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O scrivo o cerco di capire, o l’uno o l’altro

Primo episodio

A scuola nostra è prassi mensile per tutti gli insegnanti andare a vedere una lezione di un collega. Così, mi è capitato di assistere ad una attività di Ascolto autentico tenuta da un’insegnante di italiano. Quando sono entrato stavano già al quarto ascolto, e la cosa che mi ha colpito di più era che quasi tutti gli studenti stavano scrivendo delle cose sul quaderno mentre ascoltavano. Poi, durante la consultazione in coppie, ho visto che buona parte del tempo era dedicata a fare riferimento a ciò che avevano scritto. A volte cambiavano qualche cosa sul quaderno, magari l’ortografia o sostituivano una parola con un’altra. Ho visto, anche, che la consultazione finiva piuttosto presto. Ho pensato che, nonostante l’insegnante volesse che loro elaborassero delle rappresentazioni globali della registrazione, molti studenti avevano cambiato l’attività in poco più di uno studio lessicale. Siccome non ero invitato lì in veste di critico mi sono tenuto i miei pensieri per me.

Però è successa una cosa interessante durante la quinta consultazione. Mentre gli studenti parlavano fra di loro, la collega è venuta da me e ha confessato di essere curiosa di sapere come mai nessuno di loro le chiedeva il significato di una parola. Al che ho detto “Perché non glielo chiedi?”. “Buona idea”, ha risposto. E quando l’attività era finita, gliel’ha chiesto.

La discussione è stata lunga, ma il ragionamento più interessante (secondo me!) è stato di uno studente che non ha scritto per niente durante gli ascolti. Il ragionamento era: ogni tanto riesco ad individuare qualche parola di cui non conosco il significato, ma poi, alla fine dell’ascolto, quando potrei chiederne il significato all’insegnante, non me la ricordo più. L’insegnante ha chiesto perché non se le scriveva, e lo studente: “Se prendo il tempo per scrivere, perdo il filo del discorso. O scrivo o cerco di capire: non posso fare bene due cose insieme”.

Finita la discussione, in cui tante altre cose sono state dette, gli studenti sono andati al bar per l’intervallo e la collega mi ha chiesto che cosa ne pensavo della discussione. Allora ho confessato la mia predilezione per il discorso che ho riferito prima. “Che cosa faresti al posto mio, allora?”, mi ha chiesto. “Farei un esperimento. La prossima volta che faccio un Ascolto autentico gli direi che non possono usare le penne”.

“Più facile a dire che a fare”, mi ha risposto. “Loro protesterebbero: sono abituati a scegliere da soli se scrivere o no. Lo vedrebbero come una violenza”. “Allora, prova a dirgli che vuoi sperimentare una cosa diversa, una cosa nuova”.

Poi ho lasciato la collega per preparare le mie lezioni, pensando che forse ne avremmo riparlato fra qualche giorno nel caso lei decidesse di seguire il mio consiglio. Invece, soltanto un’ora e mezza più tardi, alla fine della sua lezione, è corsa a trovarmi, emozionata. “Funziona, funziona benissimo!”, gridava. “Funziona che cosa?”, ho chiesto. “Funziona il divieto delle penne”, ha spiegato. “Avevo così tanta fretta di provarlo che l’ho proposto alla classe subito dopo l’intervallo”. “Due ore di Ascolto autentico su tre ore e mezza di lezione?”, ho detto, stupito. “Che sei matta?”. “Gli studenti erano tutti d’accordo sul voler provare l’esperimento, anche subito: quindi l’abbiamo fatto subito! Durante le consultazioni avevano molte più cose da dire, ed alla fine della lezione hanno detto tutti che senza penne la lezione era molto più soddisfacente. Sono tutti entusiasti e vogliono fare l’Ascolto autentico sempre così d’ora in poi”.

