Nuove ragioni per nuovi obiettivi
Cioè la rappresentazione dell’Oggetto di analisi denominato anche Studente secondo la filosofia del Gruppo di Frascati.
Per prima cosa intendo dare spiegazione di questo articolo all’interno degli Atti del Seminario Internazionale ’96. Negli anni passati quelli che ho scritto erano dei resoconti dei laboratori da me organizzati, che facevano da trama, ed i relativi supporti teorici che facevano da ordito. Mi sembra arrivato il momento di concentrarci ora sul filo. Per filo intendo qui il materiale di base, l’elemento primo della nostra attività. Non siamo noi insegnanti la ragione di ciò che facciamo, né lo è la scuola con i suoi problemi organizzativi e burocratici. Il filo, l’effetto, e non la conseguenza, è la persona che viene chiamata studente. Apro qui una piccola parentesi su un argomento che però andrà approfondito: le definizioni sono come scatole che tengono rinchiuso qualcosa o qualcuno. Quando usiamo la parola “studente” tutti diamo per scontato di cosa stiamo parlando. Così facendo non viene neanche il dubbio di capire se il termine che usiamo rappresenta in modo esauriente ciò che vogliamo descrivere, né’ perché non si usino altri termini. Ad esempio perché non “studioso” come definirei me stesso nell’atto di studiare? Oppure perché non un neologismo? La stessa “scuola”, che frequentiamo ogni giorno e che quindi crediamo di conoscere così a fondo, non ci ricordiamo più che nell’intenzione prima dei nostri padri greci era il luogo del riposo e dell’occupazione studiosa. Chiudo qui la parentesi ma bisognerà ritornare ancora sulla questione della terminologia. Ritornando al filo, di cui dicevo prima, ritengo che per troppo tempo la persona chiamata studente sia rimasta cristallizzata nella sua definizione, che poi nasce, insieme alle sue sfumature, dal numero di problemi che ci crea una persona, quindi dalla relazione. E se la relazione ancora non è operante, come nel caso del principiante? Vale a dire: abbiamo mai pensato a ridurre ai minimi termini nel suo puro significato matematico, la definizione di studente, affrancandola dagli appesantimenti legati alle nostre esperienze, ai nostri problemi umani e professionali, alle esigenze organizzative della scuola, ai pregiudizi? Il pregiudizio ha una connotazione negativa, anche se trova abbondante ospitalità dentro di noi; eppure ogni difetto è un pregio esagerato, mi ha insegnato un saggio amico. Allora dietro il pregiudizio, il pre-giudicare, il giudicare prima si può celare la voglia di conoscere il minimo termine, il filo. Cominciando a muoverci così troveremo nuove ragioni per nuovi obiettivi.
Doveroso è anche dire qualcosa sul Gruppo di Frascati delle cui idee, in pratica, ho già cominciato a parlare nelle righe precedenti. È una specie di preparazione alchemica composta da una parte di “Settore robotica e nuove tecnologie” dell’E.N.E.A. di Frascati, più una parte di “Oberon” società che si occupa di simulazione, controllo e comunicazione, più una serie di specialisti in biologia, psicologia, psicanalisi, filosofia, economia, informatica, elettronica e altro. Il supporto comune non è scientifico o tecnologico bensì filosofico. Filosofia che genera ,oltre alle idee, scienza e tecnologia. Il fine, infatti, è la produzione di idee e di oggetti. Per quanto riguarda gli oggetti l’ultimo in ordine di tempo è un congegno per le persone non vedenti. Per quanto riguarda le idee, è in corso uno studio sulla formazione delle emozioni e dei pensieri. Uno dei metodi di lavoro è quello di rappresentare, insieme, l’oggetto di analisi più e più volte, cercando di arrivare in ogni generazione interpretativa sempre più vicini alla fonte, all’idea prima, al messaggio diretto, quindi da tutti comprensibile, dell’oggetto di analisi. Per questo ho proposto al Gruppo di Frascati che si trattasse del Principiante e della gioia dell’apprendimento. Quelle che seguono sono le idee prodotte in un incontro del gruppo.
