Leggere in classe
Dò resoconto del proseguimento del laboratorio di cui l’inizio viene trattato nel precedente articolo di Rita Luzi Catizone. Va precisato che nello svolgere questo laboratorio il nostro obiettivo era quello di offrire testimonianze di esperienze per una riflessione su come diversi modi di leggere vengono vissuti dagli studenti. Abbiamo premesso nella presentazione che il materiale presentato era una ricerca fatta in classe e non aveva valore statistico essendo la nostra una campionatura fatta su piccoli numeri.
Il materiale era costituito da due interviste scelte tra alcune fatte alla fine di una normale lezione a studenti di due classi diverse, dopo un’attività di Lettura autentica. Le due classi di provenienza erano entrambe di secondo livello e avevano quindi alle spalle un numero di ore di studio praticamente uguale (circa 100).
Le due classi avevano lavorato dall’inizio dello studio con due modalità di lettura differenti pur con una stessa unità di tempo (30 minuti). Per comodità indicherò le due classi con le lettere A e B, dove la classe A è quella “non formata” e la classe B è quella “formata”.
Classe A (non formata)
In ogni attività di Lettura autentica l’insegnante ha distribuito il testo da leggere. Ha dato come istruzione: “avete 30 minuti per leggere”. 5 minuti prima della fine li ha avvertiti e così pure a tre minuti dalla fine. Li ha messi poi in coppia perché si raccontassero ciò che avevano capito. Gli studenti hanno gestito i 30 minuti come meglio hanno creduto. Potevano scegliere di usare il dizionario anche se l’insegnante non l’ha esplicitamente consigliato. Potevano rivolgersi all’insegnante per problemi di vocabolario o chiedere ad un altro studente. Anche queste due ultime cose non sono state esplicitamente indicate dall’insegnante.
Classe B (formata)
In ogni attività di Lettura autentica l’insegnante ha distribuito il foglio a faccia voltata. Ha dato poi l’istruzione di voltare il foglio e di leggere per arrivare alla fine del testo in 4 minuti saltando le parole non capite, leggendo con gli occhi e senza usare la penna. Dopo i primi 4 minuti ha detto ad ogni studente di raccontare al proprio vicino ciò che ricordava.
Appena la prima coppia ha terminato di parlare l’insegnante ha detto di leggere di nuovo per 4 minuti. È seguita una nuova consultazione e al primo silenzio una nuova lettura e un cambio di coppia con nuova consultazione. Ultima lettura in 4 minuti.
Durante la lettura gli studenti non potevano consultare il dizionario, né parlare tra loro né fare domande relative al testo all’insegnante. Durante la consultazione a coppie non potevano guardare il testo.
Schemi
I partecipanti al laboratorio sono stati divisi in due sottogruppi uguali per numero. Ho portato uno dei due sottogruppi in un’altra classe e poi in contemporanea i due sottogruppi hanno ascoltato uno l’una e uno l’altra intervista. Ogni partecipante ha ricevuto la trascrizione di ciò che avrebbe ascoltato. Sulle lavagne di entrambe le classi ho scritto “segnate sul testo i punti salienti e i vari passaggi del procedimento. Dovrete poi raccontarlo”. Dopo l’ascolto dell’intervista ho riunito i due gruppi e in coppie formate da un partecipante del primo sottogruppo e uno del secondo, si sono raccontati il tipo di procedimento che avevano individuato e hanno dato una loro valutazione dei pro e dei contro dei due modelli. Avevamo previsto che sarebbe stato difficile trovare il tempo per un’eventuale retroazione con l’animatore. Sapevamo però che ci sarebbero stati altri momenti di discussione. Alla fine abbiamo poi distribuito a tutti la trascrizione dell’intervista che non avevano ascoltato personalmente e ho riassunto con due piccoli schemi alla lavagna i due procedimenti di lettura.
Quindi i partecipanti hanno ascoltato senza avere avuto prima informazioni particolari sui due tipi di procedimenti adottati per le due classi; dovevano ricostruirli da soli e discuterne.
