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Come diceva Platone a Cratilo

Quando arriverete al punto, alla fine di questo pensiero, avrete letto quattordici parole scritte.

Per tradurre in parole scritte questo pensiero ho utilizzato ottantadue lettere dell’alfabeto, di cui una maiuscola.

Quindici spazi vuoti aiutano me e voi a creare i confini delle parole, in modo che risultino decifrabili, sempre che diamo per scontato che stiamo comunicando attraverso la lingua italiana.

Favoriscono l’esposizione del pensiero due virgole e un punto.

Quattordici parole, ottantadue lettere dell’alfabeto (di cui una maiuscola), quindici spazi, tre segni d’interpunzione creano un insieme di cento quattordici segni che ho utilizzato per comunicare il primo pensiero. Un insieme di segni  all’interno di un sistema di segni, cioè fenomeni di cultura, cioè fenomeni di comunicazione come ci insegna la semiologia.

Tutto questo non vi sembri esasperazione dell’analisi di un pensiero scritto, ne è solo una descrizione; una descrizione il più possibile non interpretativa. Non interpretativa perché in questo seminario ci siamo occupati dell’atto dello scrivere e non della interpretazione dello scritto.

La descrizione iniziale può sembrare fredda, inconsueta ma non è inutile; vuole mettere l’attenzione su quello che facciamo ogni volta che scriviamo al di là delle limitazioni del “Grande Fratello” dentro di noi che sguinzaglia, senza che neanche ce ne accorgiamo, i suoi mastini: aspettativa, attaccamento e giudizio. L’invito è quello di uscire dall’automatismo, rassicurante anche se pericoloso, dell’interpretazione e di osservare con sereno distacco l’atto dello scrivere. Il sereno distacco ci permette di accedere ai livelli soggiacenti ai nostri ed altrui atti.

Questo è il perfetto opposto dell’interpretazione.

Scrive Sant’Agostino nel sesto libro delle Confessioni: “Quando Ambrogio leggeva, faceva scorrere lo sguardo sulle pagine penetrando il loro significato, senza proferire una parola né muovere la lingua… lo vedemmo leggere tacitamente e mai in altro modo… timoroso forse che un ascoltatore, attento alle difficoltà del testo, gli chiedesse la spiegazione di un passo oscuro o volesse discuterlo con lui…”. Sant’Agostino fu discepolo di Sant’Ambrogio, vescovo di Milano, verso l’anno 348. Tredici anni dopo, cominciava a redigere le sue Confessioni ed ancora è turbato da quell’uomo che legge senza articolare le parole. Va detto che in quell’epoca c’era l’abitudine di leggere ad alta voce . Questo uso era motivato, come ci dice Luciano di Samosata nel suo “Contro un ignorante compratore di libri”, dall’esigenza di penetrare meglio il significato, dato che non c’erano segni d’interpunzione e nella maggior parte dei casi anche di divisione tra le parole. Sant’Ambrogio passava direttamente dal segno di scrittura all’intuizione, omettendo il segno sonoro. Questa strana arte avrebbe portato a meravigliose conseguenze. Dopo molti anni si arriverà al concetto del libro, del prodotto, come fine, non come strumento di un fine.

A scanso di equivoci, ho attinto questi pensieri su Sant’Ambrogio da uno scritto di Jorge Luis Borges titolato “Del culto dei libri” del 1951.

Nell’anno in cui Borges scriveva i pensieri di cui vi ho appena detto, io non ero in questo mondo. L’edizione che ho qui di fianco a me è del 1973 ed io ne sto scrivendo nel 1995 e quello che sto scrivendo verrà letto, forse, nei prossimi anni… Forse mio figlio ne darà copia a mio nipote. Oppure queste righe andranno perdute; non importa, è uguale. L’atto produttivo, o creativo se mi concedo alla gratificazione, rimane inalterato e serve a me e ad altri, forse, per riflettere sulla diversa influenza che l’energia che chiamiamo tempo esercita su di noi come corpo fisico e sulla parola scritta. Come dicevano i latini ,la parola scritta rimane o per lo meno può rimanere più a lungo del nostro corpo fisico.

