Dal testo letterario alla rappresentazione scenica
[Cliccare qui per la versione video]
1 ° giorno
- Lettura approfondita del testo (in allegato) con il dizionario (il tempo dipende dalla lunghezza del testo)
- Consultazioni e scambio di opinioni su quanto letto
2° giorno
- Racconto dettagliato del testo ad eventuali studenti assenti il giorno precedente
- Analisi dei personaggi preceduto da un brainstorming che aiuti gli studenti a dar vita ai personaggi (Chi sono? Qual è il loro contesto sociale? Com’è la loro famiglia? Quali sono i loro problemi, le loro aspirazioni, i loro sogni? Come si vestono?….)
- Invenzione della prosecuzione della storia, di un esito (oralmente)
- Scrittura della trama dell’esito immaginato (solo i fatti, senza dialoghi)
3° giorno
- Scelta dei ruoli all’interno dei gruppi
- Improvvisazione dei dialoghi e della messa in scena
- Replica dell’improvvisazione con eventuali miglioramenti
- Ulteriore versione, questa volta con registrazione audio
4° giorno
- Editing della versione audio (ogni gruppo riascolta e migliora tutto ciò che ritiene di dover migliorare, con particolare attenzione alla lingua, alla pronuncia, all’intonazione, alla fluidità)
- Messa in scena della versione migliorata, questa volta videoripresa
5° giorno
- Editing della versione filmata (ogni gruppo guarda il video e discute i miglioramenti concentrandosi soprattutto sul movimento, sull’espressività, sulla gestualità, sulla mimica…)
- Messa in scena finale videofilmata.
***
Allegato 1
Tratto da “Ma le stelle quante sono” di Giulia Carcasi, ed. Feltrinelli
Tutti presenti, tutti e venti. È importante questo oggi, perché è l’ultimo giorno di liceo della nostra vita. Ci si guarda sorridendo, pronti a inseguire e a essere inseguiti con una bottiglia d’acqua in mano, pronti a vendicarci del ragazzo o della ragazza che per cinque anni non ci ha degnato di uno sguardo, della secchiona che non ci ha passato la versione, dell’amore che ci ha fatto soffrire e, perché no?, pronti a bagnarne uno nuovo di amore, a far nascere così un nuovo incontro, con un gavettone in mano, dirsi un “Ciao, scusa”, perché ogni «scusa” è buona per conoscersi. E lei ne prenderà tanti di gavettoni oggi, lei, Silvia Di Giosio. Per tutte le volte che ha fatto la spia, che ha fatto “sì, sì” al suo primo banco centrale, che ha suggerito male, che ha leccato il culo ai professori, per il suo naso a frappa, per i suoi capelli unti, per la sua pelle che sa di acido. Quanti soprannomi le abbiamo dato: Frantoio, Yogurt, Mammut, Mangiafuoco, Mafalda, Acidella, Ursula…, ma non è il caso di perdere tempo a spiegarli. Oggi ci si sente leggeri, ma è una liberazione parziale, perché tra quindici giorni saremo di nuovo qui, seduti davanti a una cattedra e ci faranno il conto di quello che abbiamo fatto in cinque anni. I professori la chiamano “valutazione finale”, stringi stringi è un conto della spesa: qualcuno avrà messo nel carrello qualcosa che non doveva, qualcun altro arriverà alla cassa e pagherà più di quello che ha comprato e non potrà farci nulla. Dovrà pagare e basta, perché la scuola è come un supermercato, senza sportelli per le proteste però. E poi, tra quindici giorni, la liberazione, vera, mica come il 25 aprile… Passo l’ora di religione in bagno, con il rubinetto al massimo. Riempio un gavettone dietro l’altro e mi ritrovo zuppa degli schizzi scappati al lavandino. Ho un freddo bagnato, che mi sta addosso. La T-shirt di cotone, bianca, è diventata trasparente sul davanti. Malari entra in classe, l’ultima ora di italiano della nostra vita. Che potrebbe essere un’ora piena di sorrisi e dei migliori auguri per il nostro futuro, che si potrebbe leggere qualche poesia e ritrovarsi tutti insieme lì, in quelle parole, nella voglia di viversi e di affrontare quello che il domani ci riserva. Ma Malari quell’ora la spreca a minacciare: “All’orale faremo i conti…” e gli occhi brillano di potere. Mancano pochi minuti: siamo pronti a scattare, con gli zaini pieni di bombe e i piedi riempiti di fretta. La campanella suona, per l’ultima volta. E persino la sua voce metallica sembra dolce ed entusiasta, come se anche lei volesse buttarsi in mezzo a quella guerra d’acqua, inseguire ed essere inseguita. “Saricca, vorrei scambiare due parole con lei” dice Malari.
