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PERCHÉ PROPORRE AGLI STUDENTI LA STORIA MIMATA?

Ovvero perché decidere di fare in classe un’attività durante la quale non possiamo parlare?

di Francesca Granone

La STORIA MIMATA non è un gioco, ma è una MODALITÀ LUDICA DI FARE GRAMMATICA in classe.

Quali sono le caratteristiche dell’aspetto ludico di questa attività?

– Le regole e la scelta di adottare un codice condiviso (che potrebbe essere anche la scelta di usare il metalinguaggio: cornice della attività per lo studente ‘difficile’ e/o diffidente che può identificare così la Storia mimata più chiaramente come una attività grammaticale).

– Lo svolgimento. Il divertimento è nel processo di costruzione della storia e nel fatto di ‘giocare’ in classe a qualcosa che non rientra negli schemi.

-La gestione del tempo (compito dell’insegnante) che deve avere un ritmo sostenuto e la distorsione della normale percezione temporale che comporta una completa immersione[1] dello studente nel lavoro di ricostruzione della storia (tipicamente sembra che il tempo passi più in fretta).

– Il testo da usare (una storia divertente)[2].

Vediamo ora qual è la struttura di questa attività, che è caratterizzata da tre momenti ben definiti:

  1. l’emissione dell’insegnante,
  2. la ricezione dello studente,
  3. la creazione delle ipotesi e la produzione/condivisione/revisione tra pari.

Questi momenti si susseguono e si intersecano in un entusiasmante coinvolgimento di tutta la classe.

L’EMISSIONE vede come attore principale l’insegnante che mette in scena la storia, mimandola.  La caratteristica di questo momento è il silenzio.

Sappiamo bene, come diceva Christopher Humphris nell’intervento introduttivo del 20° Seminario internazionale[3] nel 2014, che «gli insegnanti parlano troppo» e che «non dobbiamo insegnare agli insegnanti a parlare, ma… a stare zitti».

Noi insegnanti dobbiamo IMPARARE AD ASCOLTARE e a DOSARE le nostre parole, scegliendole con cura e la Storia mimata ci può aiutare ancora di più a lavorare su questo.

«L’ascolto – dice il filosofo coreano Byung-Chul Han – non è un atto passivo, – ma – lo caratterizza una particolare attività»[4], cioè l’offerta, e noi dobbiamo diventare «orecchio», offrendo innanzitutto ascolto, offerta che aiuta lo Studente a «prendere la parola». Si può quindi dire che «l’ascolto precede la parola» e «chi ascolta porta l’Altro a parlare».

Certo il SILENZIO nella nostra cultura è un elemento spiazzante, un vuoto da riempire, ma per la Storia mimatadobbiamo parlare delle QUALITÀ DEL SILENZIO.

Parliamo quindi di silenzio:

‘AGITO’, cioè l’insegnante dà vita al silenzio mimando la storia, rendendolo così comunicativo.

‘OSPITALE’, «tutto in ascolto». Noi insegnanti dobbiamo diventare «orecchio», «facendo a meno – come dice Byung Chul Han – del disturbo che la bocca potrebbe arrecare»[5] e far sentire lo Studente accolto.

PEDAGOGICO’ perché il silenzio diventa strumento che esalta la centralità dello studente.

 La dimensione dell’ascolto ha un ruolo determinante nella relazione educativa. «L’ascolto serve – come dicono Tuffanelli e Ianes – a supportare la comunicazione, a farla avanzare, a stimolare la ricerca autonoma di soluzioni ai problemi, arassicurare dimostrando che si colgono le emozioni dell’interlocutore. L’ascoltatore […] è come uno specchio intelligente: non fornisce consigli o suggerimenti ma uno spazio per riflettere […]. Con l’ascolto attivo non si cerca solo di capire il senso delle parole e le emozioni di chi parla, ma si danno dei feedback di verifica»[6].

Anche il silenzio ha una sua ‘grammatica’, programmata, che implica una precisa strategia per raggiungere un determinato scopo.

Parliamo anche di silenzio DI ‘PIACEVOLE SODDISFAZIONE’ perché l’insegnante partecipa del piacere degli studenti e prova inoltre il piacere di vedere all’opera lo studente/gli studenti che si sforzano di produrre una costruzione grammaticale corretta o cercano la parola giusta anche in assenza di un suo intervento. Il silenzio dell’insegnante è da stimolo per lo studente e il gruppo–classe che non ne aspettano l’intervento ma si attivano per trovare una soluzione.