Rappresentando insieme l’oggetto di analisi chiamato studente
… partiamo da me come cavia per cominciare la rappresentazione. Io sono nato e sono vissuto in un ambiente dove i suoni sono quelli che, una volta accordati, si chiamano lingua italiana e quindi le associazioni ovvero gli incroci tra suoni e oggetti percepiti sono stati fatti con questi ritmi, i ritmi che si producono qui in Italia. Nascendo in mezzo a queste associazioni, non le ho ragionate per niente. Prima il bisogno e poi qualche altra cosa mi ha portato ad associare parole, anzi, addirittura ad inventarmele… a inventare suoni, che poi significano parole…
… il materiale che si trova davanti un insegnante è una persona ragionevole, una persona della quale deve utilizzare la ragionevolezza, che ha le stesse esperienze associative mie per quanto riguarda la sua lingua madre…
… le ragioni: quali sono i processi suoi o comuni che posso utilizzare perché impari ad avere un’altra lingua?…
… tornando a me come cavia ,io non mi trovo dentro delle ragioni per imparare ad esempio il francese cioè le ragioni per raddoppiare i suoni che sono concomitanti sullo stesso oggetto. Bisogna trovare una ragione affinché io abbia l’interesse, abbia la spinta, abbia il potenziale da poter applicare a questo raddoppio…
… prendiamo ora il caso di persone che hanno una spinta esterna perché vogliono fare la guida turistica o vogliono studiare in Italia o vogliono parlare col marito italiano o altro del genere, diciamo che queste diventano motivazioni, cioè bisogno. Se non c’è il bisogno, per quale mai ragione devo studiare una lingua?…
… la motivazione mi da l’illusione di stare di nuovo alla nascita. Soprattutto nel modo in cui insegnate alla DILIT. Operate con persone, parlo dei principianti, che non sanno assolutamente niente, hanno però una superconoscenza degli oggetti e della comunicazione non soltanto come associazione di parole ma proprio come oggetti e atti. Io quando ero ragazzino non avevo questa conoscenza quindi gli oggetti, per me, sono cresciuti assieme ai suoni. Io, come loro, conosco gli oggetti, li ho visti, li ho sentiti, li ho toccati con mano e ci ho messo sopra dei suoni. Prendiamo un finlandese o chiunque altro: ha lo stesso tipo di esperienza che accende la memoria funzionale, la memoria tattile, la memoria visiva, … mette insieme tutto questo e lo associa con il suono di casa sua. Adesso deve applicare un altro suono. A tutto questo volume base di conoscenze si deve aggiungere un suono…
… ogni oggetto, ogni situazione è un suono parallelo, non passante, parallelo ad un suono che già ha. Sono suoni paralleli che si incontrano però sull’oggetto. Il suono “apple” ed il suono “mela” sono paralleli e si incontrano entrambi sull’oggetto, che è quello che è, al di là di come è suonato. Chi opera il processo mela – apple – oggetto è un traduttore, non un parlante e così nascono i “balbettanti”, ma di questo, caso mai, parliamo dopo. Torniamo a quando ero piccolo e non ne sapevo niente di mele quando ho cominciato a suonare la parola mela…
… cosa creare per evocare una situazione che si avvicini a questa? Un buio sonoro, ad esempio. In fondo è già quello che fate alla DILIT. Entra in classe un gruppo di persone e devono farsi capire dall’insegnante; non è l’insegnante che deve capire loro. In fondo non ha importanza se la classe è monolingue o plurilingue se rimane valido costantemente che loro devono farsi capire dall’insegnante. Il processo puro è sempre quello di suoni che parallelamente devono essere associati…
… si comincia a costruire, attraverso il buio sonoro, il bisogno. Il bisogno, nella situazione specifica, è il bisogno di farsi capire dall’insegnante che lì rappresenta tutto il popolo dei parlanti in italiano o altra lingua. Sono nel buio, non si ritrovano nessuna memoria relativa ma hanno uno spettatore paragonabile a quello che io avevo da bambino: mia madre, mio padre o chiunque avesse a vedere con me. Se chi avevo intorno mi dava un pezzo di pane e accompagnava al pane la parola pane, suonava pane, io cominciavo a copiare, usando il mio udito e i miei suoni, la stessa parola, quando nasceva il bisogno del pane. Ho copiato i suoni, che entravano nei miei orecchi, suonando con la mia voce in modo tale da far