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Esercitazione di lingua parlata

Per quanto riguarda lo sviluppo dell’abilità dello studente di trasmettere messaggi per mezzo della lingua parlata, o, in breve, della sua abilità di parlare, abbiamo proposto nei precedenti bollettini due distinti tipi di attività con obbiettivi completamente diversi fra di loro ma, nello stesso tempo, complementari. Essi sono la “Produzione libera” e la “Presentazione”. Ora, per completare lo schema di lavoro dell’insegnante alle prese con la lingua parlata, proponiamo un’ultima categoria di attività di insegnamento che chiamiamo “esercitazione”. Lo schema completo ha quindi quattro categorie che possiamo rappresentare così:

Ricezione/Comprensione Trasmissione/Produzione
Scorrevolezza Correttezza
LINGUA Ascolto Presentazione
PARLATA Esercitazione

Questi quattro tipi di attività vanno effettuate in classe in modo più o meno ciclico. (Affronteremo in modo più approfondito la programmazione in futuro.) L’esercitazione è una specie di estensione della presentazione. O, meglio, è un tipo di attività che risponde ad un certo tipo di problema rimasto ancora irrisolto al termine di certe presentazioni e che potrebbe essere affrontato con ulteriori presentazioni. Solo che, trattandosi di problemi secondari e non di fondo, la presentazione costituisce una strategia d’insegnamento poco economica. Illustriamo il concetto con un esempio:

Immaginiamo che il seguente brano di conversazione sia già stato oggetto di una presentazione (per un metodo di presentazione vedi “Ricostruzione di conversazione” in Bollettino Dilit, 1982, n° 1):

– Dica, signorina.
– Vorrei un etto di prosciutto. Lo tagli sottile, per favore.
– Sì. Altro?
– Quanto viene la gruviera all’etto?
– Viene 700 lire.

È una conversazione fra una signorina e un salumiere ed è stata scelta per una classe di studenti che avranno bisogno di comprare prodotti in salumeria. Ebbene, dopo la presentazione possiamo essere abbastanza sicuri che gli studenti saranno in grado di comprare un etto di prosciutto tagliato sottile e due etti di gruviera. Ma se vogliono comprarne mezzo chilo? O se vogliono degli spaghetti, del latte, delle uova? Ognuno di questi prodotti presenta problemi lessicali e morfosintattici diversi: come si chiama, qual è l’unità di misura, il genere e numero degli articoli e pronomi, il numero dei verbi, ecc.

È doveroso a questo punto giustificare la mia precedente affermazione che questi problemi linguistici sono secondari e non di fondo, mentre appunto nell’insegnamento tradizionale erano proprio questi ad essere considerati l’oggetto stesso di tutto l’insegnamento. Dunque, in un approccio comunicativo diamo primaria importanza alla capacità dello studente di raggiungere i suoi scopi da una parte, e dall’altra stabilire, mantenere o modificare i suoi rapporti sociali con gli altri come vuole. L’assoluta correttezza morfosintattica e lessicale è importante sì, ma in seconda posizione, proprio perché se lo studente non riesce a fare quanto detto sopra tutta la correttezza del mondo non sarà sufficiente per fargli avere rapporti con il mondo reale.

In altri termini se lo studente, trovandosi in salumeria, dice “Lo tagli sottile, per favore”, mentre sta parlando della mortadella, il salumiere lo capirà lo stesso. Però se lo studente usa l’imperativo senza l’aggiunta del “per favore” c’è da aspettarsi che il salumiere lo giudichi un po’ prepotente, e conseguentemente si dimostri più freddo con il cliente e meno disponibile a scusare ulteriori “gaffe”. Insomma uno sbaglio comunicativo può provocare una rapida spirale verso il basso nella qualità del rapporto sociale, mentre uno sbaglio soltanto linguistico non contiene un tale grado di rischio per lo studente.

Detto ciò, torniamo a noi. Problemi secondari sono, ma problemi rimangono; e come tali possono essere affrontati. Sempre però in termini dei bisogni comunicativi degli studenti; cioè in questo caso i suoi bisogni di comprare dei salumi. Attenzione, non sto dicendo che, siccome c’è un pronome oggetto diretto “lo” nel brano, adesso bisogna insegnare o far esercitare tutti i pronomi oggetto diretto. Nient’affatto. Si tratta di vedere che cosa lo studente potrà aver bisogno di comprare e poi vedere quali pronomi oggetto diretto gli serviranno. Così come il fatto che posso vedere l’utilità della frasi “Quanto costano i piselli al barattolo?” non mi porta ad insegnare: io costo, tu costi, noi costiamo e voi costate.