Forse non per tutti è stato così lineare come avevamo immaginato se alla fine qualcuno ha lamentato la mancanza di una informazione su questo da parte dell’animatore prima dell’ascolto delle interviste. Sinceramente avevamo scelto di non farlo perché ci sembrava più coerente con l’idea di ricercatore, ruolo che volevamo i partecipanti avessero e inoltre più divertente.
Le modalità proposte sono quindi veramente “opposte”. Nell’una lo studente è assolutamente libero di fare le sue scelte. È quindi probabile che sarà il lettore che sempre è, seguirà e applicherà una tecnica più o meno consapevole, frutto delle sue esperienze scolastiche probabilmente, se non ha avuto occasioni di sperimentare modelli differenti. Nell’altra lo studente è sottoposto ad uno schema di comportamento come lettore molto preciso e rigido. Probabilmente è la prima volta che sperimenta qualcosa di così “radicale” e “spersonalizzato”.
Tra le due classi, la A è composta a maggioranza da studenti orientali ed è pomeridiana, la B è composta da studenti europei e scandinavi ed è di mattina. Quest’ultima risulta più vivace e dal progresso più veloce, ovviamente, mentre laprima è più lenta ma ugualmente impegnata. Abbiamo giudicato non rilevante questa differenza perché ciò che in fondo ci premeva era mettere a confronto le due esperienze di lettura in tutti i loro aspetti e non soltanto per ciò che riguarda la capacità di cogliere più o meno informazioni. Un confronto su questo unico dato sarebbe infatti riduttivo e fallace, troppo suscettibile di dipendere da fattori che sfuggono una possibilità di controllo, troppo legato alle individualità di ogni studente come persona con le sue esperienze di formazione scolastica, di vita, la sua conoscenza del mondo e quindi la vastità della sua banca‑dati e la possibilità, per questo di avere delle griglie di interpretazione, ipotesi sul testo più ricche e complesse. Mi preme dire questo perché se nella valutazione sul ” quanto capito ” dobbiamo tener conto di quale dei due racconti si avvicini di più alla rappresentazione di un madrelingua, tuttavia l’esperienza vissuta e raccontata dalle due studentesse ha un valore in sì e ci è utile per trovare una strada sempre più efficace, affinché l’attività di lettura sia per lo studente uno strumento attraverso il quale diventare un lettore competente in L2 perché, insomma, il leggere diventi da gestire piuttosto che da subire, da ripetere piuttosto che sfuggire. Perché lo spazio temporale della lettura in classe sia un momento piacevole e vivace ma soprattutto non sovrastato e minacciato dalle nuvole del “NON CAPITO”, “DIFFICILE! “.
La studentessa della classe “non formata”, è giapponese e conosce molto bene lo spagnolo. La chiamerò Yoko. L’altra, proveniente della classe “formata”, è tedesca. La chiamerò Karin.
Racconto ora come hanno usato i 30 minuti di lettura, quali scelte hanno fatto, quando potevano scegliere. Come, insomma, hanno “personalizzato” il lavoro.
Yoko, quando l’insegnante le consegna il foglio, ha una penna in mano che terrà sempre. Per prima cosa legge il titolo che, lei dice, le ha dato un’idea del testo. Poi dall’alto verso il basso, ha letto tutto l’articolo una volta. Passa i seguenti 20 minuti nella lettura sottolineando e cercando sul dizionario parole che non conosce. Ne individua circa venti: “…ho preso il primo pezzo del primo paragrafo, ho trovato lo parole, poi ho letto il primo paragrafo. La stessa cosa per il secondo paragrafo…”. Alla fine dell’attività è riuscita a lavorare così per un po’ più di metà articolo. A cinque minuti dalla fine l’insegnante ha avvertito gli studenti che stava per scadere il tempo e allora Yoko ha smesso di cercare le parole e ha letto la fine dell’articolo. Poi ha parlato con un altro studente. Fine dell’attività.
