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Cooperative Learning: un nuovo metodo per una nuova scuola

Obiettivo essenziale di questo mio intervento è quello di introdurre i partecipanti alla teoria sottostante il metodo di Cooperative Learning e di sensibilizzarli, sia come insegnanti sia come cittadini, al valore della cooperazione intesa in senso strettamente scientifico, come metodologia teoricamente e empiricamente fondata, capace di elevare sia il livello di competenza sociale e di responsabilità personale e morale degli allievi (ma anche degli insegnanti) sia quello cognitivo e metacognitivo, dato l’elevato potenziale di pensiero di ordine superiore sotteso alla metodologia cooperativa, dello scambio fra pari, del Peer Tutoring, del Reciprocal Thinking, dell’Open-ended Questioning: un parallelismo straordinario fra strutture socio-affettive e cognitive dell’apprendimento e della democrazia.

Risulta tuttora fortemente persistente, nel nostro sistema scolastico, una generale tendenza degli insegnanti a privilegiare nel proprio modello didattico i momenti verbali, deduttivi della lezione frontale, ‘accademica’, del lavoro scolastico fortemente centrato sull’insegnante, del ‘dire’ anzichè ‘domandare’, dal dare istruzioni e informazioni piuttosto che stimolare autonomia, responsabilizzazione, capacità di ricerca e di problem solving, attraverso i metodi della gestione della classe (classroom Management), del lavoro di gruppo cooperativo (Cooperative Learning) e della ricerca scientifica (group investigation, monitoring, processing, and feedback).

Nel panorama delle ricerche empiriche sul settore educativo mondiale di quest’ultimo trentennio è emersa l’importanza dell’acquisizione del senso di identità scolastica e del clima di classe e di scuola positivamente percepiti dagli allievi – ma anche da insegnanti e genitori – come prerequisiti emotivi e affettivi della motivazione all’apprendimento e dell’apprendimento stesso definito in senso più strettamente cognitivo.

Di qui l’importanza attribuita ad alcune attività e tecniche di rinforzo del clima, dell’identità di gruppo, della capacità di ‘pensare in positivo’, di identificarsi con gli altri compagni dell’esperienza scolastica, di acquisire una competenza sociale più collaborativa e meno competitiva.

Il lavoro di gruppo cooperativo, inteso come normale modalità di attività didattica scolastica, risulta una delle più efficaci strategie di apprendimento/insegnamento rivolte all’obiettivo di aumentare il senso di cooperazione e di solidarietà degli studenti mantenendo elevato nello stesso tempo il loro senso di responsabilità e di autostima.

L’Apprendimento Cooperativo comprende alcune specifiche strategie rivolte ad aiutare gli studenti a lavorare assieme in gruppi al fine di realizzare obiettivi sia affettivi che cognitivi. Anziche’ competere gli uni con gli altri, come nella scuola tradizionale, gli allievi in piccoli gruppi eterogenei condividono le responsabilità dell’apprendimento. Come risultato, gli studenti imparano uno dall’altro. Essi imparano ad apprezzare le loro differenze e a far leva sulle energie individuali per realizzare gli obietti del gruppo; imparano le competenze sociali cosi come le materie di insegnamento.

La ricerca indica che obiettivi di gruppo valutazioni individuali rappresentano le due condizioni essenziali del ‘cooperative learning’. Inoltre, l’apprendimento cooperativo tende a migliorare il rendimento scolastico e le positive relazioni di gruppo, tiene conto degli studenti migliori e rafforza l’autostima.

I climi di classe

 La teoria dei Climi di classe è fondata sulla teoria dell’interazione in classe, che comprende da un lato elementi e paradigmi legati agli aspetti emotivi, affettivi e relazionali del processo di apprendimento/ insegnamento, dall’altro elementi di tipo organizzativo e gestionale della classe. Questa teoria assume il suo maggior valore proprio nei primi giorni di scuola, quando il primo contatto con gli allievi assume la sua massima importanza. All’inizio della relazione scolastica, con i nuovi insegnanti, i nuovi compagni, il nuovo contesto, si verifica una sorta di ‘imprinting’ emotivo, che accompagna tutti gli allievi per l’intero corso di studi e, forse, per tutta la vita.