M’illumino. “Certo.” Avrò le mie scuse. Tutti gli altri scappano, solo Carlo sta lì, ad aspettarmi. Il professore gli chiede se può uscire anche lui dall’aula e chiudere la porta. Restiamo soli, Malari e io. E fa un certo effetto vedere quei banchi vuoti, ti fa sentire che hai lasciato il tuo posto a qualcuno che neppure conosci. Qualcuno che leggerà le scritte che TU hai inciso, che si nasconderà in quello stesso angolo del banco dove TU ti nascondevi per sfuggire all’interrogazione, che batterà nervoso il piede a terra con lo stesso ritmo che TU avevi. Qualcuno che ruberà un po’ di vita tua. Fa effetto, ti senti scippato, di passaggio. “S’accomodi, Saricca.” Mi lascia la sedia del potere. Mi siedo. “Saricca, io i suoi voti glieli ho lasciati. La presento con nove alla maturità anche se, dopo la sfuriata dell’altro giorno, non meritava neanche di essere ammessa.” Tiro un sospiro di sollievo. Malari ha una voce tranquilla, non sembra portarmi rancore. Meno male… “Grazie, professore.” “Si figuri. Ho una profonda stima di lei e so che non mi deluderà.” E poi giù, una cascata di complimenti. Divento rossa, sorrido. “Vede com’è carina quando smette di fare la rivoluzionaria e sorride…?” Mi misura dai piedi ai capelli, poi il suo sguardo si fissa sulla T-shirt bianca che trattiene acqua. La maglietta non si è ancora asciugata. Cerco di scollarla sul davanti, per nascondere i seni, ma dopo pochi secondi si riappiccica lì. “Come mai è tutta bagnata?” “Mi sono schizzata col rubinetto.” Le grida dei ragazzi che s’inseguono salgono dal cortile. “Anche lei voleva prender parte ai festeggiamenti dell’ultimo giorno?” “L’idea era quella.” “Allora sono contento di averla strappata a questa barbara usanza. In compenso, mi godo il privilegio di poterla guardare in trasparenza…” I suoi occhi puntano i seni, la sua voce si china, si fa pastosa. “Noto con piacere che non porta il reggiseno.” Smetto di sorridere. Porto gli occhi in basso, vedo i capezzoli induriti dal freddo che spuntano dalla maglietta. Incrocio le braccia sul petto. “Non si copra!”
Ora la sua voce è dura, un ordine che pretende obbedienza. Mi alzo di scatto, afferro la maniglia. “Ferma! È questo il suo modo di ripagare la mia fiducia?” Corro, corro via, veloce come non sono mai stata. Svelta, verso l’uscita. Carlo è ancora lì, mi aspetta sui gradini dell’androne. Lo prendo per il braccio, lo strattono. “Andiamo!” “Oh, ma che è successo?” Cammino in silenzio, più veloce dei maratoneti. “Zitto! Zitto e svelto!” Dov’eri Carlo? Perché non sei salito? Perché non hai avuto sospetti? In pochi minuti siamo davanti a casa. Non lo lascio entrare, gli chiudo la porta in faccia. “Sei un cretino… sai esserci solo nei momenti sbagliati!” Lui continua a chiedere “Alice, ma che è successo?”. CARLO, ore 15.00 Questo “cretino”, che sa “esserci solo nei momenti sbagliati”, ti passa a prendere tra dieci minuti; ve ne andrete da qualche parte e gli racconterai tutto. Non puoi dirgli di no! ALICE, ore 15.01 No! CARLO, ore 15.05 Allora lo fai apposta! Basta, vengo lì e ti costringo a parlare. ALICE, ore 15.06 No! Viene sotto al mio portone e citofona. “Sono Carlo, fammi salire e ne parliamo.” “No.” “Mi spieghi, Alice, che è successo?” “Sono affari miei, tu non c’entri.” “Non puoi fare così, Alice, lo capisci che non c’è più distinzione IO/TU?” E la sua frase mi tocca. Gli apro.
Ci mettiamo in camera mia. Lui si guarda intorno e mi chiede che senso hanno quelle frasi che ho scritto sulle pareti: Hikmèt, Saba, Merini… Ogni goccia d’inchiostro ha la sua storia. Se la vita non ti sorride, falle il solletico… firmata Caro, e una frase trovata su una panchina alla stazione Termini: Le anime, come i corpi, hanno fame: vogliamo il pane ma anche le rose! Strofe di canzoni. Seal: I need love. Love is what I need to help me know my name. Gli occhi di Carlo rallentano su una mia poesia. E mi ritrovo ancora qui, a parlare al cielo. Ha le braccia grandi e il sorriso che sa di scintille. È vestito di tutto punto, è vestito di stelle. Fa paura questo gigante che mi accarezza la testa, che mi guarda vivere e non dice niente. E vorrei contare le sue stelle, per conoscerlo meglio, per scoprirlo amico. Ma le stelle quante sono? La risposta è stata aggiunta qualche mese fa: Tante, troppe… Carlo legge e sorride. Dopo che ha spulciato la stanza, sì mette seduto per terra e io con lui. Aspetta che gli racconti cosa è successo, perché qualcosa deve essere successo… Ma la mia storia è in ritardo e lui si stanca di aspettare. “Be’, se non hai niente da dirmi io me ne vado.” “Resta.” Ce ne stiamo così per un’ora, a tenerci la mano zitti, io a sfidare il mio silenzio e lui a cercare di capirlo. Intreccia le sue dita nelle mie.