Karin, invece, legge in 4 minuti il testo quasi fino alla fine, saltando molto ma capendo il senso generale. C’è poi una consultazione con un altro studente. La seconda volta sente che non può reggere la stessa concentrazione della prima volta e così decide di leggere più volte la parte finale che le era sembrata meno chiara di quella iniziale. È seguita un’altra consultazione con lo stesso studente. La terza volta, ancora per 4 minuti ha cominciato a leggere dall’inizio: le era chiara la parte finale e allora: “ho letto la prima colonna per capire…sapevo latine e ho messo tutto insieme. ” Si è consultata con un nuovo partner. La quarta volta, che è stata anche l’ultima: “…ho letto tutto insieme ma solo in 2 minuti perché ho capito di cosa si trattava…gli altri 2 minuti ho provato a capire o non dimenticare le parole specifiche.” Fine dell’attività.
È da notare che Karin non segue esattamente le istruzioni dell’insegnante ma mostra di aver colto in pieno il senso della modalità di lettura proposta. È probabile che come lettrice madrelingua sia una lettrice capace ma questo approccio al testo scritto è per lei sicuramente nuovo. Dice nell’intervista che le prime volte che ha fatto questo tipo di attività il tempo stressato le ha provocato una sensazione di paura: “la prima volta, giorni fa, non ho potuto leggere in 4 minuti perché volevo capire tutto e quando non capivo una parola, una frase, mi sono detta ‑ ancora non ho capito ‑ ancora una volta, ooohhhh! … perché 4 minuti sono… non sono tanti per leggere ogni parte quattro volte… all’inizio del corso ho pensato che fosse negativo… “. Ha avuto poi un colloquio con l’insegnante che l’ha rassicurata dicendole che nessuno si aspettava che lei capisse tutto “… ma quando so che ci sono solo 4 minuti leggo tutto… è positivo perché così riesco a leggere tutto ed è più facile quando si legge tutto insieme e si mette insieme è più facile… penso che sia più facile leggere tutto in questi 4 minuti quando c’è una spinta. ” Insomma giudica questo tipo di stress uno stress positivo.
Entrambe queste studentesse leggono in italiano a casa. La studentessa tedesca ha finora letto una guida o qualcosa dal giornale di poco impegnativo, altrimenti con testi che hanno a fronte il testo in tedesco perché, dice, è più semplice. L’articolo che ha letto il giorno dell’intervista le è sembrato facile e mette quindi in conto di potersi anche trovare di fronte a testi più difficili e vivere una maggiore frustrazione ma l’esperienza vissuta le conferma la sua capacità di dominare un testo traendone soddisfazione e questo, lei dice, è molto importante per la motivazione. La modalità di lettura che ha imparato le dà, quindi, anche maggiore forza a tollerare il non capito poiché la vera novità è l’aver superato la paura. Dopo l’esperienza del corso si dichiara soddisfatta di se stessa come lettrice: “…perché io penso che posso capire molto per queste due sole settimane qui. All’inizio non capivo niente quando leggevo un articolo… e oggi quando vedo La Repubblica e voglio leggere qualcosa… non ho più così paura”. Mi sembra un risultato più che apprezzabile che si commenta da solo! !
La studentessa giapponese si impegna di più a casa perché dice di leggere quasi un’ora al giorno. Legge di preferenza riviste. Al contrario dell’altra, leggere a casa è più facile che a scuola. A casa si sente più rilassata, legge più per capire il senso della frase che le singole parole, eppure… non è contenta e soddisfatta come l’altra. A scuola è più stressata: “…perché sento che devo capire tutto…”. Sente la mancanza di un’insegnante che le spieghi tutto e lamenta la mancanza di tempo per la ricerca di parole. Il suo senso di insoddisfazione è molto marcato, I’esperienza di lettura in classe, dobbiamo dedurre, non l’ha aiutata finora a trovare motivazioni per incentivare questa attività, non sowerte nulla della sua propria modalità di lettura a casa, non la solleva dalla sensazione di “non aver capito” che non facilita di certo il suo processo di apprendimento. Sembra che la studentessa giapponese, almeno in classe, rappresenti quel modello di lettore tipico di chi esce da una scuola media e poi superiore, tanto per restare in Italia. Lo studente è convinto di essere un buon lettore se ha capito tutto, ha risolto eventuali problemi di vocabolario. Il famoso “erodere il non capito” non ha spazio per esistere, o tutto è bianco o è nero.