Nei primi giorni di scuola nasce o si rafforza il senso di identità scolastica dei nostri ragazzi, si imposta l’autostima, l’autorealizzazione, si impara il rispetto delle regole, il rispetto degli altri, si impara a collaborare, a competere, a comunicare, in un clima per quanto possibile coerente e democratico.

Dietro alla preoccupazione e all’impegno per l’efficienza delle procedure della gestione della classe vi è la consape-volezza che la scuola rappresenta un’immagine importante della società e fornisce, oggi più che mai, un’esperienza di vita e di appartenenza istituzionale e democratica dello studente .

L’importanza delle regole e della coerenza con la quale esse devono essere applicate e gestite da tutti -insegnante e allievi-  nella vita quotidiana di classe è un punto molto alto della democrazia scolastica, della formazione del cittadino alunno.

Un secondo punto da sottolineare è l’importanza delle componenti affettive dell’apprendimento, vale a dire del clima di classe, della soddisfazione dello studente, delle relazioni con i compagni e con l’insegnante stesso. A questo proposito il lavoro di gruppo, e in particolare l’apprendimento cooperativo, appare una struttura ideale per l’acquisizione dei valori di solidarietà, cooperazione, responsabilità e autostima che stanno alla base del senso di soddisfazione e di identità scolastica dei nostri studenti-figli. L’elevata correlazione fra misure affettive e cognitive di apprendimento è un costante risultato di ricerca proveniente dagli ambienti scientifici socio-pedagogici statunitensi e anglosassoni.

Infine, dato che l’uguaglianza delle opportunità educative passa attraverso l’uguaglianza delle opportunità interazionali, è importante che l’insegnante sappia gestire in modo severamente democratico tutti i momenti della vita quotidiana di classe, momenti che nell’esperienza degli allievi assumono significati profondamente simbolici. Per questo motivo il nuovo insegnante dovrà avere una più alta sensibilità per i momenti simbolici della vita di classe.

Principi, conoscenze, pregiudizi

Per cominciare, ci sembra opportuno richiamare una serie di punti teorici certi, condivisi dai vari ambienti accademici e scientifici educativi anche se non del tutti noti né tanto meno interiorizzati nel nostro contesto educativo, per chiarire alcuni equivoci, errori e pregiudizi ancora così presenti nella nostra scuola. La scarsa conoscenza di questi principi fondamentali è una costante che tende a caratterizzare tutti i livelli del nostro sistema formativo, riproducendo di generazione in generazione un sistema educativo poco efficiente e scarsamente egualitario. Non è questa la sede per analizzare i motivi – storici, politici, sociali, culturali, istituzionali – che hanno tenuto lontani per così tanto tempo gli insegnanti italiani dai punti fermi acquisiti dalla teoria dell’apprendimento/ insegnamento. Resta il fatto che l’ammontare veramente considerevole di attività di aggiornamento riversate sulle diverse generazioni di insegnanti di questi ultimi trent’anni ha prodotto più frustrazione e atteggiamenti difensivi che conoscenza, o quanto meno una propensione alla conoscenza e all’approfondimento degli strumenti concettuali e pratici del proprio lavoro. Dopo più di mezzo secolo dalla verifica scientifica di alcuni concetti di base della teoria dell’apprendimento/ insegnamento questi concetti stentano a trovare applicazione nella cultura – o subcultura – della nostra scuola. Eppure, già fin dalla prima metà del ‘900 esistono precise e scientificamente documentate applicazioni di questi elementi teorici nei diversi ambienti scolastici mondiali: l’importanza del contesto sociale nello sviluppo dell’apprendimento risale agli inizi di questo secolo; i lavori di Dewey e le esperienze sugli ‘ambienti sociali dell’apprendimento’ sono del 1916; le teorie dello sviluppo cognitivo di Piaget (il conflitto cognitivo) e di Vygotskij (la zona di sviluppo prossimale) risalgono ai primi anni ’20; agli anni ’30 appartengono gli studi sulla “teoria di campo di Lewin e le insuperate ricerche sui climi di gruppo e gli stili di insegnamento; negli anni ’50 appaiono i primi contributi di autori come Rogers (l’apprendimento centrato sulla persona), Bion (la relazione fra affettivo e cognitivo, fra emozioni e apprendimento), Bloom (la tassonomia degli obiettivi educativi); agli anni ’60, infine, risalgono i primi studi di Bruner, di Rosenthal e Jacobson (la profezia che si autoadempie) e le prime esperienze di Cooperative Learning di Johnson & Johnson nelle scuole statunitensi, sulla base delle precedenti teorie di M. Deutsch; per non parlare dei contributi dei sociologi e sociolinguisti che compaiono in quegli anni, come Bernstein (teoria dei codici linguistici), Bourdieu (l’inegalité des chances), Coleman (adolescent society and the peer norms; equality of opportunities), Mehan (il modello della discourse analysis; the competent student, la costruzione sociale dell’intelligenza), e di quelli degli etnometodologi educativi (Becker, Hargraves, Sacks e Shegloff). Pur tuttavia, nella cultura della nostra scuola, dei nostri insegnanti e dirigenti scolastici, non è stata data la necessaria enfasi e l’integrazione interdisciplinare su alcuni punti teorici qualificanti il discorso educativo, rimasti patrimonio dei gruppi accademici disciplinari specifici. Il nostro sistema formativo, insomma, sembra in qualche modo aver negato a tutti, non soltanto agli addetti ai lavori scolastici, ma anche ai cittadini, quelle sia pure parziali certezze educative che provenivano dagli ambienti scientifici e accademici internazionali.

