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Alcuni livelli di analisi

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con la collaborazione di Vittoria Gallo (nella stesura definitiva destinata alla stampa) e di Rita Luzi Catizone e Piero Catizone (nella preparazione).

Nel tour de force da me richiesto agli infaticabili colleghi che hanno partecipato al Seminario ho proposto sullo stesso testo (riportato alla fine di questa relazione) tre tipi diversi di lavoro che richiedevano quattro livelli di analisi.

Primo lavoro (diviso in due fasi)

Fase A: Identificazione di tutti i condizionali contenuti nel testo.

Dunque un’analisi di tipo morfosintattico e non solo morfologico in quanto anche il contesto era rilevante per decidere se un elemento fosse parte o no delle forme che si cercavano: pensate all’ambivalenza di una forma come “sarebbe stato chiuso” dove “chiuso” può essere tanto il participio passato del condizionale composto del passivo di “chiudere”, sia aggettivo, a seconda del contesto.

Una volta che i miei “studenti” avevano finito la loro ricerca ho richiesto, a persone diverse, di dirmi gli esempi trovati e ho scritto alla lavagna tutte le forme del condizionale che erano state individuate comprese quelle dubbie. A questo punto ho aperto la discussione sui tre casi sui quali non c’era accordo:

  1. sarei dovuto partire
  2. avrei dovuto comportarmi
  3. sarebbe stato assolto

Nei primi due casi il problema consisteva nel decidere se “partire” e “comportarmi” facessero o no parte del condizionale. Il dibattito che è seguito alla mia domanda sul perché i due infiniti ne fossero parte è stato vivace. Ecco alcune delle ipotesi:

  1. ne fanno parte perché i modali devono avere qualcosa dopo;
  2. si tratta di un gruppo verbale;
  3. soltanto “sarei” è condizionale.

Alla fine di una appassionata e appassionante discussione ho dato la mia soluzione:

  1. Il fatto che il modale sia seguito da un infinito è una regola di comportamento del modale, ma non assoluta: Es: “avrei dovuto ma non l’ho fatto”;
  2. “partire” e “comportarmi” formano, entro certi limiti, certamente un gruppo verbale con il condizionale che li precede ma dal punto di vista morfosintattico sono due infiniti, altrimenti si potrebbe affermare che ad esempio “avrei voluto potergli dire che…” sia un blocco unico.
  3. anche se “sarei” è portatore della marca del condizionale, non posso separarlo da “dovuto” in quanto ausiliare di una forma composta.

Il terzo caso (”sarebbe stato assolto”) è stato sinteticamente risolto da un lapidario ed incontrovertibile: “È un passivo” su cui tutti, anche quelli di noi più problematici ed eterodossi, ci siamo trovati d’accordo.

Dunque per quanto riguarda questo livello di analisi (“morfosintattico”) la mia modalità di intervento come insegnante è consistita nel chiedere esplicitamente le chiavi arrivando poi, attraverso una transazione, ad una definizione.

Fase B: Per ognuno dei 5 casi trovati spiegare perché viene usato il condizionale

Questo livello di analisi può essere etichettato sotto diverse categorie: semantico-funzionale (come qualcuno ha proposto), pragmatico, semantico, funzionale. In questo caso le etichette diventano molto più labili perché da questo punto in poi potremmo dire che tutto è “funzionale”. Al nostro interno, alla Dilit, la chiameremmo “una lettura analitica di tipo semantico oppure di ricerca dell’uso” in quanto utilizziamo la definizione di “funzionale” per coprire un’altra classe di casi ma è un fatto puramente convenzionale non un obbligo derivante da una legge divina.

Una volta che tutte le coppie hanno finito ho chiesto ad uno “studente” di scegliere uno dei 5 esempi e di darci la spiegazione che aveva elaborato insieme alla persona con cui aveva lavorato. E così per tutti gli altri quattro casi.

1) “avrei dovuto”

  1. è un’ipotetica del 3° tipo: è una cosa che avrei dovuto fare ma che non ho fatto;
  2. se fosse stato “come dovevo comportarmi” la risposta sarebbe stata chiara;
  3. è il passato di una domanda. Mi chiesi come mi sarei comportato;
  4. lui è convinto di essersi comportato bene, qualcuno mette in dubbio questo fatto, lui chiede spiegazioni non dando però per scontato che l’altro abbia ragione, per questo usa il condizionale;
  5. è come se lui stesse facendo direttamente la domanda al capitano dei carabinieri per cui c’è un momento temporale precedente (il ritrovamento della pistola) ed uno successivo, quello in cui lui chiede come si sarebbe dovuto comportare dopo aver trovato l’arma;
  6. è come se lui dicesse: “se avessi voluto fare la cosa giusta come avrei dovuto comportarmi?”.

2) “sarei dovuto partire”

  1. è un futuro nel passato;
  2. è un futuro di possibilità;
  3. è una conseguenza di “se tutto fosse andato bene”.

3) “sarebbe stato assolto”

  1. posteriorità rispetto al passato;
  2. anche qui è la conseguenza di una ipotesi: se fosse stato giudicato sarebbe stato assolto.

Una sostanziale differenza tra la prima e questa seconda fase dell’analisi consiste nel differente modo in cui io, come insegnante, mi sono comportato rispetto alle soluzioni: le chiavi non erano univoche e, per quanto alcune fossero giuste ed altre sbagliate, il margine di discutibilità nell’analisi semantica è molto più ampio di quanto non lo sia in una analisi morfosintattica, per cui alla fine di ogni discussione su ciascun caso io ho fornito la mia versione ma precisando che ognuno poteva utilizzarlo nel modo che gli sembrava più conveniente.