Torniamo dunque allo studente, o meglio torniamo al cliente nella salumeria, futura sorte dello studente. Anzi, guardiamo questa persona prima di uscire di casa. Esce per fare la spesa. Ha una lista di prodotti da comprare per preparare da mangiare per i prossimi giorni: la salumeria è solo una delle sue destinazioni. Deve andare dal fruttivendolo, in enoteca, dal macellaio, in un negozio di alimentari. La struttura della conversazione presentata andrebbe bene per tutti questi negozi. Si tratta, quindi, di dare piena attuazione alle varie potenzialità implicite in questa conversazione, esercitando tutte quelle modifiche linguistiche che essa deve subire quando cambiano gli elementi presenti nei reali bisogni della persona. (E non, si badi bene, partendo da elementi della superficie della lingua.)

Vediamo un po’. Quali sono le variabili del gioco?
a) C’è il prodotto;
b) c’è l’unità di misura convenzionale nella quale viene venduto questo prodotto;
c) c’è il numero di queste unità che serve al cliente;
d) per i prodotti che vengono tagliati a fette, c’è il grado di sottigliezza che il cliente vuole.

L’esercitazione proposta è quindi un tipo di attività che, mantenendo costante la struttura della conversazione, affronta i problemi linguistici creati dal cambiamento di una o più delle variabili elencate sopra.

Come fare? Si potrebbe, per esempio, chiedere ad ogni studente di ripetere la conversazione cambiando questi elementi come vuole. Così facendo, verrebbero senz’altro svolti tre o quattro minuti di utile lavoro. Ma ci sono almeno due limitazioni a questa strategia. Una è che è poco probabile che lì per lì venga in mente allo studente più di una piccola frazione delle variabili che gli potranno capitare nella realtà. E l’altra è che lo studente potrebbe compiere l’esercizio partendo dai problemi grammaticali invece di partire da variabili nella realtà. (Cioè, dall’esterno non si può distinguere fra lo studente che ha pensato che gli potrà servire un etto di salame tagliato sottile e un altro studente che ha scelto un sostantivo maschile per portare a termine l’esercizio nel modo meno faticoso possibile. Ed invece i due studenti stanno facendo due cose radicalmente diverse. Per il secondo studente il tempo è piuttosto sprecato.)

Voglio proporre, invece, un’attività che affronti il problema in modo pressoché esaustivo e che duri all’incirca mezz’ora. Ribadisco che è importante che lo studente parta dalle variabili elencate sopra e cerchi elementi linguistici per soddisfarle, e non il contrario. (Proprio perché il problema nella realtà si presenta così.)

Consideriamo la prima variabile: il prodotto. Si potrebbe presentare agli studenti una lista di prodotti di cui potrebbe aver bisogno una persona che prepara la lista della spesa. Però, così facendo, lo studente non affronta il problema lessicale, cioè come si chiamano questi prodotti, essendo i nomi già dati. Ci vogliono, quindi, delle immagini. Una lista, allora, di figure, ognuna delle quali rappresenti un prodotto. Ma è un po’ noioso: non ci sono sorprese. Un modo più carino è di fornire allo studente un mazzo di cartoncini su ognuno dei quali c’è una delle figure. Abbiamo trovato che cartoncini bianchi di una dimensione standard di cm. 14 per cm. 10 sono molto adatti a questo scopo. Su ognuno viene incollata una figura ritagliata da una rivista; poi il cartoncino viene ricoperto di plastica autoadesiva trasparente a garanzia di una vita lunga. Dico lunga perché questi stessi cartoncini serviranno di anno in anno e per tante esercitazioni diverse. Per dare un’idea di che cosa possano rappresentare questi cartoncini elenco i primi 20 presi a caso dal nostro schedario: salame, pomodori, formaggio, peperoni, funghi, fragole, ciliegie, fagioli, mortadella, mozzarella, piselli, mele, pandoro, uva, marmellata, cocomero, uova, maionese, tonno, Cointreau.