I limiti del modello della lezione frontale

Un primo mito, non ancora sufficientemente superato nella nostra scuola (la stragrande maggioranza dei nostri insegnanti fa lezione in modo prevalente o esclusivo), è quello dell’efficacia della lezione frontale. È un mito che la ricerca educativa scientifica ha chiaramente sfatato: la lezione frontale prolungata, oltre che ad essere il più delle volte noiosa e stancante, tende a creare dipendenza e passività negli allievi. Basta osservare la postura degli allievi seduti a lezione: passivi, completamente dipendenti dal docente, dalle sue parole, predisposti a ‘prendere’, a ricevere informazioni senza alcuna prospettiva di scambio, di intervento; per non parlare dei livelli affettivi e cognitivi di apprendimento, risultati sistematicamente inferiori che in modelli meno centrati sull’insegnante e più orientati all’interdipendenza degli allievi. La lezione frontale prolungata è tipica del modello di insegnamento autoritario in cui è l’insegnante che decide tutto, dagli argomenti da trattare alle parole da dire, alla sequenza, al ritmo, al tono dell’esposizione.

Così come un clima di lavoro gerarchico e autoritario crea scarsa partecipazione, debole efficienza gestionale e notevole incompetenza dei lavoratori, l’approccio autoritario a scuola tende di per sè a bloccare l’apprendimento e le capacità creative e critiche creando un apprendimento di superficie, reattivo e passivo e una scarsa capacità di comprensione approfondita.

Nelle società contemporanee risulta sempre più importante abbandonare il pensiero autoritario, gerarchico, burocratico, negativo, per un pensiero positivo, elaborato in un contesto democratico cooperativo.

Figura n. 1.  I limiti del modello della lezione frontale.

  1. Può essere noioso, in mancanza di una forte variazione degli stimoli (uso dello humor, tono di voce, mezzi visivi) durante la presentazione.
  2. La partecipazione degli studenti è limitata a circa il 12% dell’interazione totale della classe, riducendo in tal modo le opportunità di feedback.
  3. Enfatizza le abilità cognitive di livello inferiore, vale a dire quelle di memorizzazione e richiamo piuttosto che quelle di sintesi e di valutazione.
  4. Pone in svantaggio nella classe gli studenti con scarse abilità di prendere appunti.
  5. Gli studenti sono più passivi e svolgono un ruolo meno consapevole del proprio apprendimento.
  6. A causa della mancanza di interazione, l’insegnante ha difficoltà nel determinare immediatamente quanto gli studenti apprendono.
  7. Raramente fornisce l’opportunità di tener conto del dominio di apprendimento affettivo (atteggiamenti, sentimenti, valori) o psicomotorio (riflessi, movimenti, abilità percettive, comportamenti non verbali).
  8. Essendo diretto tipicamente alla classe intera, raramente tiene conto dei bisogni individuali degli allievi.

                                  (J. Freiberg e A. Driscoll, 1992, p. 193-194).

