Strategie d’insegnamento in una classe difficile
Verso la consapevolezza
Classe che ha iniziato a studiare con me ad un secondo livello. Ora siamo al quarto. Frequenteranno per altri sei mesi poiché ciascuno di loro ha scelto il programma “Academic Year” che prevede otto mesi di studio (4 ore al giorno) della lingua italiana unitamente alla Storia d’Italia, Storia dell’Arte, Cinema Italiano.
Il gruppo è composto da 10 ragazze che vanno dai 17 ai 24 anni e 3 ragazzi ventenni. Nazionalità: in maggioranza svedesi e olandesi, una svizzera, una corsa, una tedesca, una belga.
Ho condiviso la classe con una collega, Francesca, nel primo mese ed un’altra, Letizia, nel secondo; entrambe non soddisfatte. Francesca evidenziava la rigidità con cui alcuni studenti accoglievano il suo invito ad attivarsi nella formulazione di ipotesi e nel confronto delle stesse quando erano alle prese con attività analitiche. Si lamentava della loro tendenza a cercare le soluzioni dall’insegnante senza fare quel percorso che li avrebbe portati a conquistare certe conoscenze linguistiche. Letizia esprimeva la medesima critica sottolineando quanta fatica comportasse lavorare in quella classe e quanta poca soddisfazione ne traesse.
Condividevo le loro opinioni pur non sentendomi troppo frustrata: stavo spendendo molte energie, sì, però avevo fiducia che prima o poi saremmo arrivati a lavorare meglio tutti. Entravo in classe sorridente, piena di energie e fiduciosa che le mie scelte didattiche avrebbero suscitato interesse, voglia di lavorare e di divertirsi al tempo stesso. Ero interessata ai loro stati d’animo, alle loro stanchezze, ai loro desideri e lo manifestavo. C’erano, inoltre, periodici colloqui individuali tra me e gli studenti di questa classe. Aprivo il colloquio chiedendo “Come va con l’italiano?” e mi ponevo in ascolto; concludevo chiedendo “C’è qualcosa che vorresti e che ti manca nelle nostre lezioni?” E anche “Quali sono le attività che preferisci o che ti sembrano più utili?” Escludendone due o tre la maggior parte dei colloqui era deludente. Andava tutto bene, non gli mancava niente, non avevano preferenze né particolari avversioni.
Infatti, nonostante i miei sforzi mirati a interessarli e soprattutto coinvolgerli, con il passare del tempo la mia fiducia scemava. C’erano sempre i soliti due apatici: nulla li scuoteva, niente li catturava. C’era sempre la ragazza che ora aveva stampata in faccia un’espressione glaciale quasi di sfida che sembrava dicesse “Non mi conquisterai mai”, ora aveva la faccia così infastidita che un giorno, non potendone più, mi sono rivolta a lei con “Tu hai sempre la faccia scocciata. Non si lavora bene così. Mi dici per favore se c’è qualcosa che non va?”. Si è affrettata a dirmi che non dipendeva da me, arrossendo, e alla fine della lezione mi ha spiegato che era perché non lavorava volentieri con un’altra studentessa del gruppo. In realtà quest’ultima era simpatica a poche, ma non ho scoperto ragioni valide se si esclude il fatto che era ‘diversa’ dagli altri in quanto amava stare da sola e scriveva racconti (anche in italiano!). Poi c’erano i due che sbuffavano immancabilmente ad ogni proposta di lavoro. Poi c’erano i ritardatari cronici che venivano guardati con occhi assassini dalla studentessa svizzera. Poi c’erano i telefonini. Insomma.
Un giorno ho dovuto sostituire una collega malata e ho insegnato quattro ore in una classe di secondo livello che mi ha fatto riscoprire, dopo quasi quattro mesi, il piacere dell’insegnamento. Erano studenti sorridenti, motivati, si coinvolgevano, si divertivano, lavoravano molto in profondità. Ogni attività proposta era un successo. Ho avuto la sensazione netta che l’energia che immettevo all’inizio delle varie attività lievitasse e diventasse una grande energia positiva.
Abituata alla mia classe, dove ogni attività moriva piuttosto velocemente se non incitavo, se non esortavo a partecipare più attivamente, se non utilizzavo “carotine” e “zuccherini” e ciononostante , sfiancata, mi decidevo a passare ad altro, nella speranza di un coinvolgimento che non arrivava mai, qui tutti vivevano le attività, che duravano molto perché ognuno aveva molto da prendere da ciò che faceva e sembrava esserne consapevole.
