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La lingua è lassù e io ci vado (Lettura analitica)

Il quarto Seminario si è aperto subito con le diverse Letture analitiche proposte da alcuni insegnanti della Dilit a classi di francese (principianti), tedesco (principianti), italiano (principianti/intermedi) e inglese (principianti/intermedi). In ogni classe i partecipanti al Seminario si sono ritrovati ad essere studenti o osservatori, seguendo, in realtà, due attività in una: una Lettura autentica e, quindi, la Lettura analitica, che in genere vengono proposte nella stessa sequenza ma in momenti ben distinti.

Nella classe di inglese, ad esempio, i 5 “studenti” hanno avuto 5 minuti per leggere, quindi la possibilità di un confronto con i compagni (un gruppo di due e uno di tre), altri 5 minuti di lettura, ancora un confronto, poi un cambio di partner, il confronto con il nuovo compagno, l’ultima lettura (questa volta solo 3 minuti) seguita dall’ultima consultazione sulle “novità”.

Conclusa la Lettura autentica l’insegnante (Dodger Scicluna) ha proposto direttamente l’analisi, guidando la classe con un’istruzione per volta. La prima: cercare nel testo e trascrivere le forme verbali al simple past; qualcuno ha chiesto conferma su quale fosse il simple past, dopodiché il lavoro è andato avanti con momenti individuali e consultazioni in gruppo. La seconda istruzione è stata quella di scrivere l’infinito di ogni verbo trovato; anche durante questa fase l’insegnante è stato interpellato diverse volte dai due gruppi per sciogliere i dubbi, solo in parte risolti durante il lavoro di gruppo. Per concludere questa fase, I’insegnante, rivolgendosi a tutti e due i gruppi, ha chiesto l’infinito dei verbi irregolari, scrivendone alcuni alla lavagna per maggior chiarezza.

Per mancanza di tempo, la classe non ha potuto lavorare su quella che sarebbe stata la terza istruzione: verificare nel contesto in quali casi fosse usato il simple past.

Dopo le lezioni, il Seminario prevedeva il primo momento di discussione ristretta: piccoli gruppi di 5 persone per scambiare impressioni e pareri su ciò che si era appena concluso. In ogni gruppo ciascuno proveniva da esperienze diverse per permettere uno scambio più ricco di spunti: in Aula A, ad esempio, ci siamo ritrovate in 3 “studentesse” (dalle classi di italiano, francese e inglese) e due “osservatrici” (dalle classi di italiano tedesco).

Si è parlato innanzitutto della sorpresa di molti “studenti”, nelle diverse classi, nel ritrovarsi di fronte ad un testo, anche lungo, nella lingua meno conosciuta. Nella maggioranza dei casi, ad un primo blocco, era seguita la soddisfazione nel vedere di poter comunque eseguire i compiti richiesti dall’insegnante, soddisfazione condivisa anche dalle studentesse presenti nel nostro gruppo.

In particolare si era apprezzato che gli insegnanti indicassero passo passo i diversi compiti e non tutti insieme: forse per l’insegnante è più faticoso, diceva qualcuno, ma in questo modo l’attenzione dello studente è sempre stimolata senza che venga sentito come impossibile o irraggiungibile l’obiettivo proposto.

Solo in un secondo momento ci si è rese conto di aver assistito ad esercizi simili solo in parte: nella classe di tedesco, infatti, si era fatta un’analisi funzionale che non era stata preceduta da nessun tipo di analisi morfologica. Così si è parlato a lungo dell’opportunità o meno di organizzare gli esercizi da proporre in classe secondo una certa gradualità: da una parte si vedeva un’analisi di tipo funzionale come successiva ad altre attività definite più “tradizionali”, mentre in questo caso non c’era stata nessuna tappa precedente o successiva: dall’altra si faceva notare il rischio in cui si incorre nel far dipendere un esercizio funzionale o semantico da uno morfologico. È molto meglio, diceva un’insegnante di italiano in Catalogna, distinguere nettamente le due cose per evitare di cadere nel classico errore di identificare, ad esempio, l’imperativo con l’ordine. D’altra parte avevamo assistito a lezioni che normalmente fanno parte di un corso, che prevedono lezioni precedenti e altre successive; non si potrebbe pensare ad analisi, come quelle proposte, al di fuori di un contesto in cui sia possibile, eventualmente, far emergere da parte degli studenti i problemi e i dubbi irrisolti, senza per questo dover fare delle vere e proprie verifiche finali.

Si è anche detto che spesso è più una difficoltà dell’insegnante preparare esercizi o analisi che prescindano dalla morfologia; così come lo è promuovere nello studente un atteggiamento attivo, la consapevolezza delle proprie risorse nell’avvicinarsi ad una lingua altra, la conoscenza di quella “Enciclopedia” personale che permette poi di fare ipotesi e inferenze. Certo non possiamo pretendere dai nostri studenti la piena consapevolezza: anche a noi, un’ora prima studentesse, era successo di scoprire risorse nascoste e conoscenze dimenticate. Alla fine forse eravamo state più soddisfatte per questa scoperta che per aver fatto tutti i compiti richiesti.

E per finire una metafora: la lingua come una vetta. Ed è necessario che lo studente in prima persona dica: “la lingua è lassù e io ci vado” e un insegnante troppo materno e apprensivo potrebbe bloccare questa scalata. Ma come essere, noi, delle buone guide?