Visione analitica cinesica: una proposta
L’idea di lavorare nell’ambito della cinesica[1] mi è stata suggerita da un collega durante una conversazione. La proposta mi è sembrata subito interessante: quante volte mi ero sentita dire dagli studenti che gli italiani parlano con le mani e che gesticolano vistosamente. Alcuni sono affascinati da questa “abilità”, altri infastiditi; tutti, che lo vogliano o no, devono imparare a conviverci se intendono trascorrere qui un po’ di tempo. Al di là dell’aspetto folcloristico, è innegabile che i gesti facilitino la comunicazione, ovviamente a patto che si impari a decodificarli e a capirne il valore semantico.
Proprio nel periodo precedente il seminario lavoravo in una classe di terzo livello di un corso non intensivo, il che significa che le lezioni si svolgevano due volte a settimana per due ore e mezzo, in quel caso specifico , di mattina. Fra gli altri studenti, di nazionalità abbastanza eterogenea, c’erano due studentesse giapponesi. Le due ragazze erano arrivate in Italia più o meno nello stesso periodo e vi sarebbero rimaste, seppur per motivi diversi, per parecchio tempo. Una viveva qui con il marito (giapponese) e i due figli (giapponesi); l’altra da sola, ma aveva fatto amicizia con un ragazzo italiano con il quale si incontrava regolarmente.
Nell’ottica del seminario cominciai a focalizzare l’attenzione sul modo in cui si muovevano. È abbastanza noto che nella cultura giapponese la gestualità è ridotta al minimo e a conferma di ciò la cinesica delle due durante le lezioni si limitava a lievi movimenti del capo o poco più. A mano a mano che il tempo passava, però, e che la ragazza intensificava le sue frequentazioni con “il tipico ragazzo italiano” (come lei lo chiamava), il suo corpo cominciava a sciogliersi, i movimenti delle braccia diventavano sempre più ampi, il viso, abbandonata l’impenetrabilità di qualche mese prima, esprimeva gioia, fastidio, incredulità, stupore.
Ormai tra le due c’era un abisso: o meglio, il loro livello di interlingua era ancora più o meno uguale; usavano all’incirca le stesse strutture sintattiche; attingevano ad una riserva di parole simile sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo; ma quando si esprimevano la maggior efficacia comunicativa della ragazza rispetto a quella della signora era evidente: accompagnava le sue parole con gesti appropriati che evidentemente aveva appreso dal fidanzato italiano.
Sono un’insegnante di lingua; la lingua serve per comunicare; il mio compito è quello di fornire agli studenti tutti gli strumenti che possono aiutarli a comunicare efficacemente e con facilità. La cinesica, insieme alla sintassi e alla fonologia, è uno di questi.
Le premesse teoriche per il mio laboratorio c’erano tutte. Bisognava passare alla pratica, organizzare l’attività, darle un nome. Io e la collega con la quale ho lavorato per la preparazione del laboratorio, decidemmo di usare il video allo stesso modo in cui di solito usiamo testi scritti e orali (cassette), rendendoli cioè oggetto di analisi; solo che, in questo caso, l’analisi avrebbe interessato alcuni aspetti non-verbali: i gesti, appunto.
Il primo passo consisteva nella scelta del video. L’unica cosa della quale eravamo assolutamente sicure, a riguardo, era che il pezzo avrebbe dovuto essere il più spontaneo possibile. Forse vale la pena di insistere un po’ su questo concetto: la maggior parte delle persone quando pensa ad un video da usare per un’analisi cinesica pensa immediatamente ad un film e mi risulta che quasi tutti i lavori sulla gestualità si basano sull’analisi di immagini cinematografiche. In realtà la gestualità degli attori è tutt’altro che spontanea: i movimenti sono pensati, studiati, provati e riprovati; se l’attore è bravo sembrano spontanei ma di fatto sono soltanto la riproduzione dei movimenti che noi faremmo in una corrispondente situazione reale. Sfido chiunque a definire spontanei i movimenti di Totò, ad esempio, o le espressioni del viso di Verdone: sono delle caricature, delle parodie di gesti reali ed in quanto tali non possono essere considerati esemplificativi della gestualità di un parlante italiano. Se l’autenticità deve essere una caratteristica irrinunciabile del materiale da noi usato, allora un film non ci sembra un buon punto di partenza da cui sviluppare un’analisi cinesica.