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Inefficacia dei gruppi omogenei

Non tutti gli insegnanti – e gli studenti, e i loro genitori – sanno che i gruppi omogenei raramente funzionano e che, viceversa sono i gruppi eterogenei, ed in particolare i gruppi cooperativi eterogenei sono quelli che producono i migliori risultati di apprendimento, non solo affettivi e sociali, ma anche e soprattutto cognitivi (R. Slavin, 1996; G. Chiari, 1995, 1998).

All’inizio degli anni ’70 gli studi condotti sul sistema scolastico inglese hanno dimostrato in modo chiaro come l’applicazione generalizzata dei gruppi omogenei (streaming) nel sistema scolastico inglese già dall’inizio degli anni ’60 non aveva prodotto i risultati sperati, rivelandosi clamorosamente fallimentare (R. Hargreaves, 1972). Di questo fallimento pare non si sia parlato troppo, e si continui a non parlare a sufficienza nella nostra scuola.

Gli ability groups tendono a far scattare tutti i meccanismi viziosi della ‘profezia che si autoadempie’, condizionando fortemente le attese di tutti gli attori del processo educativo; in essi gli studenti hanno un accesso diverso ai curricoli, alle risorse e alle opportunità educative, nel senso che i gruppi di livello più basso, che avrebbero più bisogno di essere seguiti e di ricevere attenzione, vengono viceversa seguiti – quantitativamente e qualitativamente – meno degli altri . Nei gruppi di livello vengono aggregate anche le differenze etniche e sociali, data l’elevata correlazione esistente fra queste e il capitale culturale (Collins, 1979; Cazden-Mehan, 1989).

Viceversa, i gruppi eterogenei e l’apprendimento cooperativo che su di essi si fonda, producono le migliori condizioni di produzione e di scambio/conflitto cognitivo e sociale (Piaget, 1926, Vygotskij, 1978, Kuhn, 1972. Deutch, 1949, Johnson & R. Johnson, 1989, Comoglio, 1996, Chiari, 1997).

Permissivismo o democrazia

Dopo più di sessant’anni dalla publicazione dei risultati delle classiche ricerche di Kurt Lewin alla Iowa University, non è ancora del tutto chiaro il perché del fallimento delle esperienze didattiche di un’intera generazione di insegnanti italiani fondate sul modello ‘Laissez-faire’, piuttosto che su quello ‘Democrative’. La distinzione fra i due modelli teorici, pur divulgata in numerose pubblicazioni tradotte in italiano, stenta a entrare nel patrimonio culturale e formativo della nostra scuola, più pronta ad aderire alla prima versione dicotomizzata del modello: “Autoritario/ Democratico” che a quella definitiva “Autoritario/ Permissivo/ Democratico” (Carugati e Selleri, 1996; Chiari, 1998).

Il termine lewiniano “Democrative”, inclusivo di un forte accento direttivo sulle procedure, sul loro controllo e sulla verifica dei risultati, risulta piuttosto estraneo se non ostile alla cultura dei nostri insegnanti.

L’importanza cruciale delle regole

L’equazione  [Democrative = Democratic + Directive]  che sta alla base del secondo modello lewiniano rivelatosi vincente in termini di efficacia educativa (migliore apprendimento cognitivo, migliore clima affettivo, migliore socialità, autonomia, responsabilità, socialità e rispetto dell’altro e del diverso) si traduce in azione pedagogica concreta nel momento della definizione della situazione educativa, della contrattazione iniziale fra insegnante e allievi. La definizione delle regole e degli obiettivi educativi rappresenta uno dei maggiori punti da definire assieme agli allievi all’inizio dell’anno; ma altrettanto importante per la definizione del modello Democrative risulta il controllo di tali regole, esplicito e assiduo, testimonianza dell’attenzione e dell’importanza ad esso assegnata dall’insegnante e dall’istituzione che egli rappresenta.

La ricerca educativa – e in particolar modo quella relativa ai risultati dell’applicazione dei modelli di Cooperative Learning – ha dimostrato chiaramente come i modelli didattici positivi sono quelli che associano i benefici del ‘clima democratico’ del lavoro di gruppo con quelli della ‘responsabilità individuale’. In questa individual accountability sta proprio la novità di questo tipo di modelli di tipo lewiniano. Senza la valorizzazione e la responsabilizzazione dei singoli allievi e senza un adeguato sistema di verifica e di controllo della responsabilità individuale non si registra alcun miglioramento rispetto all’apprendimento individuale o al lavoro di gruppo non cooperativo (Slavin, 1989).

