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Lo studio autonomo

Uno degli argomenti più dibattuti nel Corso di Aggiornamento che si tiene mensilmente alla Dilit International House, e al quale partecipa la totalità degli insegnanti, è quello che riguarda lo studio autonomo e la sua validità. Ma che cosa si intende per studio autonomo?

La figura intorno alla quale ruota questa definizione è quella di uno studente che autogestisce il suo apprendimento cioè è responsabile del suo apprendimento.

Dice Leslie Dickinson nel suo Self-Instruction in Language Learning: “L’idea di uno studente autogestito irrita gli insegnanti come assurdamente idealistica e non realistica” e devo ammettere che anche nell’ambito del nostro Corso di Aggiornamento la discussione sulla sua “realizzazione” è quanto mai accesa.

Io cercherò in questo articolo di riassumere il punto di vista della Dickinson, ciò che avviene al Crapel (Centre de Recherches et d’Applications Pédagogiques en Langues) nell’Università di Nancy II in Francia e un’esperienza personale, tuttora in corso, con una classe di principianti provenienti da diversi paesi.

Secondo Leslie Dickinson il termine “autogestione” descrive un atteggiamento verso l’apprendimento in cui l’allievo accetta responsabilità riguardo al medesimo ma non esclude affatto la possibilità, per lo studente, di seguire un corso convenzionale.

Ovviamente uno studente che si autogestisce ha maggiori probabilità di portare avanti con successo il suo apprendimento che non uno studente che lo delega esclusivamente all’insegnante e al corso che frequenta. Di fatto questa nuova figura di studente responsabile non è né idealistica né poco realistica perché, al di fuori del contesto dell’educazione, noi ci prendiamo la responsabilità di una vasta gamma di cose anche quando non ne sappiamo molto.

Per esempio, prosegue la Dickinson, come genitori noi siamo responsabili della salute dei nostri figli ma ciò non significa che dobbiamo assumerci la responsabilità di formulare una diagnosi e di stabilire la cura per la loro malattia. La nostra responsabilità si esprime nel decidere quando richiedere l’aiuto di un esperto e che tipo di esperto cercare. Una volta trovato l’esperto però io non vengo meno alla mia responsabilità; voglio sapere qual è la diagnosi, che cura viene proposta, quali sono le alternative, ecc., per quanto tempo è necessario portare avanti la cura e qual è la prognosi. Un buon dottore sarà felice di dare tutte queste informazioni e si congratulerà per l’interessamento dei genitori.

Un altro esempio potrebbe essere quello della casa in cui vivo. Io sono responsabile di mantenerla in ordine e assicurarmi che il tetto non faccia acqua, che i tubi dell’acqua non gelino, che il parquet non marcisca, ecc. Posso fare tutto da solo o posso chiamare un esperto; oppure posso combinare i due, eseguire dei controlli da solo e chiamare un esperto quando e dove ce ne fosse bisogno per fare il lavoro.

La situazione dell’apprendimento autogestito è simile. L’allievo autogestito si assume la responsabilità di tutti gli aspetti della gestione del suo apprendimento ma probabilmente cercherà l’aiuto di un esperto e consigli per molti di questi aspetti.

Anche coloro che studiano in classi convenzionali possono assumersi responsabilità per il loro apprendimento in questo senso, benché il loro “raggio di azione” risulterà fortemente ristretto.

Se l’allievo, inoltre, si assume tutte le fatiche e i compiti della gestione dell’apprendimento, allora è anche autonomo, cioè non ha più bisogno dell’aiuto di un insegnante per organizzare il suo lavoro. Comunque, tiene a precisare la Dickinson, molti allievi autonomi lavorano con altri nel loro apprendimento (come vedremo che è accaduto al Crapel) perché l’autonomia non implica l’isolamento.