Secondo lavoro

Ho chiesto di numerare le righe della lettera. Quindi ho esplicitato l’obiettivo della seconda attività analitica: segnalare le espressioni usate per esprimere ironia, chiarendo che con l’uso del termine “espressioni” intendevo una singola parola, un sintagma nominale, proposizioni, frasi, periodi, sequenze di periodi, interi capoversi. Si trattava dunque di compiere quella che alla Dilit chiamiamo convenzionalmente una analisi funzionale. Per motivi di orario (era già passata più di un’ora dall’inizio della mia “relazione”) dopo alcuni minuti ho proposto di immaginare di aver già lavorato circa mezz’ora (questo sarebbe stato in una classe vera il tempo che avrei dato per questo attività). Dopodiché modificando ancora una volta la mia modalità di intervento come insegnante ho chiarito quale era la mia funzione: rispondere alle loro domande se ce ne fossero state.

Naturalmente da una platea di “studenti” così particolari non potevano che sorgere domande altrettanto particolari. E così se alcuni hanno scelto di proporre quesiti il cui contenuto rispettava la mia richiesta e che io ho rilanciato agli altri per poi discuterne tutti insieme, altri mi hanno garbatamente ma fermamente “imposto” una discussione sui criteri operativi da loro adottati per compiere l’attività. Dopo aver chiarito che in una vera lezione non avrei accettato in quella fase di rispondere ad una tale richiesta, ma che lo avrei fatto soltanto alla fine della lezione stessa chiedendo agli studenti se avevano domande da farmi, ho deciso di dire loro la mia opinione sui criteri da loro adottati. La mia opinione, appunto, non la verità assoluta.

Come è facile immaginare, per una attività di questo tipo (così per molte attività funzionalila chiave è aperta, cioè non si arriva mai, come ho alla fine ribadito, ad individuare un insieme definito di voci che soddisfano univocamente la richiesta inizialmente fatta: sarà sempre un insieme “sfrangiato”. Arrivare ad una decisione finale è impossibile: quello che per me è ironico per un’altra persona può non esserlo e viceversa.

Debbo precisare che se, alla fine dell’attività, quando io mi sono reso disponibile a rispondere ad eventuali domande, queste non fossero arrivate avrei chiuso l’attività stessa senza forzare ulteriormente la situazione.

Terzo lavoro

La terza attività era ai limiti della Lettura analitica (essendo in realtà un esempio di quello che noi usualmente denominiamo Esercizio scritto) e ai limiti dell’energia dei miei colleghi che hanno coraggiosamente sopportato una maratona a cui non avrei mai sottoposto degli studenti veri: ognuno di questi tre tipi di lavoro essendo proponibile solo in giornate diverse. Ho deciso quindi di raccontare come avrei svolto questa attività:

1) L’articolo viene riproposto ribattuto a macchina e privato di tutti i segni di interpunzione salvo i ? ! e “. Il lavoro consiste nel completare il testo con gli altri segni di interpunzione.

2) Una volta completato l’esercizio si riprende l’originale e si confrontano i due testi seguendo il seguente tracciato che scrivo alla lavagna e che deve essere percorso per ciascun segno di interpunzione.

Come avrei svolto l’attività?

Prima di iniziare il lavoro di confronto con l’originale da svolgere nel modo sopradescritto avrei stabilito la quantità massima di tempo che intendevo dedicare a questa attività e avrei detto che, durante questo periodo che si sarebbe aggirato tra i 30 ed i 45 minuti, ogni gruppo avrebbe potuto chiamarmi quando avesse voluto per chiarimenti o domande. Dunque anche in questo caso – come durante il lavoro funzionale avrei lasciato agli studenti la libertà e la responsabilità di decidere. Finito il tempo prestabilito avrei chiuso l’attività.

Questo terzo lavoro introduce una divaricazione rispetto ai primi due in quanto non viene più presentato il testo originale bensì un testo manipolato ed agli studenti non viene più chiesto di rilevare qualcosa che c’è nel testo ma di provare a reintegrare qualcosa che è stato tolto da esso.

Conclusione

Alla fine della dimostrazione ho evidenziato e reso espliciti 4 parametri che diversificavano le attività che avevamo svolto:

1° parametro: livelli di analisi:
Morfosintattico, semantico, funzionale, grafico.

2° parametro: tipi di operazione sul testo:
Analisi del testo originale (Lettura analitica) nelle prime due attività. Reintegrazione di un testo manipolato (Esercizio scritto) nella terza.

3° parametro: tipi di soluzioni:
Chiave chiusa: nell’analisi morfosintattica.
Chiave parzialmente aperta: nell’analisi semantica (vista la non univocità delle risposte).
Chiave aperta: nell’analisi funzionale (in quanto molte delle argomentazioni che motivano le differenti scelte hanno pari dignità e valore).

4° parametro: modalità di intervento dell’insegnante:
Prima fase della prima attività: ho esplicitato le chiavi.

Seconda fase della prima attività: abbiamo discusso tutti i casi pur non arrivando a risposte definitive (in quanto a volte è difficile arrivarci).

Secondo attività: il comportamento cambia. Non si discute tutto ma solo quello che gli studenti decidono di discutere. Posso rispondere direttamente o rilanciare la domanda a tutta la classe. Se le domande non ci sono si chiude subito.

Terza attività: sono sempre gli studenti a decidere se fare o non le domande, io decido sul tempo da dedicare all’attività. La mia modalità d’intervento è quella che privilegia, in questo caso più che negli altri, la dimensione individuale del problema che lo studente può avere. Discuto con singoli gruppi non con l’intera classe.