E poi c’è un’altra importantissima qualità del silenzio il ‘SILENZIO come ATTESA’.

A questo proposito, dovremmo domandarci quanto tempo aspettiamo dopo aver posto una domanda agli studenti prima di ricominciare a parlare, cioè quanto tempo concediamo agli studenti per rispondere.

Il SILENZIO/ATTESA aiuta a contenere la tensione verso la necessità di trasmettere conoscenze, contenuti e rispetta i tempi dello studente.

Da un interessante studio della Scotti Juricsulla normale interazione scolastica, caratterizzata dalla tripletta domanda-risposta-commento, risulta che «un meccanismo importante, che ha anche risvolti centrali per l’apprendimento, è il tempo di attesa che l’insegnante concede all’alunno per rispondere e che questo tempo normalmente si aggira intorno a un secondo, – risulta ancheche –introducendo  però tempi di attesa più lunghi, intorno ai cinque secondi, si otterranno risposte più numerose, più lunghe e qualitativamente migliori»[7]. Nella normale interazione in classe quando la pausa si presenta in un momento in cui nessuno in particolare è stato selezionato per parlare, «ogni partecipante […] può prendere il turno» o meglio si sente libero di prendere l’iniziativa e più sicuro nel prenderla. Quello che noi proponiamo quotidianamente in classe non è però la mera struttura conversazionaledella normale interazione scolastica domanda–risposta–commento, ma uno ‘spazio/tempo’ condiviso, dove l’insegnante deve dosare con molta parsimonia le sue parole, che sono per lo studente/gruppo–classe solo il punto di partenza di una ricerca/scoperta. Nella Storia mimata, possiamo dunque parlare di un lungo silenzio/‘pausa’, ‘senza padrone’, o meglio della classe, che è riempito da un’attività non verbale prima e verbale poi, che interessa tutti i partecipanti. E quindi stimola la molteplicità di risorse che vengono così accolte e valorizzate.

E diviene SILENZIO ‘PRODUTTIVO’.

Lo ‘STARE’ in silenzio dell’insegnante è in realtà un ‘FARE’ in silenzio!  DOBBIAMO IMPARARE A FARE IN SILENZIO!

LA RICEZIONE dello studente è il secondo momento dell’attività e a questo punto è utile parlare del LIVELLO. 

Abbiamo sperimentato che possiamo proporre questa attività in classedalla fine dell’A1 perché:

lo studente può padroneggiare lo strumento delle domande ‘magiche’ (Che significa? Come si dice? …), che lo rendono indipendente dall’insegnante e sente di aver il potere e il dovere, se ne avesse necessità, di domandare ai compagni e/o in seconda battuta all’insegnante; 

lo studente ha già un suo bagaglio di conoscenze (naturalmente, sarà importante la scelta del testo);

– lo studente può godere della curiosità rispetto alla attività e alla storia (oggetto dell’attività) e di una curiosità “intellettuale” (lessicale, grammaticale, sintattica…).

Nel Menone di Platone, Menone chiede a Socrate come possa indagare su qualcosa che ignora e quale delle cose che ignora proporrebbe come oggetto della sua indagine, e l’astrofisico Mario Livio sostiene che «quando […] padroneggi un argomento, non sei più molto curioso perché pensi di sapere tutto quello che ti serve»[8]. Quando siamo veramente curiosi? Quando sappiamo già qualcosa su un argomento ma allo stesso tempo ci rendiamo conto anche che c’è molto altro da scoprire. «Lo conferma uno studio effettuato da neuroscienziati del California Institute of Technology nel 2009: le aree cerebrali più attive quando siamo altamente curiosi sono le stesse legate all’anticipazione di uno stimolo gratificante». I neuroscienziati sono riusciti a ‘vedere’ la curiosità nel nostro cervello e hanno visto che quando siamo curiosi aumenta l’attività delle aree cerebrali associate alla fame e alla risoluzione del conflitto tra le ambiguità. Quando invece soddisfiamo la curiosità, ad aumentare l’attività è la regione cerebrale associata con il piacere. Perciò si può dire con le parole dell’astrofisico che «essere curiosi è come essere affamati, e soddisfare la curiosità è come saziarsi». A differenza però di quanto succede col cibo, quando siamo del tutto a digiuno di conoscenza non avvertiamo «i morsi» di una curiosità vorace. «Preferiamo concentrarci su un argomento in cui siamo in grado di districarci pur non essendone esperti, dove soddisfare la curiosità può fare la differenza, perché siamo in grado di ben contestualizzare la nozione che acquisiamo e migliorarci di più».