Potremmo dire che nella propria madrelingua la studentessa giapponese è una lettrice non capace e quella tedesca lo è e che questa differenza iniziale condiziona tutto il resto. Certo è che l’esperienza in classe, per Yoko, sembra aiutarla poco a trasformare il suo modo di porsi di fronte a un testo scritto. Dice che a casa preferisce non usare il dizionario, che il testo affrontato era difficile ma non troppo ma poi resta bloccata alla ricerca del significato di singole parole, al non “aver capito tutto”. La sua energia è bloccata, o meglio, finisce in un pantano e si perde. Alla fine è molto stanca ma dice di voler continuare a cercare parole sul dizionario a casa. Anoi insegnanti tutto questo soddisfa?
“Cattive abitudini”
Sappiamo che pause e regressioni rallentano di molto la velocità di lettura e caratterizzano un lettore poco capace rivelando delle strategie interpretative poco adeguate. Seguire con il dito il testo e subvocalizzare sono fattori di grande disturbo della velocità di lettura e della comprensione. La subvocalizzazione porta il lettore a quella che è stata definita “visione tunnel”, cioè cieca, all’arresto della comprensione, perché leggendo parola per parola la memoria istantanea non riesce a stabilire i necessari collegamenti sintattici e semantici data la bassa velocità di lettura.
Delle nostre due studentesse Yoko dice di usare quasi sempre il dito quando legge perché la aiuta a penetrare il significato. Qualche volta subvocalizza. Non l’ha fatto questa volta e comunque quando lo fa è una sorta di esercizio di pronuncia e aggiunge ” …se leggo con la voce mi entra meno significato nella testa. ” Né il dito né la voce sono strumenti che usa leggendo in giapponese o in spagnolo, che conosce molto bene.
Karin aveva 4 minuti a disposizione per leggere e arrivare alla fine del testo saltando parole o parti di difficile immediata comprensione. L’insegnante aveva dato istruzione di leggere con gli occhi e non c’era tempo per usare dito o labbra. Karin ha seguito queste istruzioni e non è stato per lei uno sforzo particolare perché come lettrice madrelingua si comporta così, naturalmente.
Se come insegnanti non incoraggeremo le “cattive abitudini” e alleneremo gli studenti a comportarsi come lettori capaci, forse non riusciremo a trasformare con un corso di lingua un cattivo lettore in un buon lettore, ma avremo tracciato una strada nuova in cui la segnaletica stradale sia quella giusta che gli permetterà di arrivare al traguardo prima ~ meglio
Allora la differenza tra le modalità di lettura all’interno delle quali si sono mossa Yoko e Karin è che Karin “aiutata” dalle istruzioni dell’insegnante, mentre Yoko deve “arrangiarsi da sola” come può. Seppure intuisce che pronunciare le parole non le serve per capirle meglio, seppure non faccia questo ne usi il dito per seguire il testo ne in giapponese ne in spagnolo, basta forse l’ansia, la paura della lingua bersaglio che le fa riprendere le “cattive abitudini” e non c’è niente e nessuno che la aiuti a correggersi. Allora, che l’insegnante dia istruzioni chiare di comportamento e un tempo “stressato” che obblighi lo studente e scegliere, che non lo faccia indugiare ci sembra una garanzia perché lo studente non cada in tentazione.
Abbiamo parlato di 4 minuti ma naturalmente il numero di minuti può variare. L’importante è che sia un numero che vieta allo studente di posarsi sull’attività, potremmo dire un numero per cui risulti impossibile anche a un madrelingua leggere tutto.
Parole, parole, parole… Quante parole nuove! Che succederà?