Secondo episodio

Nell’ambito di un lavoro di approfondimento delle finalità e delle modalità dell’Ascolto autentico insieme agli insegnanti della nostra scuola, ho tenuto una lezione dimostrativa in cui, fra l’altro, non c’erano a disposizione penne e carta. Durante la discussione successiva, due dei partecipanti hanno detto che avrebbero voluto poter scrivere delle cose mentre ascoltavano. Dopo ulteriori approfondimenti abbiamo capito che l’apparente accordo fra i due partecipanti non c’era in verità: la penna, infatti, sarebbe stata usata per due scopi diversi:

1) per scrivere le parole chiave per guidare il racconto al compagno durante la successiva consultazione: “altrimenti non ci si può ricordare tutto”;
2) per scrivere parole di cui si vuole conoscere il significato.

Esaminiamo il primo scopo. Se la consultazione con il compagno è vista come un atto “razionalmente corretto”, un’operazione in cui bisogna essere “scientifici”, in cui bisogna produrre un riassunto “obiettivo”, allora, sì, si può capire che per esigenze di precisione si può rivendicare la penna. Se invece la consultazione con il compagno è vista come un’opera di libera fantasia, di invenzione, allora la penna non serve. Anzi le cose scritte nero su bianco spesso accumulano un’autorevolezza che non ha la parola parlata, e quindi diventano meno negoziabili, quindi meno suscettibili di modifica nella discussione con il compagno. Invece quando tutto è mobile, tutto è negoziabile, la discussione fra i due studenti è più ricca, più esplorativa, più fantasiosa. Allora come mai il mio studente cavia ha protestato? Evidentemente perché io non sono stato abbastanza bravo nel convincerlo di lasciarsi andare alla sua fantasia. Nella mia difesa cito tre fattori che giocavano un effetto negativo: a) era la prima lezione con questa “classe”; b) lavoravano sotto gli occhi di osservatori; c) chi voleva la penna era un insegnante che finora ha fatto scrivere i suoi studenti. Sono tutti fattori che tendevano a sminuire l’effetto dei miei calorosi inviti ad abbandonarsi alla fantasia.

Vediamo il secondo scopo. Se lo studente in questione ha la possibilità di scrivere la parola che lo incuriosisce, sicuramente la scriverà. Poi, finito l’ascolto, ne chiederà all’insegnante, o ne cercherà sul dizionario il significato. Che c’è di male? Prima di rispondere, racconto ciò che succede in merito con le mie classi quando non c’è la possibilità di scrivere. Generalmente, dopo un certo numero di ascolti (forse 4-5), al momento in cui spengo il registratore e invito gli studenti a continuare la consultazione con il compagno, uno o due studenti mi chiedono il significato di una o due parole, e spesso la mia risposta provoca una reazione di grande soddisfazione. Questa soddisfazione deriva, credo, dalla conferma che l’intuizione dello studente che la parola scelta fosse una parola “chiave” era giusta. Frequentemente lo studente si è già posto un’ipotesi di significato, e la sua domanda a me è di conferma. E in questo caso la soddisfazione è ancora più grande. Coma mai lo studente si ricorda la parola? Secondo me, perché lo scopo dello studente è sempre di cercare di capire il testo come interezza e non come un insieme di parole. E questa ricerca provoca ogni tanto una tale necessità di conoscere il significato di una determinata parola che non può essere dimenticata. Invece, se torniamo allo studente che ha rivendicato la penna, la rivendicazione viene fatta proprio perché “altrimenti non ci si potrebbe ricordare la parola”. Ciò mi porta alla conclusione che l’attenzione dello studente si è spostata dal testo alle parole. E fornire penne e carta incoraggerebbe un simile approccio, provocando probabilmente un maggior numero di parole appuntate e un progressivo rinforzo di una studio lessicale piuttosto di uno studio testuale.

Da quando faccio ascoltare i miei studenti senza penne e carta vedo una più rapida acquisizione della sicurezza nella propria capacità di trovare un significato nei testi orali, anche in quelli più oscuri.