   In altri termini, per creare il miglior clima di apprendimento l’insegnante deve essere ad un tempo “Warm and Supportive” e “Ruling and Controlling” (Soar and Soar, 1983; Brophy and Good, 1986, Chiari, 1994).

L’importanza della coerenza nella gestione della classe

Uno degli assunti più importanti dell’insegnamento efficace, e troppo spesso disatteso per insufficiente capacità di autocontrollo e di osservazione della situazione didattica da parte dell’insegnante, è quello della coerenza (consistency) nella gestione della classe.

Chiarezza, Gradualità e Coerenza delle regole rappresentano tre fondamentali requisiti di base della gestione della classe (Brophy, 1986; Wittrock, 1986; Chiari, 1994). Gli altri tre requisiti sono: Rispetto per gli altri, Elevate aspettative e Feedback e verifica (Cooper and Good, 1982; Chiari, 1998).

[ Figura 2. ” Le dimensioni del clima di classe”]  v.lucido

La scarsa coerenza (inconsistency) nell’ applicazione delle regole stabilite con gli allievi all’inizio dell’anno crea disagio e disaffezione nella classe, comportamenti negativi e distruttivi, insoddisfazione e crisi di identità (Freiberg, 1992; Rogers and Freiberg, 1994). In effetti, la presenza di incoerenze, di doppi legami nella situazione di apprendimento, può creare seri disturbi psicologici negli allievi. Quando il modello di gestione della classe non è condiviso dall’intero consiglio di classe si verificano notevoli incoerenze didattiche che portano spesso a situazioni conflittuali e di complessità sociale. Nel suo classico “Freedom to Learn”, tradotto in italiano all’inizio degli anni ’70 ma subito scomparso dal mercato e mai più riedito (C. Rogers, Libertà di apprendere. Giunti-Barbera, Firenze, 1972).

Carl Rogers enfatizza con grande forza l’importanza della coerenza di insegnanti, genitori e terapeuti nella formulazione dei loro messaggi educativi. 

L’efficacia dei modelli di apprendimento in interazione

Le teorie cognitive dell’istruzione concordano sugli effetti positivi prodotti dal fatto stesso di lavorare assieme. L’assunto fondamentale è che l’interazione fra gli allievi su obiettivi cognitivi ne aumenta la padronanza dei concetti critici. Il gruppo di apprendimento e l’interazione con i compagni più capaci assume un’importanza fondamentale alla luce del concetto di ‘zona di sviluppo prossimo’ di Vygotsky. Il contatto con coetanei all’interno di un gruppo di collaborazione consente ai partecipanti di operare reciprocamente all’interno delle proprie zone di sviluppo prossimo, ottenendo nel gruppo comportamenti e risultati più avanzati di quelli conseguibili nelle normali attività individuali.

Analogamente, Piaget già negli anni ’20 scopre che le conoscenze di tipo sociale – linguaggio, valori, regole, moralità, sistemi di simboli (come la lettura e la matematica) – possono essere apprese soltanto in interazione con gli altri (C. Pontecorvo M. Pontecorvo, 1986; C. Pontecorvo et al., 1995; F. Carugati P. Selleri, 1996, G. Chiari, 1997).

Più recentemente, infine, le ricerche sul ‘Reciprocal thinking’ hanno trovato che anche gli studenti di College impegnati su compiti cooperativi strutturati in gruppo apprendono molto meglio di quanto non facciano gli studenti che lavoravano da soli, analogamente ai risultati delle ricerche sul ‘peer tutoring’, sul ‘mutual feedback’ e sulla ‘peer communication’ (Slavin, 1996, Chiari, 1997).

Sulla base di tutti questi studi numerosi studiosi piagetiani e vygotzkijani hanno chiesto l’introduzione di attività cooperative nelle scuole, dato che l’interazione fra gli studenti su obiettivi cognitivi induce di per sè un più elevato livello di apprendimento. Discutendo essi apprendono l’uno dall’altro attraverso il sorgere di conflitti cognitivi, la spiegazione dei propri ragionamenti, l’emergere di livelli superiori di comprensione.