coincidere questi, con i suoi, di fronte allo stesso oggetto. A quel punto ci siamo accordati o meglio io ho accordato con l’altro, cosicché il suono pane corrispondeva, era concomitante all’oggetto, che poi dava quel certo effetto, … io non avevo figure. Crescevano con me e con i suoni associati. Lo studente straniero invece è già pieno di figure quindi ci dobbiamo aspettare più confusione, ovvero bisogna fare in modo che viva tale confusione e impari a superarla, nel modo più tranquillo possibile. E qui comincia la tecnica , che dovrebbe riproporre la stessa situazione dei bambini, nel senso che l’attenzione va messa solo su quell’oggetto o quella situazione, pura senza definizioni, senza traduzioni, per scoprirne non il nome ma il potere di trasferire ad altri l’idea, non del pane ma del bisogno che l’oggetto soddisfa quando è nominato, cioè la fame…
… e qui comincia a nascere la gioia dell’apprendimento. Ampliando, se io sono guida turistica tanto più produrrò suoni concomitanti con quelli dei turisti che accompagno, tanto più loro saranno soddisfatti, di conseguenza mi cercheranno ancora, sarò pagato e ne avrò un certo tipo di piacere. Quindi la carica di piacere , la prendo in prestito dal mestiere che farò. Nel quotidiano della classe, se l’insegnante mi dà la penna che gli ho chiesto, se posso giocare a battaglia navale con un altro studente dopo poche ore di lezione, … si creerà qualche tipo di piacere. Si potrebbe dire che l’insegnante in classe è un creatore di bisogni. La motivazione dello studente sarà relativa alla sua risposta e al piacere che ne trae. Quindi la motivazione è da collocare alla fine del processo…
… inizialmente dipenderà dalla ricostruzione mentale cioè dal “film” che lo studente crea in sè e soprattutto dal finale di questo film, che deve prevedere consensi, piacere, soddisfazione. In questo è fondamentale che l’insegnante diriga il finale del film dello studente verso fotogrammi realistici. I finali trionfanti sono pericolosi in quanto portano poi alla delusione. Però bisognerebbe parlare della formazione dei film e ci porterebbe fuori…
… la prima fase comunque è l’eliminazione di tutti gli oggetti fino ad ora conosciuti e la nuova concentrazione sui singoli oggetti che man mano poi vanno aumentando ed entrano in agitazione tra loro fino a formare scene che si muovono, balletti di cose. Balletti di cose che produrranno anche balletti di suoni e questi saranno la colonna sonora degli oggetti e delle situazioni…
… è un balletto, una colonna sonora di sinonimi. Io li separo definendoli col nome di questa o quella lingua ma la loro condizione reale è di sinonimo. Di fronte allo stesso oggetto si può emettere un suono o molti altri ma l’oggetto è sempre quello; si possono usare più sinonimi per rappresentarlo. Vista così, una lingua è un insieme di sinonimi, il balletto di un insieme di sinonimi…
… poi vengono i cori, colonne sonore, concerti, costruzioni di oggetti e situazioni sempre più complesse che creo a seconda della complessificazione dei bisogni. Prima creo l’oggetto e poi ci metto sopra i suoni; ancora una volta è così, ma qui entrano in ballo la Risonanza, Giasone,…di cui è meglio parlare un’altra volta…
… “sensazione di freddo, brividi, lana, vestito, coprirsi”, tutti insieme, vengono suonati con “cappotto”. La memoria fondamentale non è la parola, non è il suono. Il suono è la colonna sonora di una sceneggiatura, a proposito dei film di prima, o di una scena che è in via di rappresentazione. Per un adulto chiaramente il passaggio dal singolo suono ai cori, alle dinamiche più complesse, è tanto più semplice quanto più possiede già dentro il potere degli oggetti; però, anche se li ha dentro, ogni volta deve ritornare alla situazione che ha originato i suoni, deve per un attimo ritornare alla situazione che ha originato quell’oggetto, quell’insieme, quell’atto. Una volta che sono associati una serie di sinonimi, può cominciare a mescolarli quando gli pare…