E io mi faccio forza, gli racconto i complimenti insistenti di Malari, la fuga. Carlo fa domande su domande e io cerco di chiudere in fretta il discorso, per evitare i particolari, la perversione. “Quello mi massacra alla maturità…” “No, non ti può fare nulla, tu sei una tosta, le sai le cose. Facciamo una prova: te lo ricordi quant’era alto Pascoli?” “1 e 62!” gli sparo, perché secondo me Pascoli era un po’ basso e complessato. E non si capisce più chi è il matto di noi due: se lui che fa le domande o io che gli rispondo pure. “Lo vedi? Sai tutto. Stasera ce ne andiamo in giro, così ti distrai. Passo alle otto.” Non c’è stato niente tra noi, neanche un bacio. Però c’è quell’uguaglianza, quella completezza. Come se fossimo ai due capi di un filo. E bastasse tirare la corda per chiamare l’altro. IO/TU. Mia madre torna dopo qualche ora, ha portato Camilla dal pediatra. Va in cucina a preparare la cena. Apro la credenza e prendo la mia barretta. Lei sistema Camilla nel seggiolone e mette a scaldare la minestrina.
Sì, glielo chiedo. “Mamma, ma papà?” “Sta in Toscana, Alice. Te l’ho detto, no?” “No, non me l’hai detto.” “Be’, adesso lo sai” e continua a sciogliere il formaggino Mio nella minestra. “Com’è andato l’ultimo giorno di scuola?” “Bene.” Poi penso che, forse, è giusto raccontarle di Malarí, forse si può fare qualcosa, andarci a parlare, dirgli di starmi lontano, mettergli paura, non lo so, qualcosa si potrà pur fare. Ho bisogno di lei, di un consiglio adulto, anche solo di una carezza. E allora prendo la rincorsa con la voce. “Mamma, lo sai che…” Ma lei è più veloce e mi supera. “Immagino che avete fatto a gavettoni anche quest’anno. Quanti vestiti bagnati mi hai riportato?” Mi arrendo. “No, quest’anno non ho fatto a gavettoni.” “Ah. Meno male.”
Allegato 2
Aforismi
- Bachelors know more about women than married men do. If they didn’t, they’d be married too. Henry Louis Mencken
- Women who seek to be equal with men lack ambition. Timothy Leary
- It is the ordinary women that know something about love. The gorgeous ones are too busy being gorgeous. Katharine Hepburn
- The great question — which I have not been able to answer — is, “What does a woman want?” Sigmund Freud
- ‘Tis better to remain silent and be thought a fool, than open one’s mouth and remove all doubt. Samuel Johnson
- A classic is something that everybody wants to have read and nobody has read. Mark Twain
- If confusion is the first step to knowledge, I must be a genius. Larry Leissner
- If someone had told me I would be pope one day, I would have studied harder. Pope John Paul I
- A free society is a place where it’s safe to be unpopular. Adlai Stevenson
- A little inaccuracy sometimes saves a ton of explanation. H. H. Munro
- Those who make peaceful revolution impossible will make violent revolution inevitable. John F. Kennedy
- Anyone who lives within their means suffers from a lack of imagination. Oscar Wilde
- Always forgive your enemies, but never forget their names. John F. Kennedy
- Always tell the truth. That way, you don’t have to remember what you said. Mark Twain
- Be good and you will be lonesome. Mark Twain
- Give me chastity and continence, but not yet. Saint Augustine
- A painting in a museum probably hears more foolish remarks than anything else in the world. Edmond Jules Goncourt
- Art is making something out of nothing and selling it. Frank Zappa
- Friendships develop over food and wine. Prince Nicholas Romanoff
- Wine gives courage and makes men more apt for passion. Ovid
- A bank is a place where they lend you an umbrella in fair weather and ask for it back when it begins to rain. Robert Frost
- A man who has committed a mistake and doesn’t correct it, is committing another mistake. Confucius
- An eye for an eye would make the whole world blind. Mahatma Gandhi
Nota
Su ogni foglio c’era un aforisma e le seguenti istruzioni:
Prepare a 2-3 minute theatrical sketch from this “saying”, You have 20 minutes! Everybody has to
have a role.