Mi sono chiesta come avrei potuto rendere consapevoli gli studenti della mia classe. Consapevoli che la loro scelta di studiare italiano per un periodo così lungo non avrebbe dato grandi risultati se non si fossero aperti alle esperienze loro proposte e se non si fossero messi in gioco.
Certo non erano mancate fino a quel momento le spiegazioni sulle finalità di ciascuna attività e le motivazioni per affrontarle nel giusto modo, ma non avevano dato frutto.
Ma loro non erano venuti qui per crescere ? A che scopo un ragazzo decide di andare all’estero per otto mesi, studiare una lingua e una cultura diversa se non per fare esperienze che gli permettono di conoscere, capire di più e quindi crescere? E perché allora erano lì, apatici, inerti, glaciali, scocciati, con gli occhi assassini, superficiali, sbuffanti, distanti e con i telefonini?
Ho deciso di fare il seguente tentativo.
Una P.L.O. (Produzione libera orale) con obiettivo consapevolezza.
Ho formato coppie di studenti. Ho scritto alla lavagna: Che cosa è necessario ad un bambino da 0 a 3 anni per crescere? Ho chiarito “Non parlo della crescita fisica.” Ho detto “Avete venti minuti di tempo per discutere e alla fine ciascuna coppia deve avere una lista di 5 punti, 5 cose necessarie alla crescita di un bambino da 0 a 3 anni. Cominciate.”
Allo scadere del tempo ho chiesto alle coppie di darmi i loro 5 punti che riportavo alla lavagna tralasciando quelli che erano già stati scritti e alla fine avevamo questa lista:
- sicurezza
- amore
- giocare
- correzioni
- punizioni
- giocare con altri bambini
- non essere aggressivi con lui e intorno a lui
- leggere, ascoltare, raccontare, parlare,
- quando si comunica con lui bisogna mettersi alla stessa altezza
- ascoltare musica, muoversi, ballare, camminare
- contatto con la natura
Poi ho chiesto loro (stesse coppie) di discutere su: Che cosa è necessario ad un adulto per crescere? Ho ripetuto che avevano venti minuti e che alla fine avrebbero dovuto avere ancora una lista di 5 punti, 5 cose necessarie ad un adulto, per crescere.
Alla fine i punti riportati alla lavagna erano i seguenti:
- predisposizione a crescere
- leggere
- confrontarsi con gli altri
- educazione, studio permanenti, analizzare, pensare
- viaggiare, incontrare nuove culture, capirle
- responsabilità
- amore, amicizia, sentimento
- avere tempo per sé,
- musica
- sfidarsi
- correzioni
Alla domanda posta all’intera classe “Quali di questi punti sono necessari in un contesto di apprendimento, cioè dove sono presenti un insegnante e uno o più studenti?” sono stati evidenziati i punti che ho trascritto in corsivo.
Ho concluso dicendo: “ In un contesto di apprendimento sia l’insegnante sia lo studente sono responsabili. Cerchiamo di lavorare insieme affinché nessuno di questi punti che abbiamo dato come necessari manchi nel nostro contesto di apprendimento”.
Sono passata all’attività successiva.
Alcune cose sono migliorate in quella classe dopo quella riflessione.
Successivamente ho lasciato il gruppo ai colleghi che si avvicendavano con l’Arte, la Storia, il Cinema, l’Italiano Commerciale ecc. Ciascun collega confessava una certa frustrazione fino a che dai colloqui fra noi insegnanti non è emersa una nostra consapevolezza: non era il singolo studente, era il gruppo che creava problemi, poiché in realtà era inesistente come insieme di persone che ben convivevano: dopo 6 mesi di studio non si erano affatto amalgamati (nonostante tentativi anche extrascolastici come per esempio una serata a casa mia, tutti insieme al ristorante, ecc.) e l’alchimia che risultava da tutto ciò aveva anche l’effetto di neutralizzare molti dei nostri sforzi.
Perché allora non dividerli e inserirli in varie classi? Il programma speciale per loro si avviava alla conclusione, la loro non perfetta omogeneità di livello linguistico avrebbe consentito di indirizzarli in varie classi esistenti senza crearne differenti dello stesso livello. è stato possibile dividerli.
Era la soluzione.
Poco dopo tre di questi ragazzi sono confluiti nella mia classe di ottavo e poi nono livello, una dei tre era la glaciale/scocciata: non ci sono stati problemi di nessun genere, abbiamo lavorato insieme, hanno lavorato insieme agli altri, avevo il piacere del mio lavoro, mi hanno manifestato il loro.