Il professor Rossi
Finalmente per il professor Rossi è giunto il momento che aspettava da molti mesi. La sua classe è pronta per il grande salto di qualità, così appena giunto in classe, senza nemmeno mettersi seduto alla sua cattedra, pronuncia le fatidiche parole: “Ragazzi, oggi facciamo Letteratura! Siete pronti perché io vi parli di Samuel Beckett”. Il Rossi sale in cattedra e senza preamboli comincia a volare alto in compagnia del suo più amato Autore. Abbandona i suoi ragazzi e si stacca fisicamente da terra. I più curiosi e intraprendenti tentano di seguirlo, ma sono troppo pesanti, e ricadono inesorabilmente a terra insieme agli altri. Quattordici volti, ventotto occhi contemplano da lontano quello che non possono toccare. Che distanza tra loro e quelle pagine sbiadite! Vorrebbero presentarsi: “io sono Gino…” ma non sono stati invitati e non sanno volare; saprebbero fargli tante domande ma appena provano ad alzare la mano per prendere la parola un gesto essenziale del professore dice: “Dopo, non ora!”.
Nel giro di pochi minuti la classe è invasa da una grande bolla d’aria fatta degli sbadigli che produce la noia; passa ancora un po’ di tempo e i volti e gli occhi rivolti verso l’alto e la bolla d’aria lasciano il posto alla completa frustrazione di quelli che si sono trasformati in asino. Il Rossi non si accorge di nulla: alcuni suoi studenti se ne vanno ragliando dalla classe, mentre i pochi che rimangono si danno alle letture proibite sotto i banchi. In classe si attardano solo i ragazzi che non hanno bisogno di andare a scuola e che stanno imparando da soli ad incontrarsi furtivamente e privatamente con i propri autori preferiti. Il risultato è disastroso per alcuni, ininfluente per altri, e un successone per il professor Rossi, che vola beato e solitario nell’aura del suo amore letterario.
Quando finalmente decide di tornare sulla terra però lo spettacolo non è dei più piacevoli. Quasi tutti i ragazzi hanno orecchie d’asino, qualcun altro è andato via e i pochi altri galleggiano sopra il banco in una bolla di sbadigli.
Il Rossi torna a casa pensando “che brutta classe che ho: tutti asini!”, ma quando si infila sotto la doccia l’acqua comincia a massaggiargli così bene la testa che anche i pensieri si risvegliano e riguardano con un nuovo spirito alla lezione della mattina. Il professor Rossi non sa bene che fare, ma un’intuizione ce l’ha: telefona ai suoi amici teatranti Carlo e Simone.
– “Rossi… come te la passi?”
– “Che vuoi, la solita vita di professore”
– “Che ti succede Rossi, non ti ho mai sentito così…”
– “È che… stamattina ho fatto Beckett… un disastro. Capite ragazzi… il mio amato Beckett…”
Carlo e Simone decidono di aiutare il loro amico professore, e senza dirgli niente il giorno dopo si presentano a scuola. Aspettano che Rossi entri nell’aula, poi, dopo solo un minuto, Simone bussa alla porta. La voce di Rossì è già nervosa, tuona: “Avanti!”.
Lentamente Simone apre la porta. È un omino macilento, senza scarpe, con un vecchio vestito e una strana bombetta sulla testa. Entra nell’aula dei ragazzi sorpresi e silenziosi e chiede: “Avete visto Vladimiro?”. Nessuno si muove di un millimetro e non vola una mosca così deve ripetere: “Qualcuno di voi ha visto Vladimiro?”. Gino, un ragazzo piccolo che gli sta proprio di fronte, accanto alla porta, sibila con un filo di voce: “no”. L’uomo con la bombetta ringrazia e fa per uscire ma quando apre la porta si scontra rumorosamente con un altro omino buffo cosicché i due cadono a terra proprio dentro la classe, e tutti i ragazzi scoppiano in una fragorosa risata. Rossi si affretta a fermarli con la sua voce perentoria: “Ragazzi!”, ma l’omino appena arrivato, alzandosi, lo blocca: “Ma no, li lasci fare, noi non ci offendiamo se qualcuno ride di noi, anzi ne siamo lusingati. Mi presento, sono Vladimiro, e questo è il mio amico Estragone. Stiamo cercando un certo Godot”.
Rossi non è sorpreso e non riesce a trattenere un sorriso quando riconosce i suoi due amici nei panni dei personaggi di Beckett, ma si ricompone subito: “Ragazzi, lasciamo stare; grazie per l’improvvisata, ma qui siamo in una scuola, non per strada o in teatro. È stato carino ma adesso devo spiegare”.
Vladimiro/Carlo lo guarda un po’ attonito poi chiede: “Lei è Godot?”. La classe ride, il professore non sa che dire ma Matteo, un ragazzino sveglio e devastante, sì: “No, si chiama Rossi!”. Estragone/Simone chiede ad un altro ragazzo: “Ha detto Godot?” Vladimiro gli da una pacca facendogli volare la bombetta: “No ha detto rozzi”, e Rosa prende la parola: “no rozzi, Rossi, professor Rossi”. Estragone riprende la bombetta e con un gesto della mano blocca ogni discussione. Si guarda intorno, poi dice: “Insomma, nessuno qui dentro si chiama Godot?” e tutta la classe in coro: “nooooo!”
“Allora Gogò, dobbiamo andare”. “E sì – aggiunge Estragone – perché dovete sapere che noi stiamo aspettando l’arrivo di Godot”. “E chi è Godot?” chiede Matteo 2. “Godot… – cerca di spiegare Estragone – è Godot. Non è vero Didì?”.
“Comunque se qui non c’è nessun Godot noi dobbiamo andare, forza Gogò, andiamo ad aspettare Godot da un’altra parte.” I due buffi signori escono risolutamente dalla classe ma proprio prima di chiudere la porta a Carlo/Vladimiro cade un libro, che rimane davanti alla porta. I due escono ma Gino subito si alza a raccogliere il libro: “Signori… vi è caduto questo…”, apre la porta, si guarda intorno ma non c’è già più nessuno. Gino guarda il libro. È sporco e quasi non si legge la copertina. Lo pulisce con la manica della camicetta e finalmente può leggere: Samuel Beckett – Aspettando Godot. Nel giro di un minuto tutti i bambini e Rossi sono intorno a Gino a guardare quel libro così misterioso. Dopo un’ora sono ancora tutti lì, seduti a terra intorno ai cinque che si sono offerti per leggere il testo. Rosa legge le didascalie. Rossi conosce tutto il dramma a memoria, ma ascolta in silenzio, tra gli altri studenti, la lettura del suo libro preferito.