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Quando gli studenti parlano in lingua madre o in lingua franca in classe

Che cosa fanno? Perché lo fanno?

Prendiamo una classe di principianti stranieri che studiano l’italiano. L’insegnante si accorge subito che, ogni volta che interagiscono tra loro nelle attività di classe, dove cioè è prevista la socializzazione tra pari, gli studenti passano con una certa naturalezza dalla lingua bersaglio o L2 alla lingua madre o L1 e, in mancanza di una lingua madre comune, ad una lingua franca che per comodità chiamerò LF.

Che fare a questo punto? Quale, cioè, deve essere l’atteggiamento del docente? Abbandonarsi al massimo permissivismo o imporre il massimo rigore? In altre parole, deve lasciare che le cose vadano a posto da sole aspettando che l’uso di L1 o di LF si diluisca e scompaia col tempo, oppure deve imporre esclusivamente la L2 sin dall’inizio, controllandone l’uso perfino durante la pausa?

Confrontandomi con alcuni colleghi della mia scuola, ma anche di altre scuole e soprattutto con i gentili colleghi ospiti del seminario di quest’anno si è evidenziata solo una cosa: esiste sull’argomento in questione un ampio ventaglio di posizioni, che tra i due atteggiamenti estremi, cioè permissività e rigore, contempla tante, ma proprio tante possibilità intermedie, tutte rispettabili, per carità, anche se talvolta non tutte sufficientemente argomentate. Peraltro questa ricca varietà di approcci al fenomeno non si pone, né voglio che si ponga, in termini di modernità didattica o del suo contrario. Per me, l’unico postulato dovrebbe essere: che cosa è meglio per gli studenti?

Infatti, consultandomi informalmente con i colleghi di cui parlavo poc’anzi, ho sovente posto a loro questa domanda, con ciò sperando che il grande ventaglio di posizioni a proposito dell’uso di L1 invece di L2, ovvero di LF invece di L2, potesse polarizzarsi al massimo in due o tre idee guida. Invece il ventaglio ampio era ed ampio è rimasto. C’è peraltro da aggiungere che anche la letteratura ufficiale nel campo della glottodidattica ha, non dico snobbato, ma un po’ trascurato questo argomento. Anche per quanto riguarda i seminari internazionali della Dilit International House soltanto all’8°, dell’anno scorso, nel laboratorio svolto da Marina Ota, esso ha fatto capolino per la prima volta. Lo scarso interesse ufficiale per il fenomeno può forse essere una delle cause di questa fantasmagorica fioritura dei tanti modi di affrontare il problema del “code-switching”, come si dice, anche se poi vediamo che esso provoca molte discussioni, persino un po’ polemiche, quando vi si accenna. Il discorso, insomma, rimane aperto. Anzi, colgo qui l’occasione per lanciare l’idea di un dibattito sull’argomento fra tutti i lettori dei nostri bollettini, sui quali prometto di ospitare volentieri i contributi che vorrete inviare.

Ma andiamo avanti. A questo punto voglio dire che se questo laboratorio ha occupato più di tre mesi della mia vita tra raccolta di materiale, trascrizioni, correzioni, riflessioni e messa a punto finale, anch’io alla fine ho maturato la mia opinione in materia. E se dico “maturato”, intendo dire che quello che penso è anche frutto di personale esperienza e non solo delle frettolose letture o dei contatti degli ultimi tempi, da cui, peraltro, ho ricevuto stimoli interessanti, ma non sempre convincenti. Anche perché, e scusate se mi ripeto, su come ci si debba confrontare e comportare in frangenti didattici ove si configura il continuo passaggio dei discenti da L1 a L2 oppure LF c’è scarsa letteratura e poca attenzione: si va, in sostanza, da una posizione buonista attribuibile a J. Oldridge ad una piuttosto rigorosa, appannaggio dei vari Willis, Cummins, Swain e altri, passando però per tante posizioni intermedie.
La mia, per esempio, è quella che segue. Intanto restringo il trattamento di favore ai soli e veri principianti del primo mese. Ma non basta. Servendomi di un diagramma che disegno il primo giorno di scuola sulla lavagna vado immediatamente a negoziare con loro quanta L1 o LF riesco a tollerare, nonché i tempi di tempestivo rientro al 100 % in L2. Ricordo continuamente agli studenti il nostro patto in modo gentile, ma perentorio, mai arrivando, però, a quei stucchevoli moniti che rovinano perfino le pause di una classe. Ricordate la “gioia dell’apprendimento”? Bene, spesso è così che se ne va. Comunque, per farvela breve e sempre riferendomi alla mia esperienza, direi che il rientro in un’area di maggiore disciplina nell’uso della lingua bersaglio debba avvenire durante la terza delle quattro settimane del primo livello. Qualche rigoroso osserverà: “Ma è troppo tardi!!”