L’arte di far domande e i livelli cognitivi

Un altro punto che non viene abbastanza enfatizzato nel percorso formativo dei nostri insegnanti è l’efficacia dei modelli di insegnamento che utilizzano regolarmente le domande (questioning models) e la discussione guidata con gli allievi. In particolare, la ricerca ha dimostrato nettamente la forza cognitiva e democratica delle domande aperte (“la democrazia sta proprio in queste open-ended questions, nella possibilità di accettare risposte diverse in cui l’allievo trova la certezza che ogni sua risposta potrà avere dignità di ascolto e cittadinanza nella dinamica dell’apprendimento”  (Paul Ginnis, indipendent trainer and Director della rivista Education Now, Bramcote Hills, Nottingham (GB).

La ricerca sociolinguistica sul ‘questioning’ si è focalizzata sulla contrapposizione fra ‘domande di ordine superiore’ e ‘domande di ordine inferiore’, secondo gli studi classici di Bloom, Guilford, Bruner, Mehan).

“le domande di ordine superiore sono quelle … capaci di indurre processi cognitivi superiori e pensiero divergente (opinioni, confronti, interpretazioni, sintesi); quelle di ordine inferiore risultano, viceversa meno stimolanti da un punto di vista cognitivo, muovendosi a un inferiore livello elaborativo, più circoscritte a fatti (factual questions) e a scelte ristrette (nomi, luoghi, cose, fatti): chi?, che cosa?, dove?, quando?” (G. Chiari, 1990)

La condizione perché il questioning risulti effettivamente un modello di insegnamento efficace è che l’insegnante conosca e controlli, attraverso la formulazione delle sue domande, il dominio cognitivo del set di apprendimento; in altri termini, che conosca e sappia applicare la teoria dei livelli cognitivi elaborata in modo operativo da Bloom negli anni ’50 e solo recentemente tradotta (il fatto che la traduzione sia stata fatta da un pedagogista del livello di Mauro Laeng dà ulteriore credibilità all’importanza della conoscenza della tassonomia dei livelli cognitivi (dei domini di apprendimento).

Secondo il modello di Bloom, il dominio cognitivo include categorie di pensiero che vanno dalle più semplici alle più complesse:

  1. Conoscenza: è il livello più basso, chiede agli allievi di ricordare materiali imparati in precedenza o di fare un’osservazione di fatti. Quando chiediamo agli allievi di dire “quando?”, “quanti?”, “chi?”, “dove?” (WH questions), essi usano conoscenza.
  2. Comprensione: chiede agli allievi di cogliere il significato dell’informazione, di interpretare idee e di predirre usando conoscenza. Ad essi si chiede di tradurre conoscenza nelle loro parole. Quando si chiede agli allievi “perchè?” “come” o di spiegare, o di riassumere, essi stanno usano comprensione.
  3. Applicazione: chiede agli allievi di usare conoscenza precedentemente appresa in situazioni nuove e concrete, di usare informazioni, di fare qualcosa con la conoscenza.
  4. Analisi: richiede agli allievi di scomporre qualcosa nelle sue parti costituenti. Si chiede: di organizzare, di chiarire, di concludere, di fare inferenze. Il processo di analisi aiuta gli allievi a capire “le idee forti” e le relazioni delle parti.
  5. Sintesi: richiede agli allevi di mettere gli elementi assieme. Si chiede: di creare, cioè di formare un tutto, un insieme o una combinazione che sia unica per l’allievo. La sintesi implica relazioni astratte.
  6. Valutazione: richiede agli allievi un giudizio. Gli allievi devono dare opinioni difendibili con i criteri del loro giudizio. Questo livello di funzionamento cognitivo richiede tutti gli altri livelli cognitivi – conoscenza, comprensione, applicazione, analisi e sintesi – per poter essere acquisito (Houston, Clift, Freiberg, e Warner, 1988).

I livelli delle domande appropriate (per diversi allievi, classi, gruppi, fasi di apprendimento) emergono in corrispondenza dei livelli degli obiettivi. Risulteranno di grande aiuto nel momento della programmazione delle strategie di insegnamento e apprendimento oltre che delle strategie di verifica dei risultati conseguiti.

