’atmosfera rilassata di gioco, di cooperazione e di scambio; ma soprattutto ho cercato di instaurare con la maggior parte di loro (con i più assidui e con chi me l’ha permesso) una buona relazione umana, riuscendo a trasmettere il mio autentico interesse e ‘amore’ per loro come persone, prima che come apprendenti.
I risultati ottenuti credo siano stati altamente positivi. Da colloqui ad personam e da loro produzioni scritte è emerso come la maggior parte degli studenti abbia cambiato opinione circa il fatto che l’inglese fosse una lingua difficile, e allo stesso tempo abbia superato gli eventuali blocchi psicologici e ricordi negativi legati all’esperienza scolastica.
Devo dire onestamente che non so esattamente quanto abbia imparato individualmente ogni studente – anche se a fine corso soltanto una piccola percentuale (circa il 10 – 15 %) non è riuscita a superare il test di idoneità. Ciò che posso dire di aver riscontrato in generale è la messa in moto del loro entusiasmo e un reale interesse per questa lingua – che durerà con tutta probabilità anche dopo l’esame. In fondo casa avrei potuto fare io in 60 ore che loro non possano fare da soli in tutta una vita?
Un laboratorio sperimentale
Per quanto riguarda il laboratorio di glottodidattica, devo confessare che all’inizio non avevo alcuna esperienza come formatrice di insegnanti elementari di lingua inglese. Sapevo solo che dall’apprendimento della lingua tout court(Inglese I) si sarebbe dovuti passare alla ‘insegnabilità’ di questa disciplina. La sfida era forse ancora più grande: gli studenti erano una quarantina e le ore solo venti. Mi è venuto allora in aiuto il corso di formazione insegnanti fatto alla Dilit, ormai già qualche anno fa. Come forse molti di voi sapranno, si tratta di un corso che unisce la teoria alla pratica in un equilibrio che trovo straordinariamente felice e producente.
Prima di questo corso, vantavo già nel mio curriculum accademico un assai cospicuo numero di esami di area linguistica e glottodidattica. Ma questa mia formazione, abbastanza solida dal punto di vista teorico, mancava quasi completamente di aspetti operativi, come quelli che si trovano ad affrontare quasi tutti i giovani insegnanti all’inizio della loro carriera del tipo: cosa faccio il primo giorno di lezione? Come si fa un ascolto? O una lettura? Come organizzo un lavoro di coppia? Come ci si deve comportare di fronte agli errori? Come insegno la pronuncia? ecc. Forte dell’esperienza fatta alla Dilit, ho cercato in questo laboratorio di fornire ai miei studenti degli strumenti sia teorici, ma soprattutto pratici per acquisire un metodo di lavoro immediatamente utilizzabile nella prassi delle loro classi e ho lavorato nel modo seguente.
Il laboratorio durava 20 ore ed era diviso in 5 o 6 incontri di 3 o 4 ore ciascuno. Ho articolato ogni incontro in tre sessioni che riguardavano una parte teorica, una pratica e una di riflessione metadidattica.
Durante la prima parte, di solito, veniva affrontato un aspetto di glottodidattica: ad esempio, acquisizione vs apprendimento, attività che promuovono l’una e attività che promuovono l’altro, ruolo insegnante vs ruolo studente, trattamento degli errori, ecc. E dopo una mia (breve) presentazione iniziale, gli studenti erano invitati a discuterne in gruppi di 4-5 persone, facendo riferimento alla loro esperienza sia di apprendenti che di insegnanti. Alla fine di questa sessione teorica seguiva la condivisione delle esperienze emerse nell’ambito dei singoli gruppi.
La seconda parte era sempre di natura pratica: in questa sessione infatti gli studenti erano invitati a simulare in classe un’attività didattica preparata da loro a casa partendo dallo sfruttamento didattico di un materiale autentico (fiabe, canzoni, cartoni animati, ecc). Prima di iniziare bisognava presentare il piano dettagliato della lezione e dichiarare gli obiettivi didattici che ci si proponeva di raggiungere con l’attività. In gruppi di 3 o 4 (o individualmente), alcuni studenti rivestivano il ruolo di insegnanti, altri quello di bambini, altri ancora quello di osservatori con il compito di prestare attenzione ad aspetti quali l’interazione insegnante-studenti e quella studenti-studenti, l’organizzazione dello spazio, il tempo di parola occupato dall’insegnante e quello lasciato agli studenti, il passaggio del ‘turno di parola’, ecc.
Dopo ogni simulazione, seguiva sempre una riflessione meta-didattica sull’attività svolta e tutti – a cominciare dagli studenti ‘bambini’, passando per gli ‘insegnanti’ e finendo con gli ‘osservatori’, fra cui c’ero anch’io – erano invitati a fare commenti e sottolineare cosa aveva funzionato, cosa no e perché. Devo dire che l’atmosfera di questa sessione plenaria era sempre molto amichevole e rilassata. Fin dall’inizio, infatti, avevo messo in chiaro che le eventuali critiche non avrebbero mai dovuto essere intese come attacchi personali, bensì come strumenti utili per migliorare il proprio lavoro.
