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La Ricostruzione di conversazione: aspetti relazionali

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Per Ricostruzione di conversazione si intende un’attività atta a presentare agli studenti un brano di lingua parlata, brano che generalmente viene estratto da un più esteso dialogo tra uno o più interlocutori.

Dovendo dare un esempio grafico la vedo in questo modo:

Il titolo di questo intervento prevede l’analisi degli aspetti relazionali. Ma cosa sono gli aspetti relazionali?

Parlare di aspetti relazionali significa per noi riflettere sul rapporto che c’è tra due persone che interagiscono, più precisamente riflettere sul rapporto tra le due persone che hanno prodotto il brano di lingua parlata che sarà oggetto della ricostruzione.

Quindi gli aspetti relazionali sono tutti quegli elementi che in qualche modo ci rappresentano la natura del rapporto tra le due persone.

La proposta di indagare gli aspetti relazionali nasce:

  1. dalla convinzione che in molti casi una prospettiva testuale unicamente linguistica non ci è sufficiente per poter ricostruire il brano scelto;
  2. dalla constatazione che lavorando con brani di lingua autentica giungiamo a contatto con elementi extra linguistici che in molti casi diventano pertinenti per strutturare la forma dell’enunciato, in questo caso la relazione tra i due parlanti;
  3. dalla convinzione che dobbiamo vedere il testo come il prodotto di un’interazione comunicativa;
  4. dalla convinzione che dobbiamo avvicinarci ad una conversazione come ad un tutto organico. Quanto più la nostra analisi e la nostra preparazione si indirizza al “tutto” tanto più il particolare è accessibile. E questo inteso in senso gestaltico per cui l’essenza di un rapporto, di una relazione, è qualcosa di più e di diverso dalla somma di tutti gli atteggiamenti, i comportamenti, le aspettative; le proprietà del tutto non sono il risultato della somma delle proprietà delle sue parti.

Ingredienti base di una relazione

Prima di tutto il numero. Bisogna essere minimo in due: una diade. Poi c’è sempre il contesto che fa da terzo punto rispetto a una situazione che già definisce lo stare insieme. In secondo luogo che ci sia un codice condiviso. Con codice condiviso non si intende necessariamente la stessa lingua. Tra me e un cane ci può essere comunicazione perché appunto c’è un codice che abbiamo in comune, che può essere interpretabile e traducibile sia dall’uno che dall’altro.

Il contesto è già un aspetto relazionale. Per molto tempo il contesto è stato trattato, e a volte lo si considera tuttora, come unicamente lo spazio fisico in cui avviene una comunicazione. Ad esempio se abbiamo una registrazione in un negozio, il negozio stesso non è il contesto, ma uno degli elementi che caratterizzano il contesto. Gli elementi fisici del contesto sono fondamentali in quanto già ci danno una serie di regole generali socioculturali che mettono dei limiti rispetto a come ci si deve comportare in quel determinato luogo. Ecco che il contesto tende a restringere il grado di discrezionalità che i soggetti hanno nel definire la relazione.

Un contesto, in linea generale, si costituisce entro una situazione ben precisa che comporta una finalità che presuppone una certa distribuzione dei ruoli e che sollecita un certo tipo di aspettative e disposizioni.

Tornando al negozio di cui parlavo prima abbiamo:

  • una situazione precisa: il negozio
  • delle finalità: comprare, vendere
  • dei ruoli: cliente, commesso
  • delle aspettative: io come cliente mi aspetto che il commesso faccia una serie di mosse per vendere, il commesso si aspetta da me una
    serie di mosse atte a comprare.

Esiste un doppio livello contestuale, da una parte un livello sovrapersonale definito dalle regole, e dall’altra un contesto personale interno all’individuo, che deriva da rapporti passati interiorizzati come modelli di relazione. Dalla collusione dei contesti personali nasce poi il contesto relazionale più profondo. L’importanza del contesto risiede nel fatto che qualsiasi fenomeno resta inspiegabile finché il campo di osservazione non è abbastanza ampio da includere il contesto in cui il fenomeno si verifica. Un messaggio prende un significato in riferimento al contesto di appartenenza, prive di contesto le parole e le azioni non hanno alcun significato.

Un primo momento di analisi è quello di domandarci “qual è il contesto o la serie di contesti in cui è stata prodotta questa conversazione?”.

