Monologo letterario, bardo e cantastorie
Subito prima della 236ima ora
Penso che la letteratura non sia più un ostacolo troppo grande da sormontare per gli studenti del terzo livello, e così mi organizzo un’attività che mi gira in testa da un po’ e che finalmente posso provare a proporre.
Proprio lavorando con i primi livelli ho tentato di individuare quali problemi poteva incontrare uno studente con una conoscenza medio-bassa di una lingua straniera nell’approcciare della letteratura in quella stessa lingua.
Tutto questo dalla 197ima alla 223ima ora per essere preciso.
Quello che ne è uscito è il seguente conto della serva.
Così passo il tempo tra la 224ima e la 235ima (detto così sembrano le strade di New York) – ora, si intende – a scremare una lista di titoli di narrativa italiana dal dopoguerra ai giorni nostri.
La scelta cade su “Le Città Invisibili ” di Italo Calvino. Testi corti, alcuni dei quali di facile accesso grammaticale, alta ricercatezza lessicale e grande suggestione contestuale.
Sul gusto personale non so che dirvi; a volte non sono convinto nemmeno di quello che piace a me.
E così spunto tutte le voci a sinistra del “conto”.
Subito dopo l’inizio della 236ima ora.
Di ogni racconto ho fatto due copie; in classe ci sono dieci studenti per cui me la cavo con solo cinque città.
Ogni studente fa una lettura autentica del brano seguita da un confronto con l’altro studente che ha lo stesso brano. Poi una seconda lettura e un secondo confronto.
Cerco di dissimulare la mia contentezza nel vedere che hanno capito il senso e sono riusciti anche a dare qualche giudizio di gusto come:
“Come è strana questa storia!”.
“Bella”.
“Non è difficile capire questo; è difficile immaginare questo”.
A questo punto faccio finta di essere magnanimo (in realtà era già tutto nel mio palinsesto) e dico: “Usate il vocabolario fino a quando non siete soddisfatti”, forte del fatto che i testi scelti sono in media di trenta righe e che quindi le parole da cercare non dovrebbero essere tante.
Dopo circa venti minuti arriva il momento; tiro un bel respiro e mi rivolgo alle coppie con lo stesso testo: “Adesso non raccontate al vostro compagno ciò che avete capito ma tutta la storia senza il testo davanti. L’altro vi aiuterà con il testo se ne avrete bisogno. E poi viceversa”. Mi aspetto una sommossa popolare e invece si sistemano meglio le sedie e cominciano a parlare. Io mi defilo sullo stipite della porta.
Subito all’inizio della 237ima ora
Finita l’ultima fase di perfezionamento della ricezione, distribuisco tre fogli ad ognuno e matite colorate, terminata l’operazione annuncio che su quei tre fogli devono disegnare i tre punti, per loro fondamentali, del racconto. Vedo facce scettiche e altre un po’ impaurite, ma lo fanno.
Finito il tutto creo due gruppi composti da cinque persone con racconti differenti, porto un gruppo in un’aula, si forma un cerchio di sedie, socchiudo le imposte e mando una musica rilassante: “Rilassatevi e pensate all’atmosfera del brano che avete letto”.
Stessa cosa con l’altro gruppo.
Passati alcuni minuti indico le due persone che devono iniziare a raccontare; li aiuto ad appendere i tre disegni e spiego che devono raccontare la storia che hanno letto come se la ricordano e aiutandosi con i disegni e cercando di trasmettere l’atmosfera del racconto agli altri. E dopo di loro tutti gli altri. Chi narra in piedi, gli altri seduti.
Subito dopo la fine della 237ima ora
C’è un elemento importante in questa attività che vorrei evidenziare e su cui vale la pena riflettere; è un filo logico che passa per la collaborazione di due studenti nella comprensione del testo e non solo un semplice confronto, ma uno scambio di suggestioni e intuizioni.
La frase “usate il vocabolario finché non siete soddisfatti” è detta per non creare quel senso di ansia che verrebbe naturale con una dichiarazione come “usate il vocabolario per capire tutto” o “avete dieci minuti per usare il vocabolario”.
Qui l’intento è quello di creare uno spazio per la ricezione che possa variare da studente a studente, e che ogni singolo utilizza rispetto alla propria soddisfazione nella comprensione del testo e alla voglia di “andare in profondità”.
Tutto questo evitare di sapere quante nozioni della storia si sanno, crea un senso di sicurezza su tutto quello che, invece, ci si ricorda ed elimina la paura di dimenticare qualcosa che ci è sfuggito e che magari il compagno ricorda benissimo.