La classe “formata” non ha scelta! Ognuno deve ricorrere alle proprie capacità di inferenza, banca‑dati, griglie interpretative e via dicendo per crearsi in testa un’immagine del testo accettabile, coerente al suo interno. Dovrà produrre poi questa immagine di testo oralmente verificandola nel confronto con quella di un partner. Sarà un ottimo lavoro anche per lo sviluppo dell’interlingua! E il dizionario? Grande, piccolo, vecchio o aggiornato, traduttore improbabile ma sempre inseparabile fardello dello studente anche se non diligente? Ins: “Karin, alla fine, dopo l’ultima volta che hai letto ti sei sentita frustrata per non aver usato il dizionario?” Risponde: “assolutamente no. Volevo usare il dizionario, ma solo all’inizio …non so questa parola… è importante per tutto il testo… ma alla fine ho sentito che è possibile leggere senza dizionario e per esempio ho pensato che forse posso leggere un articolo di giornale anche senza dizionario… ma è un problema di fiducia in se stessi.” e poi: “leggere senza dizionario ti porta ad avere più concentrazione perché se usassi il dizionario vorrei sapere ogni parola ma non bisogna capire ogni parola per capire…”.
Per Yoko la musica è stata purtroppo tutt’altra. Dice di aver sottolineato venti parole. Prima complicazione: nel dizionario non sempre ha trovato le parole che cercava; in questo caso è ricorsa all’insegnante o ad un altro studente. Talvolta le è capitato di trovare più significati per una parola. Come ha scelto? “…dalla frase. No? da quello che dice. ” Brava Yoko! ! Qualche altra volta, non nel giorno della intervista in particolare, le è capitato di cercare la stessa parola più di una volta (il rischio di sfidare la propria memoria o la propria pedanteria!). Ma riporterò ora parti intere dell’intervista perché molto illuminanti per scoprire cose che la maggior parte degli insegnanti ignora. Farò poi alcune considerazioni.
Ins: “per te è faticoso usare il dizionario?”
Y: “sì. è molto pesante”
Ins: “non ti piace usare il dizionario?”
Y: “no… qualche volta sì… ma quando non c’è tempo, in 30 minuti devi… cercare molte parole. non mi piace.”
Ins: “quindi è un problema di tempo?”
Y: “…sì. di tempo.”
Ins: “quindi quando leggi fuori da qui, quando hai più tempo non è un problema. usare il dizionario non è un lavoro pesante?”
Y: “Ah! ma sì. perché… anche quando leggo a casa una rivista, un libro, preferisco non usare il dizionario, preferisco capire dal significato della frase.”
Ins: ” allora usare il dizionario è un blocco nella tua energia o è anche uno stimolo per continuare a leggere?”
Y: “qualche volta è un blocco e qualche volta è uno stimolo”
Ins: “quando è uno stimolo?”
Y: “quando voglio capire ciò che dice l’articolo… ma c’è una parola che non capisco, allora cerco sul dizionario il significato…
Ins: “quando è un blocco?”
Y: “in classe… perché non c’è tempo… per esempio oggi non ho potuto trovare tutte le parole perché non c’era tempo e adesso voglio sapere tutto l’articolo. ”
Ins: “… se l’insegnante avesse detto che avevate tutto il tempo che volevate, per te sarebbe stato meglio?”
Y: “in classe? no… perché questo lavoro posso farlo a casa. Non voglio perdere tempo a cercare parole nel dizionario in classe.
Ins: “pensi che quando tornerai a casa cercherai le altre parole di questo articolo?”
Y: “sì”
Ins: “eri stanca quando hai finito di leggere? ”
Y: “sì. ”
Ins: “senza dizionario pensi che avresti capito molto meno o poco meno di quello che hai capito?”
