Il gioco come lavoro, il lavoro come gioco
La discussione che è seguita alla lezione/dimostrazione su un possibile modo di fare grammatica, attraverso il Puzzle linguistico (o Lingua puzzle) ha fatto emergere alcuni punti di fondo che qualsiasi insegnante deve affrontare se vuole proporre agli studenti una attività analitica come questa.
1. In base a quali criteri viene scelto il brano.
Le risposte dei partecipanti al gruppo sono state diverse: qualcuno ha ipotizzato la presenza nel testo di alcuni punti grammaticalmente interessanti per l’insegnante; qualcun altro, avvicinandosi di più alla realtà della lezione fatta da Christopher Humphris, ha osservato che nel pezzo trascritto c’era “un po’ di tutto” e che quindi la scelta era sul testo complessivo.
2. Quando comincia il lavoro grammaticale dello studente.
Su questo punto C. H. è stato molto esplicito nell’affermare che fonetica e grammatica non sono per lui momenti separati in quanto la capacità di riconoscere un fonema è grammatica. Dunque il lavoro analitico dello studente inizia dal primo momento in cui comincia ad ascoltare la registrazione proseguendo poi attraverso la riflessione ed il raffronto con il testo prodotto dagli altri in cui deve analizzare i diversi “prodotti parziali”, integrarli, rivederli alla luce del confronto e della logica, tenendo in considerazione l’interazione tra tutto il contesto extralinguistico ed il testo.
3. Qual è il ruolo dell’insegnante
Dopo questa prima fase in cui gli studenti analizzano da soli il testo – il che non implica, come è stato sottolineato, una sorta di obbligo per l’insegnante di non rispondere ad eventuali domande di un gruppo che possono peraltro diventare momento di riflessione collettiva nel caso in cui il problema interessi tutti – viene una seconda fase del lavoro nella quale dopo che gli studenti, come è stato notato da qualcuno, sono arrivati al limite delle possibilità analitiche personali e collettive è l’insegnante a condurre il gioco. A questo punto come diverse persone hanno osservato, il difficile è mantenere viva l’attenzione e la tensione cognitiva degli studenti.
Per ottenere questo risultato occorre, ha sottolineato C. H.:
a) mandare un messaggio preciso, anche se non esplicitato da parte dell’insegnante: ti chiedo di sottopormi un problema che hai riguardo al tuo testo, non è mia intenzione correggere quello che tu studente hai prodotto;
b) ributtare alla classe il problema attraverso domande.
Dunque l’insegnante indirizza, stimola, induce, accoglie e rigetta le ipotesi e le analisi che gli studenti continuano ad elaborare collettivamente in un gioco speculare nel quale, qualcuno ha osservato, non c’è spazio per un maternage, da parte dell’insegnante, che inseguendo l’ansia dello studente di ricevere la risposta al dubbio, anticipi prima del tempo fisiologico “il parto”, la soluzione del problema.
Chi di noi non ha mai sentito un adulto che si rivolge ad un bambino con aria seriosa affermando con sicurezza degna di migliore causa: “Questo non è un gioco, è una cosa seria!”. Bene, devo dire che oggi come oggi provo un certo fastidio nell’ascoltare affermazioni di questo genere. Cuore femminile in regressione totale che palpita vedendo un bambino giocare? Che lo pensiate o no vi chiedo solo di soffermarvi su due piccoli particolari: che i bambini imparano a vivere attraverso il gioco, che noi adulti, troppo spesso, perdiamo il gusto delle cose che facciamo, lavoro compreso, perché non riusciamo a viverle in modo giocoso. Il nostro mondo adulto è costellato di “dover essere” ma il conoscere e l’imparare presuppongono, almeno dal mio punto di vista un “poter essere”.
Non sono stata un’osservatrice neutra: avrei desiderato, a distanza di qualche giorno così vivo quella discussione pure interessante e feconda discutere di più su un punto così importante come quello dell’imparare come gioco creativo. Un’attività analitica condotta nei termini e nei modi in cui l’ha condotta C. H., consentiva, forse anche presupponeva, una riflessione di questo genere. Scrive Schoemberg: “È importante che la nostra capacità creativa riproduca enigmi in base a quelli che ci circondano affinché la nostra anima tenti non di risolverli, ma di decifrarli. Ciò che noi otteniamo in questo modo non deve essere la soluzione, ma un metodo senza valore intrinseco che offre materiali per creare nuovi enigmi”.