Consideriamo ora la seconda variabile, cioè l’unità di misura. Questa è determinata dal prodotto stesso; per esempio la marmellata viene venduta in vasetti, i piselli in barattoli oppure all’etto (un cartoncino mostra barattoli di piselli ed un altro piselli sciolti). Riguardo ai 20 cartoncini trovo, a parte l’etto, il barattolo e il vasetto, il mezzo-chilo, il chilo, la bottiglia e l’unità costituita dall’oggetto stesso (per esempio: pandoro, cocomero).

Per quanto riguarda la terza variabile, cioè il numero, ci vuole un altro determinante del caso. Per la vicenda in discussione i numeri da 1 a 6 andrebbero bene. Quindi un dado sarebbe la soluzione ideale.

Riguardo alla quarta variabile (che verrebbe saltata totalmente salvo per la mortadella, il salame e il prosciutto, ecc.), per i nostri scopi occorreranno solo due versioni: così com’è nella conversazione presentata e la stessa frase al negativo. Di nuovo ci vuole un determinante del caso, questa volta a due voci. La moneta lanciata è ideale.

Per quanto riguarda il prezzo, il caso non c’entra: i prezzi devono essere appropriati. Chi assume il ruolo del negoziante, quindi, deve avere una lista di prezzi da consultare.

Allora, come usare questi cartoncini, il dado, la moneta, e la lista di prezzi in classe? Ecco la descrizione passo per passo di una possibile procedura.

L’insegnante si mette in piedi alla sinistra del suo tavolo, con la classe al suo fianco destro. Davanti a lui sul tavolo c’è un mazzo di cartoncini coperti, un dado e una moneta. L’insegnante invita uno studente a mettersi in piede all’altra estremità del tavolo, con la classe al suo fianco sinistro. Davanti a lui sul tavolo c’è la lista di prezzi. Ben in vista vi sono i sussidi visivi che sono stati usati per la relativa presentazione (per esempio un cartellone che riproduce la scena). L’insegnante fa capire allo studente che lui deve fare la parte del salumiere e lo invita a cominciare la conversazione. Lo studente dice:
“Dica, signorina”.

L’insegnante prende un cartoncino dal mazzo. C’è il salame. Lo fa vedere alla classe. Qualcuno mormora “salame”. L’insegnante annuisce. Butta il dado. Alla classe dice il numero: “Tre”. Dice al salumiere:
“Vorrei tre etti di salame”.

Alla lavagna è scritto:

TESTA = SOTTILE
CROCE = NON SOTTILE

L’insegnante lancia la moneta. Dice il risultato alla classe: “Croce”. Guarda la lavagna. Dice “croce, non sottile”. Dice al salumiere:
“Non lo tagli sottile, per favore”.

Lo studente che fa il salumiere capisce che cosa deve fare e dice:
“Sì… (fa finta di tagliare)… Altro?”.

L’insegnante prende un secondo cartoncino e lo fa vedere alla classe: funghi. Dice al negoziante, facendo finta di avere difficoltà con il numero del verbo:
“Quanto vengono i funghi all’etto?”.

Il negoziante guarda la lista dei prezzi e dice il prezzo.

L’insegnante butta di nuovo il dado, dice il numero alla classe: “Quattro”, e dice al negoziante:
“Allora me ne dia quattro etti”.

La classe comincia a capire il gioco. L’insegnante si fa sostituire dallo studente che ha interpretato il negoziante e invita un altro studente a sostituire il primo studente come negoziante. L’insegnante si ritira per lasciare lo spazio a loro e li invita a cominciare la conversazione.
Studente B: “Dica, signorina”.

Lo studente A, all’invito dell’insegnante, prende un cartoncino, lo fa vedere alla classe, chiede all’insegnante come si chiama, se è necessario, butta il dado e dice (mettiamo): “Vorrei due etti di uva”.

L’insegnante interviene. Chiede alla classe se due etti di uva è realistico. Dopo un po’ di riflessione molti dicono di no. L’insegnante chiede una misura più realistica. Qualcuno dice chilo. L’insegnante annuisce e comincia una colonna alla lavagna con:
ETTO
CHILO
(Arricchirà la lista man mano che sarà opportuno.)

L’insegnante chiede allo studente A di riprendere la battuta.
Studente A: “Vorrei due chilo di uva”.