Questo è stato molto chiaro quando ho diviso la classe in due gruppi. Il vedere che non c’era nessun altro che poteva giudicare la propria versione della storia ha tranquillizzato ulteriormente tutti.
Il filo logico che ho menzionato all’inizio è il livello di guardia che lo stress dello studente non deve superare in nessuna delle fasi dell’attività.
Vi propongo un altro schema in cui sono evidenziate, sequenzialmente, le fasi in cui uno studente potrebbe alzare il proprio livello di stress nell’approccio al testo letterario, e come ho pensato di evitare questo rischio in questa attività.
Premesso: non tratto gli studenti come dei mentecatti, ma tento di evitargli grane inutili, visto che, lo ricordo, hanno poche ore di italiano alle spalle.
- Non aggredire lo studente con testi lunghi: se sin dall’inizio si intuisce che quello scritto sotto ai propri occhi sarà causa di fatica per le prossime quattro ore, diventerebbe antipatico a chiunque immediatamente;
- Creare una forte spinta alla collaborazione tra le persone con lo stesso testo, non solo per la comprensione ma anche per lo scambio di sensazioni e di giudizio sul testo; più escono fuori le idee adesso, meno paura di stare zitti ci sarà in fase espositiva se ci sono molte cose da dire;
- Le frasi dell’insegnante e il tono hanno sempre un effetto potente, quindi bisognerebbe evitare riferimenti a “quanto si deve sapere del testo”; che ognuno si regoli come vuole;
- La frase citata nella prima parte dovrebbe servire proprio a questo;
- Quando inizia il momento espositivo, il non poter essere giudicati sul piano linguistico o sul piano nozionistico, perché nessuno conosce quella storia, è certamente un elemento tranquillizzante;
- I disegni sono un aiuto, ma anche una chiave stilistica. Un’interpretazione dello studente, frutto di una sua analisi.
La scelta di questa modalità è stata fatta nel ricordo di quando chi vi scrive sosteneva gli esami orali all’università. Il problema non erano le nozioni, ma la fonte dello stress era sapere che dovevo esporle come il professore voleva, con parole scelte da lui e mai con un linguaggio personale. Questa forzatura di ingresso dei miei discorsi tondi negli altrui discorsi quadrati mi creava dei disagi che, ad anni di distanza, mi sono trovato ad affrontare anche in colloqui per assunzioni e in tutti quei contesti linguistici fortemente asimmetrici e squilibrati (dove io stavo costantemente sotto. Neanche a dirlo).
Ma come creare un modo per aiutare lo studente a evidenziare quelle che secondo lui sono le fasi più importanti del racconto?
Rispolvero tutte le mie memorie di drammaturgia ed ecco che pesco in un angolo remoto del mio cervello e della mia libreria, un libretto di Peter Szondi: Teoria del dramma moderno. In questo libro si parla dei punti nodali. I punti nodali di un testo letterario, non importa se in forma drammatica o no, sono quelle zone della storia in cui c’è un’alta concentrazione di elementi importanti per lo svolgimento della trama. Chiaramente un lettore può individuare dei punti nodali in un passaggio dove un altro non rileva niente di importante, tutto questo crea una forte soggettività di interpretazione.
Ci penso un po’ e poi mi convinco che aldilà della lingua, il punto nodale di una storia, per un lettore X rimarrebbe tale anche se leggesse lo stesso testo letterario in otto lingue diverse. Così l’unione del disegno e del monologo letterario semplice mi ha portato ad un’attività in cui lo studente diventa bardo e cantastorie.
È stato molto interessante constatare che i miei punti nodali non hanno mai coinciso pienamente con quelli degli studenti, affascinandomi ancor di più all’idea dell’interpretazione soggettiva.
Nella lista delle ipotesi di testi letterari adatti a questa attività c’erano anche:
Benni, S., Il bar sotto il mare, Milano, Feltrinelli.
Calvino, I., Il castello dei destini incrociati, Torino, Einaudi.
Rodari, G., Favole al telefono Torino, Einaudi.
da Varagine, I., La leggenda aura.
Bibliografia
Calvino, I., 1971 Le città invisibili, Torino, Einaudi.
De Caprio, V., Giovanardi, S., 1994 I testi della letteratura Italiana – il novecento, Torino, Einaudi.
Orletti, F., 1996 Tra comunicazione e discorso, Roma, N.I.S.
Szondi, P., 1962, Teoria del dramma moderno. 1880-1958, Torino, Einaudi.