E’ importante quindi che ci sia un bilanciamento tra sfida e abilità: nel senso che l’individuo si deve impegnare in qualcosa di appropriato per le proprie capacità perché il godimento è la motivazione principale all’operosità.  Interessante a tale proposito è lo studio dello psicologo ungherese Csikszentmihalyi che sottolinea come «il godimento»[9] sia la motivazione principale all’operosità. Godimento reso possibile però solo quando entriamo a contatto con questo stato di essere, cioè la «flow experience», che è caratterizzata dalla percezione, da parte dell’individuo, di sufficienti e appropriate opportunità per l’azione (sfide) e, corrispettivamente, di personali adeguate capacità (abilità). «Entrare nel ‘flusso’ dipende, quindi, dall’equilibrio tra queste due componenti, valutate soggettivamente». Nel caso lo studente percepisca armonia tra i livelli di sfide e abilità, «allora potrà esperire la flow experience, l’esperienza ottimale, sperimentando il pieno assorbimento in un’esperienza che coinvolge l’individuo globalmente, concentrando nel compito aspetti cognitivi, emotivi e comportamentali. La totale armonia con quello che si sta facendo non solo porta al godimento puro, ma offre la possibilità di accrescere le proprie capacità, mettendosi in gioco, testando e imparando nuove competenze, e la propria autostima. L’esperienza ottimale attiva il flusso dinamico di energia mentale che attiva risorse e potenzialità dell’individuo».

LA CREAZIONE delle ipotesi /PRODUZIONE/CONDIVISIONE/REVISIONE TRA PARI, terzo momento dell’attività, è quello della in cui lo studente/gruppo-classe è una sorta di organismo unico, a più teste, ed è il vero motore dell’attività(come hanno anche notato gli studenti e scritto nei questionari che gli abbiamo somministrato).

Gli studenti sono i veri ‘attori’, portati, inoltre, inconsciamente, a collaborare perché sentono di dover procedere insieme anche perché il regista (l’insegnante), ritiratosi nell’angolo, è apparentemente fuori dalla scena.

Gli studenti sono al centro del processo e ognuno di essi è messo nella condizione di RICERCARE la parola, il tempo, il Modo, la struttura grammaticale in prima persona e utilizzando le proprie abilità.

Il fine ultimo del nostro lavoro è CREARE DEI RICERCATORI CHE ABBIANO IMPARATO AD IMPARARE.                               

Per quanto riguarda lo SPAZIO-CLASSE (fig. 1) dobbiamo ricordarci di quanto sia importante come e quanto spazio occupiamo fisicamente noi insegnanti e tenere sempre presente il significato dello spazio che occupiamo, ricordandoci quindi di rispettare quello dello studente. 

                                            SPAZIO-CLASSE (fig.1)

Attesa                          Attesa   Palcoscenico                  Insegnante   S                                         S   S                                     S      S S S S S S S S S S S 

Gli Studenti dovrebbero essere seduti in semicerchio per potersi vedere e soprattutto ascoltare.

Il Palcoscenico è lo spazio dove l’insegnante ricostruisce la scena e mima la storia.

L’ Attesa è l’angolo della classe dove l’insegnante si ritira e aspetta fuori dalla scena che gli studenti producano e condividano le loro ipotesi.

Con la parola Insegnante è indicato lo spazio dove l’insegnante accoglie le ipotesi e lavora con gli studenti su forma e pronuncia.

L’insegnante quindi a seconda del momento dell’attività si dovrà spostare nello spazio.

Ma CHE COSA PENSANO GLI STUDENTI DELLA STORIA MIMATA?

La maggior parte degli studenti descrive così l’attività – riporto le parole che hanno utilizzato nei questionari anonimi che gli abbiamo somministrato – “divertente”, “utile”, “impegnativa”, “una sfida”, “sempre… attento, “collaborare”, “mai noiosa”, è anche chiaro da quello che hanno scritto che sono coscienti di aver fatto grammatica perché – riporto testuali parole –  “Questa attività è molto efficace per imparare grammatica e vocaboli” “mi ha permesso di imparare cose che non sapevo”, “Si usa il proprio cervello e si impara della conoscenza degli altri”.  