L’insegnante interviene: “È corretta?” chiede alla classe. Dopo essersi consultati fra loro gli studenti si mettono d’accordo che dovrebbe essere “chili” perché plurale. L’insegnante annuisce e chiede allo studente A di ripetere, ritirandosi di nuovo.

Studente A: “Vorrei due chili di uva. Lo tagli sottile… “.
Lo studente si ferma: si accorge che qualcosa non va. Guarda l’insegnante. L’insegnante esprime accordo con lui e lo consiglia di omettere la frase. Spiega a chi della classe non ha capito che per l’uva il tagliare non c’entra affatto.
Studente B: “Sì… (fa finta di dare l’uva) … Altro?”.

Lo studente A, con l’incoraggiamento gestuale dell’insegnante “dietro quinte”, prende un altro cartoncino e lo fa vedere alla classe. Magari fa segno di non conoscere la parola. L’insegnante interviene e chiede alla classe. Qualcuno conosce la parola e la dice: “Cocomero”. L’insegnante annuisce. Lo studente A non ha ben sentito la pronuncia. L’insegnante invita lo studente fornitore della parola a ripeterla allo studente A.
Lo studente A la ripete e poi dice al negoziante tutta la frase:
“Quanto viene il cocomero al chilo?”.

Lo studente B consulta la lista dei prezzi e risponde adeguatamente. Studente A butta il dado e dice:
“Allora me ne dia tre chili”.

L’insegnante interviene. Dice che normalmente il cocomero non si divide. Dopo un po’ di riflessione uno studente offre: “Allora me ne dia 3 cocomeri”. L’insegnante accetta il concetto, ma invita la classe a ragionare sul contesto linguistico. Se nessuno offre una modifica, l’insegnante ricorda alla classe che normalmente in una conversazione non si ripete il nome della cosa di cui si sta parlando salvo il rischio di equivoco. Uno studente offre: “Allora me lo ne dia tre“. L’insegnante chiede agli altri se sono d’accordo. Qualcuno dice di sì, altri di no. L’insegnante li invita a giustificare le loro ipotesi. Questa strategia “dialettica” (vedi Bollettino Dilit, 1982, n° 1) va avanti fino alla sua conclusione.
Studente A: “Allora me ne dia 3”.

L’insegnante manda lo studente al suo posto, lo sostituisce con lo studente B, e chiama un altro studente a sostituire quest’ultimo. La scena si ripete. Ogni volta che c’è un problema linguistico l’insegnante interviene nel modo descritto sopra. Poi vengono avanti altri due studenti e si ripete di nuovo.

Ormai due risultati sono raggiunti: a) tutta la classe ha ben capito la meccanica dell’esercizio (come e quando prendere un cartoncino, buttare il dado, ecc.); e b) il tipo di problemi morfosintattici e lessicali che bisogna affrontare. In più, buona parte dei suddetti problemi è stata già affrontata; ne mancano altri, ma il numero è relativamente ristretto. A questo punto conviene usare il tempo a disposizione in un modo più efficace. Cioè si possono far esercitare tutti gli studenti contemporaneamente.

L’insegnante dispone gli studenti in coppie dando ad ogni coppia un mazzetto di cartoncini, un dado e una lista di prezzi (fotocopiata). (La moneta la mettono gli studenti.) Le coppie si mettono al lavoro; l’insegnante si dichiara a disposizione di chi vuole informazioni. Egli può o girare nell’aula, prestando orecchio qua e là, o ritirarsi in un angolo: la prima tattica è meglio nel caso di studenti che senza controllo non lavorerebbero; la seconda però è preferibile in assoluto perché permette agli studenti di responsabilizzarsi e fa crescere la loro autonomia.

Dopo 10 minuti l’insegnante dice a voce alta: “Scambiatevi i ruoli”. Dopo altri 10 minuti l’insegnante passa fra le coppie mischiando e scambiando i mazzetti di cartoncini da una coppia all’altra.

In tutto, quest’esercitazione può durare da 30 a 60 minuti a seconda di quanto sono coinvolti gli studenti. Per una classe di 30 studenti ci vogliono 15 dadi e un centinaio di cartoncini. Ripeto che questi cartoncini saranno utili per decine di altre attività di esercitazione, il che giustifica il tempo della loro preparazione.