Y: “non molto meno. “
Ciò che mi colpisce è questo rapporto molto contraddittorio con il dizionario in questa modalità di lettura. Dalla testimonianza di Yoko il dizionario non risulta momento di arricchimento e strumento di maggiore trasparenza del testo ma motivo di grande pesantezza che si traduce in stanchezza. Questa sensazione è comune a tutta la classe Le affermazioni che fà sono però contraddittorie solo in apparenza: ciò che lei ei comunica è che in realtà lei è due tipi di lettrice diversi, a casa e a scuola. A casa c’è la libera scelta di quando, cosa e come leggere: quindi preferisce leggere senza dizionario e vi ricorre, mi sembra di capire, solo in casi estremi. Mentre sembra che il testo di lettura proposto in classe debba essere capito non soltanto perché deve essere raccontato (e questo raccontare è qualcosa di imposto del quale Yoko si libererebbe volentieri), ma perché è vissuto come “compito”. Il compito rimanda all’idèa di uno studente tradizionale, che legge in modo scolastico (e mi perdonino gli insegnanti che coraggiosamente hanno rinunciato a far leggere i loro studenti così già da un po’ ma il termine scolastico significa ancora qualcosa di ben preciso in questo contesto! ). Yoko sente di dover corrispondere ad un certo modello di lettrice: perché, altrimenti, non si è comportata in classe così come fà a casa? Perché prende il dizionario e fa dipendere da esso la sua soddisfazione quando normalmente non lo usa? Perché diventa così puntigliosa e masochista da decidere di voler continuare a casa una ricerca di parole che rischia di essere altrettanto improduttiva? Perché l’insegnante non è chi la può aiutare ma chi non ha spiegato niente dell’articolo? Perché è importante capire tutto l’articolo che ha ricevuto in classe e non tutto quello che ha scelto a casa? Secondo me l’articolo dato dall’insegnante acquista un valore simbolico, è più potente, deve essere “posseduto” tutto e per possederlo si è disposti a rendersi schiavi, del dizionario e del tempo.
Gli altri
Nella classe non formata l’insegnante apre e chiude l’attività. Per il resto del tempo è a disposizione degli studenti. Dalla testimonianza video si nota che gli studenti non ricorrono molto al suo aiuto, preferiscono parlare tra di loro. Anche dalla testimonianza di Yoko non appare un interlocutore privilegiato. L’insegnante compare legato all’insoddisfazione. Dice Yoko: “…terminiamo l’attività e l’insegnante non spiega tutto…”. Per risolvere i problemi utilizza, nell’ordine, il dizionario, I’insegnante, se non c’è l’insegnante un altro studente. Che significa chenon c’è? È in bagno? Sta parlando con un altro studente? Sta leggendo anche lui qualcosa? Insomma, non c ‘è fisicamente o sta facendo un’altra cosa che io, studente, reputo per me difficile interrompere o non ho la pazienza di aspettare si concluda? Lo disturbo? Quante volte posso chiamarlo? E se gli altri non lo fanno ho il coraggio di essere l’unico a farlo? Chi è l’altro studente a cui mi rivolgo per risolvere un problema? Uno che sento pari a me o no? È più bravo di me o meno? Lo uso come dizionario o posso anche dirgli: “ho capito la parola ma che significa questa frase?”. Con quanti studenti si può parlare? Qual è il confine tra il lavoro individuale e il lavoro con un altro? Posso scegliere con chi parlare? Il vicino, il dirimpettaio, quello che conosco di più, quello che parla la mia stessa lingua, quello più bravo…? A tutte queste domande lo studente deve dare una risposta. Deve inventare dentro di se quasi tutto. Deve fare i conti con la sua ansia del non capire, I’ansia del tempo vissuto come troppo o troppo poco, la sua capacità di concentrazione, la fatica del dizionario, il luogo classe e la relazione con gli altri. Non crea anche a voi un po’ di ansia? Su indicazione dell’insegnante poi, alla fine, deve raccontare ad un partner ciò che ha capito del testo. Chi sarà? Uno che ha capito tutto o uno a cui potrò dare qualcosa? Mi sentirò adeguato? Per Yoko questo incontro è motivo di stress negativo. Alla domanda se sia facile o difficile per lei leggere, risponde: “in casa più facile…sono più rilassata…credo che il sentire di dover raccontare tutto ad un altro studente alla fine dell’attività, sia per me un problema…sento che devo capire tutto, per raccontare”. Una consultazione finale può essere facilmente vissuta come una sorta di prova di ” quale prodotto sono riuscita a confezionare in questi 25 minuti”. Il livello di stress e di ansia che questo implica è molto alto, in fondo, lo studente non sente lo scopo di questo perché non seguirà un momento successivo di lettura e, quindi, di possibile verifica o rettifica delle sue ipotesi. È uno stress negativo perché è fine a se stesso.