Abbastanza contenta dei risultati ottenuti – pur essendo consapevole che 20 ore per parlare e soprattutto per ‘fare’ glottodidattica sono pochissime – alla fine del laboratorio, a maggio, sono entrata in contatto con la direttrice della scuola elementare ‘Anna Magnani’ del 145° circolo di Roma a cui ho chiesto di ospitare i miei studenti nelle loro classi per una sorta di tirocinio attivo. Si trattava infatti di rifare con bambini veri quello che era stato soltanto simulato con colleghi adulti durante il laboratorio. Sono riuscita così a portare 15 studenti (quelli che si sono offerti di fare questa esperienza) e ho anche ottenuto che si potessero fare delle riprese video delle lezioni condotte in prima persona dagli studenti – riprese poi usate per un’ulteriore riflessione meta-didattica sull’esperienza di insegnamento a scuola. Al di là dei risultati ottenuti in classe – il più delle volte perfettibili – ciò che ho notato è stato un grandissimo entusiasmo e un incredibile aumento della motivazione degli studenti. Prova ne sia che la maggior parte di coloro che hanno partecipato a questa esperienza nella scuola elementare, l’anno successivo hanno scelto di seguire il modulo di glottodidattica (Inglese II) e hanno optato per l’indirizzo linguistico scegliendo di specializzarsi come insegnanti di inglese.
A questo punto sarebbe opportuna una qualche conclusione. Tuttavia credo che il racconto-resoconto di un’esperienza didattica complessa e in certa misura sperimentale ponga soprattutto delle domande, più che fornire risposte certe ed osservabili. Posso dire soltanto in tutta sincerità che credo di non aver fatto niente di speciale, a meno che ‘speciale’ sia far apprendere dalla pratica, promuovere l’autonomia e la centralità del discente, far fare esperienze dirette di insegnamento, trattare i propri studenti come persone, instaurare con loro un rapporto di scambio reciproco, mettersi nei loro panni, accendere i loro sogni, far scoprire loro risorse insospettate e, in fondo, amarli – come ha detto benissimo Claudio Chiavegato in una sua come sempre illuminante relazione su sogni e risorse umane.
QUESTIONARIO INFORMATIVO n. 1
Data ______________
Nome e cognome (facoltativi) ______________________________________ M F Età _______
-
- Provieni da altre facoltà? NO SI Quale?___________________________
-
- Conosci altre lingue? NO SI
- Se hai risposto sì, quali lingue conosci e a che livello? __________________________
- Da quanti anni studi l’inglese? __________________
- Dove lo hai imparato?
-
- a scuola per ___________ anni
- in corsi di studio all’estero della durata complessiva di ________________ (specificare)
- altro ___________________________________________
- Come definiresti il tuo livello?
- ottimo
- buono
- scolastico
- altro ___________________________________________
- Quali credi siano le tue difficoltà principali in inglese? (Puoi dare due risposte)
- capire quando ascolti persone che parlano
- capire testi scritti
- esprimere quello che vuoi dire
- scrivere
- avere un vocabolario limitato
- non conoscere sufficientemente la grammatica
- altro ________________________________________________________________
- Vuoi migliorare la tua conoscenza dell’inglese così da poter:
(puoi dare più di una risposta)
- capire testi di carattere scientifico (saggi, riviste specializzate, ecc.)
- scrivere testi argomentativi (tesine, tesi, composizioni, ecc.)
- leggere giornali e riviste
- leggere romanzi
- capire film
- capire canzoni
- capire programmi alla radio e alla televisione
- conversare con amici stranieri
- insegnare a scuola
- usare Internet
- trovare un lavoro qualificato
- viaggiare all’estero
- altro ______________________________________________________
- Indica i tre obiettivi che vuoi raggiungere per primi:
- __________________________________________________________
- __________________________________________________________
- __________________________________________________________
- In classe ti piace lavorare soprattutto:
- individualmente
- a coppie
- in piccoli gruppi
- tutti insieme
- con l’insegnante
- altro ______________________________________________________
- Quando parli in inglese ti piace essere corretto:
(puoi dare più di una risposta)
- sempre e subito dall’insegnante
- dopo aver finito di parlare
- in privato
- da un tuo compagno
- mai, se stai cercando di esprimerti liberamente
- altro _______________________________________________________
- Impari meglio:
(puoi dare più di una risposta)
- facendo esercizi scritti corretti dall’insegnante
- leggendo ad alta voce e seguendo il libro
- attraverso giochi e canzoni
- studiando un libro di grammatica
- parlando con i tuoi compagni
- ascoltando la radio e la televisione
- guardando film e ascoltando canzoni
- leggendo articoli di giornale
- ascoltando l’insegnante e prendendo appunti
- memorizzando dialoghi
- memorizzando nuovi vocaboli
- altro _________________________________________________________________
QUESTIONARIO INFORMATIVO n. 2
- Hai già avuto esperienze d’insegnamento ? SI NO
(se hai risposto sì, specifica per quanto tempo, a chi e che cosa hai insegnato, e le eventuali difficoltà incontrate)
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- Hai mai letto qualcosa sulla didattica delle lingue? SI NO
(se hai risposto sì, indica quali letture hai fatto)
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- Conosci qualcosa sulle modalità di apprendimento dei bambini ? SI NO
(se hai risposto sì, fai una breve sintesi di quello che ricordi)
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- Quali attività, fra quelle che conosci, pensi siano più adatte per insegnare una lingua straniera ai bambini? Perché?
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- Pensa ad una cosa che sai fare bene. Di cosa si tratta?
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- Come l’hai imparata? (Da solo/a? Con qualcuno?)
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- Attraverso quali modalità?
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- Indica tre caratteristiche che deve avere, secondo te, un bravo insegnante
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- Cosa ti aspetti da questo corso?
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