Un altro elemento fondamentale era costituito dal fatto che il video doveva contenere delle interazioni tra parlanti nativi. Partendo dal presupposto che il video “ideale” probabilmente non esiste, abbiamo scartato tutti i pezzi in cui le conversazioni seguivano, troppo evidentemente, un canovaccio. Alla fine la scelta è caduta su un brano, della durata di circa 4 minuti, tratto da una vecchia puntata del “Maurizio Costanzo Show” in cui gli ospiti erano invitati a discutere sul problema dell’immigrazione nel nostro paese. Il tema, le opinioni tutt’altro che concordi e alcune affermazioni provocatorie di uno degli intervenuti, avevano contribuito ad accalorare gli animi favorendo l’immediatezza degli interventi. Nonostante l’attenzione da noi posta nella scelta, il video presentava comunque dei limiti dei quali, peraltro, eravamo perfettamente coscienti: per prima cosa, il fatto che gli interlocutori fossero seduti limitava evidentemente la loro libertà di movimento; inoltre, la presenza di un moderatore con il potere di dare e togliere la parola, smorzava un po’ la spontaneità del dibattito.
Il laboratorio
Il laboratorio si è svolto in questo modo: i partecipanti hanno visto il video per intero una volta, dopodiché hanno ricevuto un foglio lavoro con la descrizione della funzione di otto gesti da noi scelti; poi ho spiegato che avrebbero rivisto il video di nuovo ma che questa volta appena fosse apparso sullo schermo uno dei gesti in questione sarei tornata indietro con il telecomando in modo che avessero la possibilità di rivederlo per tre volte consecutive e che contemporaneamente avrei numerato progressivamente ad alta voce ogni gesto.
Il loro compito era quello di scrivere il numero del gesto accanto alla definizione corrispondente. Appena hanno finito ho chiesto loro di confrontare con il vicino i risultati: ne è scaturita una consultazione vivace al termine della quale alcuni mi hanno domandato di poter rivedere il pezzo; ho spiegato che per motivi di tempo non sarebbe stato possibile e che quindi l’attività poteva considerarsi conclusa informandoli del fatto che quando avevo provato l’attività in classe (un terzo livello di un corso non intensivo) le cose si erano svolte in maniera diversa. Per prima cosa la visione analitica era stata preceduta da una visione rilassata, il che significa che gli studenti avevano visto il video quattro volte e avevano avuto la possibilità di parlarne a coppie, consultandosi dopo ogni visione ed effettuando un cambio di coppie dopo la terza visione. Inoltre al momento della distribuzione del foglio lavoro avevo dato tre minuti di tempo per leggerlo e gli avevo detto che sarei stata a disposizione per risolvere eventuali problemi di vocabolario. Solo dopo essermi accertata che tutti avessero capito le definizioni avevo iniziato l’attività; al termine della prima consultazione, esattamente come era accaduto durante il laboratorio, gli studenti mi avevano chiesto di rivedere il video: c’era stata quindi un’ulteriore visione, seguita da un’altra consultazione a coppie e alla fine avevamo discusso tutti insieme ogni singolo gesto rivededendolo all’occorrenza.
Ritornando al laboratorio, l’interruzione, forse un po’ brusca, dell’attività da parte mia, aveva lo scopo di dedicare gli ultimi 15 minuti alla discussione che si è svolta prima in gruppi di 3 o 4 persone, poi, gli ultimi 5 minuti, in plenum. L’input che ho dato prima ancora di disporre i partecipanti in gruppi era abbastanza ricco: gli ho chiesto cosa pensavano dell’attività; se avevano mai proposto un’attività del genere in classe; se avevano intenzione di proporla in futuro e, se sì, con quale modalità. Sono emerse impressioni, idee e soprattutto proposte sulla modalità di realizzazione dell’attività stessa. Come abbiamo esplicitamente ammesso, infatti, la nostra era stata una proposta “sperimentale” che, in quanto tale, si prestava ad aggiustamenti, modifiche e miglioramenti. Durante la preparazione, ad esempio, per me e per la mia collega era stato particolarmente difficile trovare un modo efficace per isolare ed evidenziare i gesti che ci interessavano per il nostro lavoro; in un primo momento avevamo pensato di distribuire agli studenti le foto dei gesti che erano state realizzate direttamente dal video con una Polaroid, ma che erano state poi scartate per due motivi: 1) la staticità della foto privava il gesto della sua naturale espressività; 2) la qualità delle immagini non ci sembrava soddisfacente; questa modalità, seppur opinabile, non andrebbe eliminata in modo troppo sbrigativo: al primo inconveniente, infatti, si potrebbe ovviare con una sequenza di immagini che restituisca al gesto parte della sua dinamicità, al secondo con una macchina fotografica un po’ più sofisticata che permetta di regolare la luce e i contrasti.
Un’altra idea, anche questa scartata, era stata quella di isolare i gesti con la funzione moviola del videoregistratore in modo che gli studenti avessero il tempo di individuarli e di associarli alla definizione corrispondente. In questa maniera, però, i gesti risultavano eccessivamente rallentati, al punto di “smaterializzarsi” e di perdere incisività.
Per concludere
Mi auguro che il mio articolo possa incoraggiare altri insegnanti a provare in classe questo tipo di attività e a farli riflettere sull’importanza di raggiungere una competenza attiva nella cinesica
[1] La cinesica è lo studio delle comunicazioni mimiche che sottolineano o determinano un fatto linguistico.