Figura n. 3. Livelli cognitivi e azioni conseguenti degli allievi

Livelli cognitivi:
parole chiave con cui iniziare un esercizio

Conoscenza:
descrive, definisce, ripete, lista, nomina, etichetta (classifica), chiede, (information recall) osserva, memorizza, registra, richiama, compila, ascolta, identifica, accoppia, enumera, declama, seleziona, estrae
what, when, who, where.
TO REMEMBER: Esempio:  “Elenca le parti del discorso”.

Comprensione:
ripete, riespone, descrive, spiega, dice, identifica, discute, riconosce, riesamina, interpreta, passa in rassegna, esprime, alloca, accoppia,riporta, stima, distingue, parafrasa, documenta, difende, generalizza.
how, why.
TO INTERPRET: Esempio: “Spiega a quali obiettivi serve il verbo nella frase”.

Applicazione:
applica, cambia, calcola, dimostra, mostra, opera, usa, chiarisce, ordina in sequenza, ristruttura,testa, classifica, traduce, impiega, costruisce, drammatizza, illustra, trae, interpreta, predice, manipola, simula, scrive, abbozza.
how.
TO USE KNOWLEDGE IN CONCRETE SITUATIONS: Esempio: “Scrivi una frase che includa un nome, un verbo e un oggetto diretto”.

Analisi:
(dis)seziona, distingue, differenzia, classifica calcola, testa, contrasta, dibatte, risolve, guarda, esamina, passa in rassegna, rileva, valuta, stima, sperimenta, diagramma, inventaria, mette in relazione, confronta, mappa, categorizza, separa, suddivide, difende.
TO BREAK INTO CONSTITUENT PARTS: Esempio: “Suddividi questa frase nelle sue parti componenti aiutandoti con un diagramma”.

Sintesi:
compone, propone, formula, sistema, assembla, combina, riunisce, mette in relazione, integra, costruisce, gestisce, inventa, produce, ipotizza, pianifica, disegna, crea, organizza, prepara, specula.
TO PUT ELEMENTS TOGETHER: Esempio: “Combina tutte le buone frasi e i buoni paragrafi che conosci per scrivere un saggio su …”.

Valutazione:
compara, conclude, contrasta, critica, giustifica, argomenta, discute, sostiene, afferma, verifica, valuta, discrimina, sceglie, difende, riassume, raccomanda, stima, decide, seleziona, dovrebbe.
TO MAKE JUDGMENTS, COMPARISONS: Esempio: “Valuta questo paragrafo. E’ buono? Perché si o perchè no?”.

L’importanza del contesto

I nuovi sviluppi della sociologia e in particolare gli approcci micro-sociologici dell’etnometodologia dell’educazione hanno sottolineato l’importanza del contesto nella comprensione della comunicazione linguistica, dell’interazione scolastica e del processo di apprendimento/ insegnamento (A. Coulon, 1993; G. Chiari, 1998).

L’apporto dell’etnometodologia all’analisi del contesto scolastico è stato notevole, in particolare per quegli aspetti più propriamente linguistici e conversazionali sempre impliciti nel contesto didattico microsociologico (F. Orletti, 1983).

 L’analisi di un frammento di conversazione scolastica non puo’ dire nulla a nessuno se viene isolato dal contesto sociale e interazionale in cui e’ stato prodotto. Anche l’analisi conversazionale più sofisticata è destinata a rimanere priva di utilità euristica se non tiene conto del quadro sociale e istituzionale globale in cui l’interazione è avvenuta. La relazione di un evento sociale al suo contesto e’ simile alla relazione di una parola alla frase alla quale appartiene.

È nota l’equazione dell’indicalità dei sociolinguisti, che lega il significato di ogni parola al contesto in cui viene pronunciata e che la determina, e che può schematizzarsi nel modo seguente:

 [ WORD ] + [ CONTEXT ] = [ MEANING ]

Un primo elemento da considerare nel contesto della classe è quello relativo alla lezione, nella quale emergono la natura contestuale del comportamento degli allievi e il linguaggio della classe come codice implicito. Un secondo aspetto cruciale è la cultura e la struttura sociale della classe vista come un vero e proprio microsistema sociale. Un terzo aspetto di rilievo, infine, riguarda le differenze culturali presenti nella classe. Il contesto appare sempre di più come luogo di negoziazione fra apprendimento e insegnamento.