Altra riflessione che, per quello che mi riguarda, arriva dagli amici che stanno studiando il funzionamento del cervello, è che il pensiero, l’immagine, il ricordo che io creo è tridimensionale ed è letto dalla mia mente come reale e ricrea le sensazioni, le emozioni o meglio gli umori generati dalla situazione di origine. Provate a richiamare in voi un dolore oppure una gioia che avete vissuto, meglio se di recente; visualizzate i particolari del luogo, le persone, le azioni che hanno avuto luogo in quell’ambiente. Provate veramente non accontentatevi di leggerlo. Vi accorgete che risorgono gli umori che avete creato in quel luogo, con quelle persone, con quelle azioni. La mente ha letto in modo tridimensionale, come è sua natura, nonostante luogo, persone ed azioni siano illusori. La nostra mente ci rende ogni volta di nuovo protagonisti di quel film, ci ributta dentro la pellicola e, dato che crediamo di essere la nostra mente, riviviamo innumerevoli volte quel film come se fosse la realtà mentre al massimo ne siamo gli spettatori. Guardando un film si può ridere, piangere, avere paura, ma mentre succede o appena dopo ci ricordiamo che è solo un film.

In questo può aiutare la scrittura perché porta fuori di noi il pensiero, lo bidimensionalizza, lo cristallizza nella materia. A questo punto la mente lo riconosce come irreale, ci riporta quindi in una situazione meno condizionata dagli umori. Adesso che ho portato fuori di me un pensiero, ne posso fare ciò che voglio: lo posso modificare, lo posso mettere in archivio, lo posso bruciare, lo posso far leggere a me stesso o ad altri. Sto finalmente esercitando un controllo su un mio pensiero. Gli umori se sono ancora presenti possono essere trattati nello stesso modo.

La scrittura può essere considerata, da questa angolazione, produttrice di leggerezza; è un modo per “polverizzare la realtà” come ci dice Calvino nelle sue “Lezioni americane”, proprio parlando della leggerezza che associa con la precisione e con la determinazione e non con la vaghezza o con l’abbandono al caso.

Le parole che ho appena scritto sono la traduzione di pensieri che, in parte, non sapevo neanche di avere e l’essermi soffermato da spettatore dei miei pensieri mi è servito a chiarire meglio, almeno a me stesso, cosa intendo per Scrivere. Ed avendo le idee più chiare aumenta anche il livello della motivazione, a scrivere in questo caso.

Se io per primo non sono motivato non posso trasmettere la motivazione ad altri. Ricordiamocene ogni volta che in classe presentiamo una attività. Ed allora quali sono i meccanismi che inibiscono la motivazione?

Primo e fondamentale passo è quello di accettare che sono meccanismi di tipo culturale e, come ogni meccanismo, suscettibili di modifica. L’identificazione con i meccanismi culturali è semplicemente dovuta ad ignoranza, proprio nel senso del non conoscere, del non sapere. Non sappiamo che le nostre risorse sono infinite e chiaramente non le conosciamo o ne conosciamo una parte infinitesima.

Quale è la differenza tra voi e uno scrittore di chiara fama? Nessuna, a parte il fatto che lo scrittore è una persona che si è autorizzata ad esserlo ed in seguito ha rinforzato questa autorizzazione attraverso la fama ed il successo che altro non sono se non le nostre autorizzazioni a lui per potersi considerare uno scrittore. Lui si è dato l’autorizzazione e voi ancora no. Tutto qui. Basta darsi l’autorizzazione alle risorse che già sono in noi e coltivarle con calma.

A questo proposito mi viene in mente un caro amico, la cui storia può essere un buon esempio di ciò che ho appena detto. Mentre frequentava, con scarso profitto, le scuole medie, gli insegnanti hanno caldamente invitato i suoi genitori a non gettare altri soldi per la sua istruzione; il consiglio era di mandarlo da subito a guadagnarsi il pane come garzone o come apprendista. A nessuno quella volta è venuto in mente di domandargli cosa facesse invece di studiare. La risposta sarebbe stata interessante: si chiudeva in una cantina con pochi amici a leggere poesie e ad ascoltare musica jazz.. Ora il mio amico insegna, scrive, si occupa di filosofia, di cibernetica, di psicologia,… insomma si è autorizzato da solo.