Il Crapel offre ai suoi studenti due tipi di corso serale e autonomo. Il secondo è stato creato non solo per offrire a quegli studenti che non trovano adatto il corso serale un corso alternativo, ma anche perché all’interno del Crapel l’impegno ideologico verso l’autonomia è molto forte. Questo impegno si basa su una intrinseca utilità di autonomia per gli adulti e sul riconoscimento di una seria limitazione sia nell’insegnamento che nel corso e nei libri di testo. Dice Riley (1974) “… gli adulti che intraprendono lo studio di una lingua lo fanno per precise ragioni, generalmente professionali che entrano in conflitto con la maggioranza delle assunzioni di base dell’insegnamento tradizionale in classe, cioè che tutti gli studenti hanno bisogno di imparare le stesse cose…” E Stanchina (1975) “… l’autonomia è un esperimento su come l’apprendimento può essere liberato dai limiti di qualsiasi istituzione e su come l’individuo può rivendicare controllo e responsabilità sulla propria istruzione mentre indaga sull’opportunità di imparare da una larga gamma di fonti autentiche… “.

Lo studente che vuole iniziare a studiare al Crapel ha quindi due possibilità: quella di iscriversi ad un corso serale che lo prepara contemporaneamente allo studio autonomo o di intraprendere direttamente un programma autonomo. Questi ultimi vengono affiancati da un assistente con il quale lavorano per la definizione dei bisogni e degli obiettivi, identificando oltremodo impedimenti di ordine pratico come il tempo a disposizione e la possibilità di recarsi al Crapel, ecc., arrivando, alla fine, a prendere delle decisioni preliminari sui materiali, metodi e tecniche di apprendimento.

Man mano che l’apprendimento progredisce, agli allievi verrà chiesto di assumersi una sempre più grande parte di responsabilità per tutti gli aspetti dello stesso, incluse la selezione del materiale e anche la programmazione delle attività. La totale autonomia dall’istituzione è il fine ultimo ma, allo stesso tempo, l’assistente è a disposizione per aiutare l’allievo ad affrontare tutti gli aspetti dell’apprendimento.

Un esempio: Université de Troisième Age

Nell’ambito dell’Università de Troisième Age era stato espresso un vago interesse per delle lezioni di inglese ma c’erano diversi problemi logistico-amministrativi da risolvere. Il Crapel suggerì un corso autonomo modificato. Una caratteristica importante del gruppo interessato al corso erano i contatti sociali e ciò era tanto importante quanto l’apprendimento della lingua inglese. Per questa ragione gli allievi, dietro consiglio del Crapel, si divisero in gruppi aventi gli stessi interessi ma principalmente sulla base di un’amicizia preesistente (i principianti furono messi in un gruppo a parte).

Vennero spesi quattro pomeriggi per la preparazione all’apprendimento autonomo. Da quel momento ogni gruppo organizzò il proprio orario di lavoro che tendeva ad essere suddiviso in due sessioni settimanali di due ore ciascuna.

Al gruppo vennero affiancati degli assistenti che consigliarono materiali, illustrarono tecniche e tutti i principianti ebbero libero accesso alla “Video and Sound Library”.

Gli assistenti fornirono anche aiuto per quanto riguardava il modo di affrontare determinati problemi, consigliando quali attività svolgere, fornendo materiali, registrazioni, canzoni, ecc., e contattando persone di madrelingua che potessero regolarmente incontrare gli allievi per scambi di conversazione.

Dopo qualche dubbio iniziale, gli allievi presero gusto a questo tipo di apprendimento autonomo; apprezzarono sia la libertà di scelta che quella di azione che non sarebbe stata possibile all’interno di una istituzione.

Tre settimane fa ho iniziato un corso per studenti principianti provenienti da diversi paesi nel mondo: Canada, Germania, Messico, Giappone, Corea, Filippine, India, Svizzera, Svezia e Israele.

L’età degli studenti è compresa tra i 18 e i 40 anni e le ragioni del loro soggiorno in Italia affatto diverse. Inoltre c’è chi ha già studiato un’altra lingua e chi si trova per la prima volta di fronte ad un idioma sconosciuto e quasi del tutto incomprensibile perché molto distante dalla madrelingua parlata. Ciò nonostante il gruppo si affiata quasi subito e già dal secondo giorno l’atmosfera che si respira in classe è rilassata e giocosa. Decido quindi di iniziare gli studenti a uno studio individuale fin dal terzo giorno della prima settimana (studiano 4 ore al giorno)

L’ultimo piano della sede della Dilit International House è attrezzato in questo modo:

– sala di ascolto (contenente materiale audio autentico graduato, nella scelta della durata e del contenuto, secondo i livelli);
– laboratorio linguistico (contenente materiale audio con esercizi atti a migliorare la competenza grammaticale e con brani di conversazioni autentiche da ripetere per migliorare esclusivamente la fonologia: accenti, ritmo, pause, intonazione, ecc.);
– sala di lettura e di consultazione di libri, riviste, quotidiani, libri di grammatica, dizionari, ecc.