Personalmente sono convinto di no, per due ragioni. La prima consiste nel fatto che un rapporto spigoloso iniziale originato da un esasperante pungolo disciplinare può sovente tramutarsi in aperta conflittualità più tardi, anche perché non tutti hanno i nervi sufficientemente saldi per far fronte ad atmosfere rigorose. La seconda è che, se si vuole una produzione linguistica ricca e abbondante, non si può iniziare un corso di principianti “fissando i paletti troppo stretti ” come si fa con lo slalom speciale. Non voglio con ciò convincere nessuno, né fare proseliti, anche perché, per carattere, ho molto rispetto per tutte le posizioni. Voglio però dire che questo mio modo di rapportarmi con la classe mi ha sempre dato dei risultati gratificanti, sia come atmosfera che come qualità di apprendimento. Aggiungo che questo reiterato negoziare con la classe, ricordando i patti, ha spesso creato un grande affiatamento, uno spirito di collaborazione, che poi sono proprio gli elementi base che fanno muovere il gruppo verso un’unica direzione di progresso.

Racconto, per chiudere, un fatto che ho constatato osservando la coppia di studentesse dalla quale ho raccolto il materiale per la cassetta audio da me presentata al seminario. Premetto che erano studentesse al 7°giorno di scuola e affinché il loro parlato abbondasse di espressioni in inglese, la loro LF, ho registrato la loro prima socializzazione. Per inciso, era un ascolto autentico su un viaggio a Venezia. Poi ho fatto ascoltare diverse altre volte il brano, effettuando ogni due volte il cambio di partner. L’ultima socializzazione l’ho fatta in modo che la coppia da me scelta all’inizio per raccogliere il materiale si ricostituisse dopo che ognuna delle due ragazze aveva seguito un diverso percorso socializzativo, perché mi interessava vedere quanta L2, cioè l ‘ italiano avesse preso il sopravvento sull’inglese. Ebbene, ho notato che dopo cinque ascolti e quattro socializzazioni, di cui due “extra” con partners diversi, intanto le due studentesse si erano arricchite di svariate nuove informazioni, ma la sorpresa più grande è stata nel constatare che il volume di L1 era stato limato di un buon 30% a tutto vantaggio della lingua bersaglio, l’italiano. Voglio con questo dire che, se già ci può essere un incremento di L2 durante la medesima lezione, vale a dire nell’arco di circa tre quarti d’ora, non v’è dubbio che verso il quindicesimo giorno di scuola si possa, senza traumi, onorare quanto negoziato il primo giorno di scuola, cioè il progressivo e sollecito abbandono dell’uso della lingua madre o di quella franca a vantaggio della lingua bersaglio. Né permissivismo né rigore, quindi, ma intelligente governo delle cose mirato a chiudere la partita con L1 nell’arco di tre settimane. Vorrei fare una riflessione ulteriore su un caso abbastanza frequente nelle scuole di lingue, cioè il fatto di ereditare, per motivi organizzativi, ferie e cosi via, la classe di un altro collega. Se lui o lei adottassero un approccio dolce ed io fossi, invece, un rigoroso proibizionista, dovrei imperterrito continuare nella mia posizione o no? Attenzione, che un fatto del genere potrebbe verificarsi anche con una classe di non principianti!

E allora che fare? Forse deluderò qualcuno, ma la mia risposta è questa : è meglio portare gradualmente quella classe sulla mia lunghezza d’onda, negoziando, che so, in termini di sei, sette giorni il totale rientro in L2. Cosi facendo, intanto non perdo la faccia, perché faccio capire subito come la penso; e poi non creo traumi a chi era abituato altrimenti.

Il seminario

Il mio laboratorio si è svolto nel seguente modo. Ho distribuito al gruppo dei colleghi ospiti la trascrizione della socializzazione delle due studentesse di cui parlavo prima, il cui saggio potete vedere riprodotto alla fine di questo scritto. Abbiamo poi ascoltato la conversazione tra le due ragazze. Quindi è iniziato il lavoro dei colleghi. Dopo la mia domanda-stimolo “Che cosa fanno?”, ognuno doveva accanto ad ogni espressione in inglese scrivere una definizione funzionale della stessa. Seguiva una socializzazione di circa otto minuti riferita a questa fase molto pratica del laboratorio. Poi è partita la seconda domanda: ” Perché lo fanno?”, perché, cioè, le due studentesse della cassetta usano la lingua franca e non l’italiano. Si è aperta a questo punto un’interessante discussione, prima in piccoli gruppi di quattro persone, poi in due gruppi di otto persone, quindi in un plenum finale dove si riproduceva la variegata, gamma di posizioni a cui accennavo all’inizio di questa relazione. Una cosa, comunque, mi ha fatto piacere : non si è manifestato nessun estremismo, né permissivista, né proibizionista. I partecipanti si sono attestati con le solite sfumature più o meno vicino alla mia posizione, che, peraltro, non conoscevano, in quanto vi ho accennato brevemente alla fine del dibattito, negli ultimi cinque minuti del laboratorio.