Nella classe formata la modalità di lettura prevede invece momenti di consultazione alternati. Dice Karin che il parlare con un’altra persona l’ha aiutata a focalizzare meglio il senso dell’articolo. Durante la consultazione pensava alla coerenza di ciò che stava raccontando ” . . . quando parlo non voglio dire qualcosa di sbagliato.. . e mi correggo non nella correttezza grammaticale ma nel senso del significato…come ordinare tutte le cose che ho capito nel testo. “
Ins: “ti aiuta di più dover pensare e parlare o ricevere nuove informazioni?”
Kar: “sia parlare che ricevere nuove informazioni. “
Nella prima consultazione non c’è stato molto tempo ma Karin sa che sta parlando con uno studente che ha una competenza simile alla sua. La seconda volta: “…lui ha raccontato e io ho fatto delle piccole aggiunte del tipo ‑ ah! io ho capito che questo è ancora! ‑ non è correggere ma mettere qualcosa di più… ” La terza volta invece ha parlato con uno studente nuovo che non sapeva che cosa fare con il testo quindi ha usato l’occasione per riordinare i pensieri, cosa che lei sente molto motivante. Insomma l’incontro con un altro è una buona motivazione comunque. Il fatto di trovare conferme o no a ciò che si è letto dà grande soddisfazione, alimenta l’energia necessaria per una prossima lettura. Tant’è che sente la mancanza di uno specchio, dell’altro che faccia da tandem con lei quando legge da sola a casa. L’altro con cui parlo è dunque un compagno di avventura e talvolta potrò prendere, talvolta dare, costruire insieme delle ipotesi da verificare poi in una prossima lettura. Differentemente dalla modalità prima descritta, lo studente vivrà più di una esperienza di incontro, quindi si troverà ad essere su diversi piani di scambio. E se non troverà soddisfacente il primo scambio, può sempre sperare nel prossimo e così via.
Insomma mi sembra che anche in questa attività sia necessario che gli studenti sentano bene il loro posto, il posto dell’insegnante e quello degli altri studenti. Sia chiaro l’obiettivo e chiare tutte le istruzioni e gli strumenti da usare, maneggevoli e di possibile soddisfazione.
Nella modalità A, quella della classe non formata, mi sembra di poter dire che lo studente potrebbe vivere un carico troppo pesante all’interno di confini, a parte quello del tempo di durata complessiva dell’attività, non sempre ben delineati e percepibili. Ne risulta una studentessa che ha disperso molta energia, che non ha trovato il modo di ricaricarsi, che ha vissuto degli stress gratuiti, che non è soddisfatta, che è vincolata, dal modello di lettrice che ha imparato ad essere, a poco movimento nella lingua bersaglio. Paradossalmente la modalità che sembra lasciare più spazio di autogestione allo studente risulta, proprio per lo studente, meno efficace. È che lo studente per essere autonomo deve anche riuscire ad impadronirsi di strumenti che gli permettano di usare nella direzione e con i risultati migliori le proprie energie.
Mi sembra che nella modalità di lettura proposta alla classe “formata” si trovino soluzioni che soddisfano meglio tale esigenza e che le domande sui ruoli e funzioni abbiano una risposta più chiara. Il tempo totale è articolato in due momenti: lettura veloce con modalità date e spazi di consultazione. L’insegnante fa il direttore d’orchestra, lo studente sente e balla il ritmo, da solo, poi in coppia, secondo una coreografia. L’energia si canalizza, lo stress della lettura veloce è contenuto a quei pochi minuti e poi la consultazione lo mette in un’altra scena. Non abbiamo la sensazione che dopo questa attività lo studente sia più fiacco, anzi, sembrano liberarsi delle energie non sempre evidenti. Si impara ad imitare sempre più un lettore capace, a sentire che possiamo addirittura, qualche volta, anche fare a meno del dizionario ‑ coperta di Linus, nella convinzione che seppure non diventeremo come lui faremo senz’altro qualche progresso in quella direzione e ci allontaneremo dall’immobilismo a cui spesso ci hanno allenato doviziosamente. E l’insegnante è un po’ colui che rende questa attività, così facilmente destinata ad essere pesante, un’attività sostenibile. Contiene la possibile ansia delle varie fasi in un tempo “tollerabile” dove non c’è spazio per cadute di tensione irreparabili e black‑out.