Gli ultimi 40 minuti della lezione del terzo giorno li passo illustrando con cura agli studenti gli spazi disponibili all’ultimo piano e spiegandone gli obiettivi della loro utilizzazione; quindi li prego di seguirmi e mostro loro praticamente come far funzionare le macchine e come prenderci confidenza (tutto ciò si rende necessario perché, nonostante che viviamo nell’era della telematica, molti studenti si ritrovano perduti davanti anche alla tecnologia più semplice).

Il giorno dopo distribuisco loro il materiale con cui lavorare e gli spiego come usarlo. Dieci studenti trovano posto nella sala di ascolto dove devono ascoltare almeno sette volte conversazioni autentiche tra parlanti nativi: proibisco loro di portare quaderni, penne e vocabolari insistendo sul fatto che devono rilassarsi e cercare di cogliere il contenuto generale delle conversazioni, più o meno come hanno già fatto con me in classe.

Gli altri cinque si accomodano nel laboratorio linguistico e lavorano, anche se con qualche problema iniziale, su strutture grammaticali e fonologia.

Il giorno seguente i cinque studenti del laboratorio linguistico passano nella sala di ascolto e altri cinque che hanno lavorato nella sala di ascolto usano il laboratorio linguistico.

Il lunedì successivo anche l’ultimo gruppo di cinque studenti passa dalla sala di ascolto al laboratorio linguistico.

Nei tre giorni dopo, il ciclo viene ripetuto e alla fine della seconda settimana tutti hanno lavorato due volte nel laboratorio linguistico e quattro volte nella sala di ascolto.

All’inizio della terza settimana spiego loro che sono completamente liberi di scegliere quali delle tre attività svolgere (ascolto autentico, strutture grammaticali, fonologia) e di mettersi d’accordo tra di loro su chi deve lavorare in laboratorio e chi in sala di ascolto.

Contemporaneamente inizio i colloqui, cioè prego uno studente di restare in classe durante il periodo dello studio individuale per parlare con me.

Il colloquio verte su domande che io rivolgo allo studente, domande alle quali chiedo di rispondere con la massima sincerità: come ti trovi in classe, che cosa pensi del corso, quale attività ti sembra più utile, quale ti piace di più, quale non vorresti mai fare, cosa pensi dello studio individuale, ecc. I colloqui risultano sorprendenti e devo rivedere e riformulare impressioni e opinioni ma, soprattutto, posso constatare come tali colloqui producano una specie di complicità tra me e lo studente. Una complicità scherzosa e a volte ammiccante che rende l’atmosfera in classe ogni giorno più simile a una allegra riunione tra amici.

Nel corso del colloquio lo studente è spinto a riflettere sui suoi bisogni e a prendere coscienza dei suoi problemi; esprime i propri dubbi all’insegnante il quale ne prende atto e cerca di fugarli. Le critiche non mancano (anche se sono rare) ma non creano screzi o risentimenti anzi, a volte servono ad aprire un dibattito con tutta la classe sul metodo seguito dall’insegnante e sui suoi obiettivi.

È un argomento, quest’ultimo, sul quale l’insegnante deve parlare il più spesso possibile. Lo studente ama sapere che cosa fa ma soprattutto perché lo fa.

Attualmente i colloqui non sono ancora terminati ma da ciò che mi viene detto capisco che l’idea di uno studio individuale è un esperimento da continuare. Verifiche parziali sulla sua utilità e validità saranno certamente attuate, ma posso affermare già da ora che è possibile arrivare alla figura di uno studente autogestito anche se ciò comporta un lavoro e una preparazione sia del materiale che dell’insegnante/consulente molto più ricca, più profonda e tutto sommato più coinvolgente.

Bibliografia

Dickinson, L. 1987 Self-lnstruction in Language Learning, Cambridge University Press.
Riley, P. 1974 “From Fact to Function: Aspects of the Work of the CRAPEL” in Mélanges Pédagogiques.
Stanchina, C. 1975 “The Logic of Autonomy as a Strategy for Adult Learners”, CRAPEL (ciclostilato).