Il foglio di lavoro

Ecco qui sotto riprodotta la trascrizione fedele del dialogo tra le due studentesse da cui ho raccolto il materiale per la cassetta da presentare al seminario. Se vi incuriosisce potete provare a scrivere le definizioni funzionali delle espressioni “di contrabbando” scritte in inglese. Buon divertimento !

Riferimenti bibliografici

Cummins J. e Swain M., 1986, Bilingualism in Education, Harlow: Longman
Willis J., 1981, Teaching English Through English, Harlow: Longman
Eldridge J., ‘Code switching in a Turkish Secondary School’ ELT JOURNAL Volume 50/4 October 1996

La trascrizione
A. Tre … tre … amici … a una caffetteria … incontra … incontria …
B. In caffetteria …
A. Incontrato in una caffetteria … due ragazzi e una ragazza.
B. Nome John … John Camel.
A. Camilla? … John … John Cam…
B. E … (xxxxxxxxx) Paura?
A. Paura?
B. Paura! … Sì. [1] Is it John Capriccio?
A. Ah no, non lo so.
B. [2] Sorry! Ah. … Lui è … ritorma … ritorno
A. Sì?
B. A … a Venezia … a ieri sera … ieri sera …
A. Ah. Ah? … Sì … è un viaggio … ah … una settimana.
B. Ah. … e lui è … parla … [3] They are talking about some woman … lei
A. Sì … sì. Le … lei è [4] lostlost.
B. Sì, sì … sì!
A. Ah … ah … valigi …
B. Valigi … sì! … sì! Ehm …
A. Ehm … parliamo con …
B. Due anni fa … ah … lei due anni f… lei è lavoro due anni fa? … No, no, non conosco, ma … lui parla … io sono rimosco…
A. Sì?
B. Rimosco! … Rimosco! Sì.
A. Lei … le … visitare molto … molto … eh … molto [5] places? … a Venezia e …
B. Venezia … and Parigi … [6] and Italia … and
A. Parigi … [7] and Italia?
B. Sì.
A. Non so …
B. Sì, Parigi.
A. Non soltanto Venezia? A … una …
B. Ah. … Sì, sì … Roma, anche Roma … anche …
A. Anche Roma? … Viagge in Roma?
B. Venecia [8] and Parigi…
A. Lui no abito a Roma?
B. No, non lo so.
A. No, non lo so?
B. Sì.
A. E parliamo con …
B. [9] What about…?
A. Sì … una d… es… una donna de… [10] had losthad lost
B. Ah. … Lei ha … lei parla … paura parla molta estrano … è … di … la donna … Uhm …forse … Io non conosco tutti, ma io conosco po’ … un po’! … Sì …
A. Sì, sì! Lei ha … [11] lost, lostoh, no!lost! Tre … O.K. … lost, lostlost her valigi.
B. Ah … La donna …a … ahm …
A. A Venezia o … ah? …
B. Ah! [12] I don’t know!
A. No, no … a compania de e … e lei è molt… Venezia e molto interessan… int…[13] interesting … intres… e …
B. Ah … lei … ah … lui è parlato.
A. Lui … penso …
B. Ah. Lui penso? … lui penso …
A. Sì, lui penso … Venezia e multo intresti e lui … e … voglio ret… returnerò a Venezia alt… altro tiempo? … Tempo? … E … Altro tempo … sì. E … (sospira)
B. Forse loro … loro parliamo … no … parlano … parlano … una … una donna … una donna … ahm … John Capro? … John Capro…
A. (ride) [14]O.K.
B. Perché?
A. [15] Because I don’t understand. They met… They met on the cafeteria.
B. Ah! Sì.
A. [16] Three … Three friends.
B. [17] Yeah.
A. To … John, Paula e Laura.
B. Paula?
A. E Laura. Oh! ma … main?
B. Paura. … Paura?
A. Paura? No, non lo so. [18] And they were talking about, I don’t know who of these
B. [19] Some woman.
A. [20] these guys that was going to Venezia on vacation.
B. John Co… John Coda? … John … Cavra …
A. [21] And
B. [22] uh returned
A. [23] And he have
B. [24] Yeah.
A [25] he has returned from
B. Venezia?
A. [26] from vacation in Venezia for one week. They were talking about
B. Ah!?
A. [27] O.K., O.K.  Eh … Parliamo con vacanze … è una donna de…
B. Una donna molto interessante … molto interessante.
A. [28] She has lost her suitcase.
B. Ah, sì, sì, sì.
A. Valigia. [29] Eh … eh … she had no … no clothes to have … to wear
B. Ah, sì, sì.