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Pronuncia e mimica facciale: laboratorio

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Uno degli obiettivi di un insegnante di lingua è che i suoi studenti producano un parlato comprensibile ed accettato dai nativi della lingua studiata. Il parlato comprensibile è quello di chi utilizza parole e strutture coerenti al pensiero che le muove. Il parlato accettabile è quello trasmesso in modo ritenuto adeguato dai nativi.
Generalmente nelle scuole di lingua, a quest’ultima abilità, non si dedica un tempo pari alla sua importanza, che è lasciata per lo più al brado, per concentrarsi invece sulla correttezza grammaticale.
Si può produrre lingua corretta ma fuori contesto o priva di senso, come ne “Il Lonfo” di Fosco Maraini:

Il Lonfo non vaterca né fluisce
E molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce
sdilenca un poco e gnagio s’archipatta.

Ma una domanda non pronunciata come una domanda, diventa una affermazione. Una parola mal pronunciata cambia di significato o diventa un suono bizzarro.
Intonazione, ritmo, durata, altezza, colore, tono, volume, mordente, tempo, musicalità, controllo della fonazione, coordinazione delle informazioni provenienti dai muscoli facciali, selezione dei suoni, percezione dei suoni, coinvolgimento corporeo, esercizi di pronuncia, … sono concetti ed attività che sembrano non appartenere al repertorio di un corso di lingua.
Un non udente non parla, non perché sia danneggiato il suo apparato fonatorio, ma perché non può udire se stesso, né gli altri. Non ha potuto fare esperienza, nella sua primissima infanzia, di quelle elaborazioni ed acquisizioni che avvengono nel periodo della lallazione, indispensabile per entrare in confidenza con i propri mezzi fonatori attraverso l’emulazione dei suoni uditi.
Per quale motivo si riesce a capire la provenienza di un inglese, un tedesco o un brasiliano anche se usano le parole e le strutture di un italiano invidiabile? Al di là degli studi, del periodo di permanenza in Italia, della volontà personale, continuano a riproporre la componente più intima della loro lingua madre, quella elaborata ed acquisita durante la lallazione: i suoni della lingua dell’ambiente materno.
Il Prof. Tomatis ha osservato che ogni lingua utilizza in maniera preferenziale alcune zone di frequenze sonore, chiamate bande passanti.
In basso la tabella delle bande passanti di alcune lingue di uso corrente:


Queste differenze sono determinate dall’impedenza dell’aria che cambia secondo i luoghi geografici. In effetti, in funzione dell’altitudine, della vegetazione, dell’umidità e di altre caratteristiche geografiche e climatiche, l’aria tenderà a propagare meglio certe frequenze e ad attenuarne altre.
Quindi per ben pronunciare un’altra lingua bisogna ben ascoltare e avere l’opportunità di sviluppare i movimenti di muscoli e tendini come li muovono i nativi della lingua che si studia.
È quello che in questo laboratorio abbiano battezzato come “face building” che comprende, oltre a ginnastiche specifiche in buona parte create ad hoc, le attività di pronuncia segmentale e ripetizione a ritroso.
Tutti questi esercizi sviluppano la sincronizzazione di tutto quanto contribuisce ad avere, nella comunicazione, una pronuncia comprensibile ed accettabile. Perché ciò avvenga l’insegnante è il primo che deve rendersi conto dell’importanza di queste fasi del lavoro e proporle in classe.

Bibliografia

Tomatis, Alfred A., Siamo tutti nati poliglotti, Como – Pavia, IBIS Edizioni, 2003.
Tomatis, Alfred A., L’orecchio e il linguaggio, Como – Pavia, IBIS Edizioni, 1995.
Sofia, Mariuccia, Manuale di educazione della voce, Roma, HERMES Edizioni, 2000.
Della Porta, Paola, Manuale di dizione, Roma, GREMESE Editore, 2001.
Bottero, Adelina, La rieducazione della voce attraverso la ginnastica respiratoria, Opera Universitaria dell’I.S.E.F. di Torino, 1983.