Una volta conosciuto il meccanismo è solo questione di pratica, come per qualsiasi sviluppo di abilità.

Per darmi una autorizzazione importante a quanto sopra riporto dal Vangelo di Tomaso (Didimo Giuda Tomaso), ne ” I Vangeli gnostici”, queste parole:” Le risorse di ognuno di noi sono infinite; impariamo a meravigliarcene.”.

E questa è la prima frase che ho scritto sulla lavagna iniziando il mio laboratorio all’interno di questo seminario, chiedendo ai partecipanti di commentarla tra loro. Dopo esserci trovati più o meno d’accordo sulla questione delle risorse, ho posto il problema di come poterle sviluppare proponendo due impostazioni.

Una prevedeva modalità di gioco, di cambiamento di ritmo, di leggerezza; l’altra comprendeva aspettative, attaccamenti e giudizi. L’unanimità è andata fin troppo entusiasticamente al primo gruppo senza valutare a sufficienza che escludere il secondo gruppo significa escludere controlli, valutazioni, correzioni.

Dato che poi il tema particolare era lo scrivere, ho proposto due citazioni che mi avevano colpito. La prima è di Cesare Marchi che nel suo libro “Impariamo l’Italiano” ci dice che :”Ogni parola è un romanzo liofilizzato”; l’altra è di Platone che a Cratilo, nel “Cratilo” appunto, dice: “Il nome Nilo non è solo il nome del fiume Nilo, ma contiene il fiume stesso.”.

E così è terminata la parte introduttiva che ha lasciato posto alla vera e propria preparazione alla scrittura.

Ho iniziato con una tecnica che è conosciuta come “Riallineamento dei corpi”, con cui si riequilibrano il corpo fisico, il corpo emozionale ed il corpo mentale. Le induzioni usate sono state queste: “Ora chiudiamo gli occhi e cerchiamo una posizione comoda… così siamo seduti comodamente e cominciamo a portare la nostra attenzione alle dita dei piedi, alla pianta, al dorso dei nostri piedi… alle caviglie… ora i piedi sono leggeri, sentiamo questa leggerezza… portiamo la nostra attenzione alle gambe, alle ginocchia, alle cosce ora le nostre gambe sono leggere, sentiamo la loro leggerezza… portiamo la nostra attenzione ai nostri glutei, ai fianchi, al nostro sesso… ora tutta questa zona è leggera, ne sentiamo la leggerezza… la nostra attenzione va alle dita delle mani, al palmo ed al dorso delle nostre mani, ai polsi… ora le nostre mani sono leggere… continuiamo con le avambraccia, i gomiti, le braccia… ora le spalle… anche queste parti ora sono leggere sentiamone la leggerezza… portiamo la nostra attenzione alla schiena, all’addome, al plesso solare, al petto, agli organi interni che in questa zona hanno sede… sentiamo la leggerezza che sale… ora la nostra attenzione va al collo ai muscoli del viso, del cranio, alla lingua… ora anche la zona della testa è leggera, sentiamone la leggerezza… ora tutto il nostro corpo fisico è leggero… …passiamo ora a dare attenzione al nostro corpo emotivo… quelle che chiamiamo emozioni, gli umori, sono come acque agitate che non ci permettono di vedere, se non deformato, ciò che si trova al di là delle acque… allora immaginiamoci un lago di montagna, un piccolo lago… non c’è vento e le sue acque sono calme, trasparenti, tranquille… potete vedere chiaramente il fondo, le pietre, la sabbia, sul fondo, attraverso queste acque tranquille come ora sono le nostre emozioni, i nostri umori… ora il nostro corpo emotivo è leggero… …ora portiamo la nostra attenzione al nostro corpo mentale in cui lasciamo che i nostri pensieri si affollino, vadano e vengano a loro piacimento… ma siamo noi che li creiamo e se ne siamo noi i creatori possiamo essere noi a controllarli, non identificandoci con loro… immaginiamoci i nostri pensieri come nuvole, sono nuvole, solo nuvole, che passano in un bel cielo limpido… osservate i vostri pensieri che passano per la vostra mente come le nuvole passano nel cielo… …adesso il corpo fisico, il corpo emotivo ed il corpo mentale sono riallineati…”.