… e così passiamo dalla grammatica alla sintassi. La sintassi, nel nostro discorso, è il pentagramma. Il pentagramma che ha costruito la gente in questo posto che si chiama Italia, è più o meno diverso dal pentagramma costruito in un altro paese perché i popoli sono stati più o meno in comunicazione. Estremizzando si può dire che non esistono le lingue, esistono insiemi di sinonimi che, per mancanza di collegamento, suonano in modo più o meno diverso. Pensiamo ai grandi viaggiatori del passato ed ai mezzi di trasporto di cui disponevano. I tempi che connettono le lingue sono i tempi dei mezzi di comunicazione. Se per arrivare in Cina ci volessero cinque anni, come ai tempi di Marco Polo, per quale mai ragione mi verrebbe in mente il cinese? Non riuscirei proprio a concepirne neanche l’esistenza…
… ora invece esiste un laboratorio, una palestra, un ambiente protetto dove queste persone devono avere la possibilità di cancellare tutto il resto e di concentrarsi su un oggetto di comunicazione senza pensare a tutti gli altri. Il lavoro dell’insegnante è quello di agire in modo che avvenga questo tipo di concentrazione: cancellare il resto, richiamare solo quel tipo di concentrazione e riportare in un luogo protetto vecchie esperienze, situazioni già vissute o quanto più vicine a quelle già vissute, ai film già vissuti da loro, o dello stesso tipo, in modo che possano riprodursi le stesse condizioni. Creare situazioni, bisogni, suonando certe note in un certo pentagramma. Questa è la chiave di ogni attività in classe: ambiente protetto, creazione del bisogno, vuoto, riempimento del vuoto verso una soddisfazione che sarà tarata al livello della classe…
… nell’attività che alla DILIT è chiamata Ascolto autentico, ogni studente fa attenzione alla melodia o meglio si lascia entrare la melodia; quando è invitato a parlare con un compagno di classe su quello che ha sentito, ripete la melodia; questo è l’effetto vero, non il significato delle parole che riportava la cassetta. È esattamente la stessa cosa che ha fatto da piccolo…
… quando era piccolo, la madre o chi per lei riempiva l’atto del portare l’acqua con una marea di parole. Se era serena gli dava, insieme all’acqua, le melodie. Il bambino che ha attorno persone che per rabbia, disattenzione o altro non producono o producono pochi suoni, avrà probabilmente la tendenza alla balbuzie perché fra una parola e l’altra non ha ricevuto la melodia dove poter collocare le sue. Facilmente produrrà suoni staccati uno dall’altro; se poi si aggiunge l’emotività e un po’ d’altro diventerà balbuziente e contemporaneamente nascerà in lui un gran bisogno dell’ attenzione e del consenso della madre…
… parallelamente, l’insegnante controllore, severo o distratto produce studenti balbettanti: ” Io… vo…voglio… no… vorrei… eeehm… un… un… una… “, suono, buio, suono, vuoto, … senza melodia, e sarà altrettanto dipendente dall’insegnante, che a questo punto non è più il rappresentante di tutti gli altri parlanti in quella lingua ma rappresenta solo un controllore. Se andiamo a vedere sull’oscillografo abbiamo masse frastagliate. Nell’altro caso abbiamo andamenti, che mano a mano crescono di significato…
… lo studente controllato o che si autocontrolla è facilmente un balbettante. Dov’è finito il suo progetto, la sua motivazione, il suo film in cui vedeva se stesso interagire con gli altri italiani traendone soddisfazione? Allora ben venga la palestra dove ci si allena a produrre i suoni di una colonna sonora, scorrazzando sul pentagramma…..
….. mi sono trovato a parlare con giornalisti che venivano dalla Turchia, dalla Svezia, … ed io li capivo dalla cadenza delle parole, dallo sguardo, … Con le lingue di origine araba, sull’oscillografo non si vedono singole parole o blocchi di parole ma un andamento, un vero e proprio andante modulato. È semplicemente un altro pentagramma, tutto qui. Quindi è vero che ci sono differenze anche notevoli tra le lingue ma è vero che i supporti sono gli stessi: i supporti sono i pentagrammi. Le modulazioni, i suoni associati all’oggetto sono diversi ma sinonimi perché l’oggetto originale non ha nome, è se stesso e basta ed è l’oggetto che sta nella mente di ognuno…
… i sinonimi sono paralleli biunivoci di andamenti vibratori. Questo è il processo che mi fa modulare e rimodulare dei suoni fino a rendere il loro effetto il più possibile uguale a quello dei parlanti la lingua che studio come ho già fatto quando ero piccolo…
… e proprio su questo si basa lo strumento che stiamo studiando per i non udenti. Ma questa è un’altra storia…