School Culture, Classroom Culture, sono termini molto frequenti nella letteratura di ricerca educativa (T. Good and R. Weinstein, 1986; E. Howard, 1987; J. Keefe and E. Howard, 1997). In effetti, la conoscenza del contesto educativo, sia dal punto di vista strutturale, sia da quello culturale è una componente fondamentale dell’insegnamento efficace. In particolare, la conoscenza della ‘cultura indigena’ degli allievi coetanei permette di cogliere in un modo assai più incisivo i loro punti di vista, la loro vita sotterranea contrapposta a quella della ‘cultura ufficiale’ e di ricostruirne il sistema di regole, di norme, di giustificazioni, di trasgressioni, di valori (F. Carugati P. Selleri, 1996, 138).

Così sono spesso elencati i quattro elementi fondamentali del processo educativo:

INSEGNANTE   DISCENTE   CONTENUTO   CONTESTO

Conclusioni: Istruzione e educazione: Apprendimento e democrazia

Concludiamo questo contributo con alcuni spunti sintetici che ci auguriamo possano rivelarsi di qualche utilità per gli insegnanti e per gli attori in genere del nostro sistema educativo in un momento di forte ripensamento, alla vigilia di una riforma di importanza storica qual è quella del riordino dei cicli scolastici che sta per avviarsi nel nostro paese.

  1. È possibile recuperare il valore e l’efficacia della lezione frontale– non esclusiva e prolungata, si intende – attraverso il suo inserimento in modelli di tipo cognitivo, come i modelli di ‘Pensiero induttivo’, di ‘Conseguimento di concetti’, di ‘Organizzatori anticipatori’, di ‘Memorizzazione’, di ‘Addestramento alla ricerca’. Far lezione a studenti che hanno già avviato un processo di ristrutturazione cognitiva per effetto dell’applicazione di modelli cognitivi appropriati è fonte di grandi soddisfazioni sia per il docente che per lo studente, un vero e proprio ‘nuovo contesto di apprendimento’.
  2. La conoscenza dei diversi livelli cognitivi e della loro successione gerarchica, definiti in modo sistematico dalla tassonomia di Bloom, sembra una precondizione essenziale per l’efficace applicazione di numerosi modelli efficaci di insegnamento. L’arte di introdurre le domande (questioning and discussing) appropriate ai vari livelli cognitivi adeguati ai diversi livelli scolastici e ai diversi percorsi individuali dei singoli allievi, è una delle abilità professionali più importanti alle quali formare senza risparmio gli insegnanti delle nuove generazioni.
  1. La necessaria enfasi formativa fra modelli deduttivi, grammaticali, astratti e modelli induttivi, sperimentali, fondati su esperienze e informazioni empiriche (experience-based learning situations) tende a produrre un livello di motivazioni all’apprendimento anche in quegli studenti – e sono ormai la magioranza – che tradizionalmente sono rimasti esclusi sia dai livelli superiori dell’istruzione sia dai livelli superiori di pensiero cognitivo.
  1. L’importanza delle equazioni dell’apprendimento efficace, identificate in vari contesti disciplinari e verificate scientificamente dalle ricerche educative del nostro secolo:

[1]   [APPRENDIMENTO  = AFFETTIVO  + COGNITIVO]

[2]   [DEMOCRATIVE       = DEMOCRATIC + DIRECTIVE]

[3]   [CLIMA POSITIVO     = WARM & SUPPORTIVE + RULING & CONTROLLING]

[4]   [SIGNIFICATO           = PAROLA + CONTESTO]

[5]   [LEZIONE EFFICACE = APERTURA

                        + MOTIVAZIONE INIZIALE

                        + LEZIONE (BREVE)

                        + DISCUSSIONE (A DOMANDE APERTE)

                        + LAVORO DI GRUPPO (COOPERATIVO)

                        + RENDICONTO INDIVIDUALE

                        + CHIUSURA]

[6]   [PROCESSO EDUCATIVO = INSEGNANTE + ALLIEVO + CONTENUTO + CONTESTO]

 Bibliografia

Carugati F. Selleri P. (1996), Psicologia sociale dell’educazione. Bologna, il Mulino.

Chiari G. (1994, 1997), Climi di classe e apprendimento. Un progetto di sperimentazione per il miglioramento del clima di classe in quattro città italiane. F. Angeli, Milano.

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