A questo punto ho inserito una tecnica conosciuta come “Il vecchio della montagna” : “…ora partiamo per un viaggio… stiamo camminando immaginiamo di vedere i nostri piedi che camminano… stiamo camminando su una strada…poco a poco la strada diventa un sentiero… il sentiero comincia a salire…è un sentiero di montagna… mentre camminiamo sentiamo nell’aria i profumi della montagna … il sentiero continua a salire e noi lo seguiamo… tutto è verde intorno… siamo in prossimità della cima… alziamo gli occhi e vediamo poco lontano una persona… è una persona anziana che ci sorride… è un sorriso sereno, tranquillizzante… ci fa cenno di seguirla e noi la seguiamo… la seguiamo….”.

Sono seguiti pochi minuti di silenzio per lasciare spazio al viaggio individuale che era accompagnato solo dalle note di Ravi Shankar e Philip Glass, dal loro lavoro intitolato “Passages”.

“ora lentamente sgranchiamoci e poi apriamo gli occhi… prendiamo carta e penna e descriviamo il nostro viaggio.”.

Voglio precisare che proponendo le tecniche dette del “Riallineamento dei corpi” e de “Il vecchio della montagna”, ho richiesto molto ai partecipanti che: non mi conoscevano, non si conoscevano tra loro e si trovavano in un luogo non familiare. Tenetene presente se volete riproporre l’attività.

Il motivo che mi porta ad usare in classe queste ed altre tecniche dello stesso tipo è il seguente.

Come sapete si dice che usiamo solo il 10% del nostro cervello. Non sono d’accordo, io credo che lo usiamo al 100%.

Se così non fosse non avrebbe le dimensioni che ha. Il nostro corpo fisico non ha parti che non usiamo. è possibile però dire che “capiamo” solo il 10% del nostro cervello sebbene sia funzionante al 100%. Per capire come accedere al restante 90% vediamo la tabella che segue:

Figura 1: (tratta da L’uso cosciente delle energie di R. Lampis)

Con gli occhi aperti, comunicando con l’esterno, lavoriamo prevalentemente con l’emisfero sinistro e generiamo onde Beta. Questo emisfero ha a che vedere con il conscio, con lo spazio-tempo, con la parte fisica e con i cinque sensi. Sembra che rappresenti il 10% dell’esistente. Per accedere ad altre parti del nostro cervello basta passare ad onde di frequenza più bassa, ad esempio alle onde Alfa; questo si ottiene con il rilassamento e gli occhi chiusi.

Le onde Alfa sintonizzano l’emisfero destro verso la creatività e l’intuizione. Da qui l’uso delle tecniche di cui sopra.

Voglio tranquillizzare chi si è preoccupato o si può preoccupare di dove possono portare le tecniche descritte.

Ognuno arriva dove può arrivare in quel momento. Quindi niente paura.

Piuttosto c’è da dire che il nostro cervello possiede miliardi di neuroni ma fin dal giorno della nostra nascita, giorno dopo giorno, 100.000 cellule muoiono e non vengono rigenerate, al contrario di quello che avviene con le altre cellule.

Si può rallentare la loro perdita naturale dei neuroni con il riposo fisico, con il sonno e con il loro uso. Quindi usiamoli ed impariamo a meravigliarci delle nostre risorse.

Bibliografia

AA.VV., I Vangeli gnostici, 1984, Adelphi.
Borges J. L., L’Aleph, 1975, Feltrinelli.
Calvino I., Lezioni americane, 1988, Garzanti.
Eco U., La struttura assente, 1994, Bompiani.
Lampis R., L’uso cosciente delle energie, 1991, Amrita.
Marchi C., Impariamo l’Italiano, 1985, Rizzoli.
Platone , Tutti gli scritti, 1991, Rusconi.