Tornando ora alla domanda iniziale, “PERCHÉ PROPORRE, tra le diverse attività, anche la STORIA MIMATA?”

Perché (oltre che per le caratteristiche viste), come dice una studentessa, poiché «la bocca è più veloce della testa», si ha bisogno di uno spazio/tempo condiviso che permetta di riflettere e la STORIA MIMATA È UN OTTIMO STRUMENTO.

Bibliografia

Aluffi, Giuliano,La curiosità è geniale, parola di astrofisico, in Il venerdì <http://www.repubblica.it/> (2017)

Bianchi, Marina, Se la felicità è così importante, come mai ne sappiamo così poco?, <https://www.researchgate.net/publication/228432664_Se_la_felicita_e_cosi_importante_come_mai_ne_sappiamo_cosi_poco> (2004)

D’Ambrosio,  Francesco, Huizinga, Caillois e Bateson: quando il gioco diventa oggetto di studio in Sociologicamente.it <https://sociologicamente.it/huizinga-caillois-e-bateson-quando-il-gioco-diventa-oggetto-di-studio/> (2018)

Gandolfi, Angelica , The Flow esperience: la prestazione che genera gratificazione e positività, in State of mind  <https://www.stateofmind.it/2015/11/flow-experience-prestazione-perfetta/> (2015)

Guastalla, Carlo, Quale centralità?, in Centralità del discente, Atti del 12˚ seminario internazionale per insegnanti di lingua a cura di  C. Humphris (Roma 2000), Roma, Edizioni Dilit, 2000, pp.69-72

Han, Byung-Chul, L’espulsione dell’altro, Milano, Nottetempo, 2017

Humphris, Christopher, Esiste il metodo Dilit? 

 <www.youtube.com/watch?v=Fr-0HYtbGmI> (2014)

Idone Cassone, Vincenzo, Sull’uso metaforico dei giochi nella teoria semiotica, in Academia <https://www.academia.edu/6305462/Sulluso_metaforico_dei_giochi_nella_teoria_semiotica> (2014)

Oller, John W. Jr., Language Tests at School, Londra, Longman, 1979 

Platone, Menone

Pontesilli, Alessandra, Il Silent way, in Cera una volta il metodo, a cura di C. Serra Borneto, Roma, Carocci, 2002, pp. 109-130

Rutka, Sonia, Didattica ludica e cooperativa nella classe plurilingue,

Scicluna, Dodger, Alcune riflessioni sulla centralità dello studente, in Centralità del discente, Atti del 12˚ seminario internazionale per insegnanti di lingua a cura di C. Humphris (Roma 2000), Roma, Edizioni Dilit, 2000, pp, 73-75

Scotti Juric, Rita, Conversazione in classe: la strategia educativa delle domande e del silenzio

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Tuffanelli, Luigi, Ianes, Dario, La gestione della classe: autorappresentazione, autocontrollo, comunicazione e progettualità, Trento, Erickson, 2011


[1] Gli studenti possono provare la «flow experience», cfr. nota 10.

[2] Su Internet è possibile trovare facilmente materiale da utilizzare in classe.

[3] C. Humphris, Esiste il metodo Dilit? <www.youtube.com/watch?v=Fr-0HYtbGmI>.

[4] B. Han, L’espulsione dell’altro, Milano, Nottetempo, 2017, p. 91.

[5] B. Han, L’espulsione dell’altro cit., p. 92.

[6] L. Tuffanelli, D.Ianes, La gestione della classe: autorappresentazione, autocontrollo, comunicazione e progettualità, Trento, Erickson, 2011.

[7] R. Scotti Juric, Conversazione in classe: la strategia educativa delle domande e del silenzio, Metodicki obzori 1, 2006, 2, in hrčak <https://hrcak.srce.hr/11542> (2006).

[8] G. Aluffi, La curiosità è geniale, parola di astrofisico, in Il venerdì <http://www.repubblica.it/> (2017).

[9] A. Gandolfi, The Flow esperience: la prestazione che genera gratificazione e positività, in State of mind <https://www.stateofmind.it/2015/11/flow-experience-prestazione-perfetta/> (2015).