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Discussione su una lezione dimostrativa di Puzzle linguistico

Le prime parole, rigorosamente in tedesco, creano subito un leggero scompiglio tra noi falsi principianti. Anche se incomprese hanno però il potere di attirare l’attenzione per consentire l’inizio della lezione dimostrativa di Puzzle linguistico.

Siamo otto insegnanti, quattro esterni e quattro della Dilit, che “giochiamo” a fare gli studenti, più otto osservatori.

Hedi, che in questo caso mantiene il suo ruolo d’insegnante di tedesco, cancella il disagio tornando momentaneamente all’italiano. Ritiene che quello che sta per dire sia di particolare importanza e vuole assicurarsi che tutti capiscano. Ci avverte che, generalmente, I’attività che svolgeremo è preceduta da un Ascolto autentico, ma per motivi logistici noi passeremo direttamente a sentire una piccola parte di questo ascolto per un lavoro analitico. Dopo di che ritorna a un tedesco lento e ben articolato per spiegarci le istruzioni per l’esercizio. Con l’ausilio di tre disegni alla lavagna tutto è chiaro per tutti.

Prima Hedi disegna un puzzle appena iniziato alla lavagna e domanda che cosa rappresenta. Qualcuno, probabilmente della Dilit, risponde: “un puzzle”. In seguito Hedi ci consiglia di non lavorare partendo da un unico punto iniziale e proseguendo in ordine, bensì di partire da tanti punti diversi in avanti e indietro sviluppando contemporaneamente i vari segmenti di discorso che si è riusciti ad identificare.

Ascoltiamo una prima volta senza scrivere, a titolo di orientamento; quindi a ognuno di noi viene consegnato un foglio con la prima e l’ultima parola del dialogo diviso in tre battute. Finalmente cominciamo a tentare di trascrivere la registrazione.

Quando Hedi si accorge che ulteriori ascolti non sarebbero d’alcun aiuto (dopo una ventina di volte) ci dispone in coppie, ci invita a confrontare i nostri risultati e a rispettare la coerenza logica e grammaticale. Possiamo chiederle soltanto il significato di eventuali vocaboli identificati a orecchio.

Come la maggior parte dei partecipanti, riesco a trascrivere meno del 50% della conversazione e non ne ho ancora ben chiaro il senso generale. Alle mie spalle sento uno degli osservatori esprimere stupore riguardo alla difficoltà della registrazione, considerata troppo elevata per il nostro livello.

Con l’aiuto della mia compagna di turno formulo diverse ipotesi possibili, frutto soprattutto dell’immaginazione e ritocco qualche dettaglio secondo le nostre scarse conoscenze grammaticali. Il lavoro procede lento ma inesorabile.

Ascoltiamo il nastro e cambiamo coppia altre due volte. Riscriviamo il testo ormai illeggibile. A questo punto Hedi chiede a uno di noi di esporre uno dei suoi problemi. Deve iniziare dall’ultimo nell’ordine per evitare una correzione sistematica dell’intero puzzle linguistico.

La o le parole mancanti vengono delimitate alla lavagna da due sbarre verticali. Hedi aggiunge ai lati quello che secondo lo studente precede e segue il “vuoto”, per avere un minimo di contesto su cui lavorare.

bin ich | _ _ _ _ _ _ _| Richtung RomNe sottolinea unicamente le parti corrette e ne simbolizza le parole mancanti con dei trattini. Ascoltiamo ancora solo il frammento in questione. Poi, facendo leva sul contenuto stesso del dialogo, ci porta a ricostruire la frase originale. Questo non sempre è possibile, perché vari vocaboli o espressioni sono a noi totalmente sconosciuti. In tal caso l’insegnante ci fornisce il termine esatto dopo averne spiegato, sempre in tedesco, il contenuto.

Finito il lavoro sono stanca ma soddisfatta e, insieme ad altri otto colleghi che hanno assistito alla lezione in qualità di osservatori, cominciamo la discussione.

Renata dà subito sfogo al suo senso di frustrazione. Lei ha copiato con diligenza la correzione fatta alla lavagna, ma nonostante la sua buona volontà non è riuscita ad individuare foneticamente l’espressione “erst mal” e soprattutto non ne conosce tuttora il significato. Infatti non riusciva a seguire le indicazioni in tedesco date dall’insegnante per condurci alla soluzione.

Un’altra collega si unisce allo sfogo facendoci sapere che gran parte di ciò che ha scritto era dovuto alle consultazioni con i compagni. Afferma con sconforto di non aver colto nessuna forma verbale. Dodger, nostro insegnante d’inglese, cerca di rincuorarla confessando che lui non sospettava neanche che una tale espressione, “erst mal”, esistesse. Adesso è contento di conoscerla e spera di poterla riconoscere una prossima volta.

Una spettatrice suggerisce di far riascoltare l’enunciato a rallentatore per rendere possibile l’individuazione fonetica. Dodger replica che poterlo “sentire” grazie a un simile accorgimento non gli recherebbe nessun vantaggio per quanto riguarda il progresso della sua capacità di comprensione.

Aldo sottolinea quanto sia importante avere ben chiari gli obiettivi di un’attività linguistica. Il Puzzle linguistico ha ben poco da condividere, per esempio, con il tradizionale dettato, che è principalmente un esercizio d’ortografia. Virgilio rincara la dose affermando che più “buchi” ci sono nelle nostre trascrizioni, meglio è.

Stefano decide di inquadrare il problema in modo organico e divide il suo intervento in tre punti:

  1. L’esercizio analitico vero e proprio inizia al termine della serie di ascolti e consiste nel riflettere su quegli spazi lasciati vuoti.
  2. Anche se lo studente non è in grado di sentire qualche segmento di un enunciato, si familiarizza però con una “cornice fonetica” che forse in futuro potrà identificare ed associare al segmento non udito. In tal modo avrà superato una nuova tappa verso una maggiore capacità di comprensione.
  3. Può essere consolante l’esperimento effettuato dal linguista Federico Albani Leoni. Lo studioso aveva chiesto a dei parlanti nativi di ascoltare delle parole isolate foneticamente, le quali sono risultate essere incomprensibili. Dopo aver allargato il contesto, invece, i termini oscuri sono stati riconosciuti. Evidentemente il riconoscimento non si fondava sull’orecchio degli ascoltatori, ma sulla loro conoscenza enciclopedica, le loro capacità d’esclusione e di fare ipotesi, ecc.

Renata controbatte che il suo unico appiglio era proprio l’orecchio, essendo il suo livello di conoscenza della lingua tedesca molto basso. Hedi ammette che il livello di questa classe fuori dall’ordinario, che si è trovata di fronte per la prima volta, forse non era abbastanza omogeneo e quindi alcuni studenti possono essersi trovati più in difficoltà di altri.

Tutti, in definitiva, sembrano rimanere sulle loro posizioni. La discussione si conclude con alcune rapide precisazioni.

Luigi fa notare come nella grafica utilizzata alla lavagna per le correzioni le parti sottolineate siano, contrariamente all’uso scolastico tradizionale, quelle corrette e non quelle sbagliate, proprio perché quello che interessa non sono gli elementi già acquisiti, ma quelli mancanti o comunque problematici.

Infine Hedi ci distribuisce dei fogli che avrebbero potuto accelerare l’esecuzione del Puzzle linguistico. In esso alcune parti della conversazione sono già scritte. Si tratta di quelle parole che, durante i suoi corsi, si sono rivelate facilmente comprensibili da parte della maggioranza degli studenti. I fogli permettono di diminuire il tempo dedicato alla capacità dell’udito per aumentare quello consacrato a un vero lavoro d’analisi.