Un secondo aspetto relazionale è il contenuto, l’argomento, il “di cosa parliamo”. Sul piano concettuale possiamo considerare una conversazione come un succedersi di focus condivisi nel corso della quale i partecipanti si scambiano dei significati. Il contenuto ha grossi aspetti relazionali nel senso che può essere utilizzato per definire una relazione, a prescindere dal significato delle parole: se io metto dentro dei contenuti molto personali questo già definisce la relazione come di disponibilità ad entrare in un rapporto più intimo. Il contenuto può essere inteso come la creazione di uno spazio interazionale, spazio in cui sono agiti gli scambi interpersonali, un territorio in cui si entra per fare rapporto e da cui si esce per rientrare nel proprio spazio personale. All’inizio di una relazione c’è una sorta di contrattazione per stabilire qual è la distanza che due persone possono avere rispetto alla relazione, cioè quanto io posso entrare a chiederti certe cose fin dove posso arrivare. Specialmente fra due persone che non si conoscono c’è un gatteggiamento iniziale, dove possiamo arrivare, quanto io posso essere intrusivo, e io posso essere intrusivo nella misura in cui tu mi dai la possibilità di essere intrusivo e viceversa. Entrare in relazione con qualcuno, stabilire un rapporto, significa, nel suo aspetto essenziale, scegliere delle parti di sé da mettere in gioco nel rapporto. Il parlare di qualcosa che riguarda la propria vita personale, familiare, può essere il movimento che approfondisce il livello di intimità tra le due persone. Se uno comincia a parlare di “casa sua” dice delle cose che sono più pertinenti alla sua sfera emotiva. Quindi possiamo affermare che il tema, il contenuto, ci sta ad indicare qualcosa del livello di intensità della relazione, ed è un aspetto relazionale.

Questo potrebbe essere un secondo momento di analisi, cioè domandarsi: “quali parti di sé queste persone hanno scelto in questa conversazione?”.

Insomma…

Uno degli obbiettivi da raggiungere è quello per cui i nostri studenti riescano non solo a conoscere e ad usare forme verbali, pronominali ecc., ma che nascano anche ad appropriarsi di parti della lingua che svolgono una funzione ben precisa in una conversazione tra due persone di madre lingua, e che hanno anche la caratteristica di assumere significati diversi, a seconda del contesto in cui sono inserite. Una di queste parole è “insomma”.

Vediamo alcuni esempi:

1)
vado al banco cancello Leni e scrivo Anna che è il nome di mia madre, dico mo’ se non esiste manco mia madre è il massimo mia madre per fortuna esisteva, metti che pure mia madre si chiamava con un diminutivo strano io mi suicidavo lì, non sapevo chi ero, di chi ero figlia, era la fine. Poi sono tornata a casa e ho detto: “mamma, ma dimmi la verità, io come mi chiamo?”, insomma allora mia madre mi ha spiegato questa storia.

2)
A. adesso stai..
B. adesso sì, stiamo a Roma da 15/16 anni, credo, e il problema… cioè ci siamo trasferiti perché c’era il problema delle scuole e abbiamo un po’ girato perché mio padre lavora in una ditta di costruzioni, quindi è sempre… cioè ha sempre girato, e adesso sono praticamente 15 anni che lavora.. lavora fuori Italia, diciamo, lavora all’estero, ha lavorato 8 anni in Tunisia e adesso sono quasi 10 anni che lavora … che sta in Portogallo, e quindi ci siamo trasferiti a Roma per questioni di università, di scuole varie insomma

3)
A. Lo conosce bene ci va lei
B. eh, tanti anni che non ci vado, infiniti anni, ero giovane insomma
A. peccato!

4) 
A. ma cosa fai te qui?
B.
 ma… cosa faccio nella vita?

A. sì, parlami un po’ di te insomma

Quale funzione comunicativa possiamo attribuire a questi “insomma”, e soprattutto sono tutti uguali?

Tra gli esempi proposti il numero 4 si differenzia dagli altri. Nei primi tre casi possiamo dire che gli “insomma” hanno una loro valenza interna al racconto, mentre l’esempio 4 ha una sua valenza data dalla natura della relazione tra gli interlocutori. Per poterlo comprendere appieno dobbiamo ascoltare la parte che precede questi enunciati.

La prima osservazione che possiamo fare è che queste due persone avevano deciso di partecipare, di incontrarsi per fare questa registrazione, quindi possiamo dire che le due persone si aspettavano di trovarsi in un contesto collaborativo.

Ma dai primi scambi sembra che B non sia molto collaborativo, tutto il peso della conversazione sembra essere sulle spalle di A, allora dopo reiterati tentativi per farlo parlare A comincia a diventare un po’ impaziente. Ecco che allora possiamo dire che quell’ “insomma” messo lì ha la funzione di segnalare impazienza, notiamo anche l’abbozzo di risata di A come a voler dire “ma cosa devo fare per farti parlare”. Non possiamo quindi sperare che i nostri studenti si approprino in maniera adeguata della funzione di quell’ “insomma” se nelle indicazioni che diamo loro non teniamo conto anche della natura della relazione che si è instaurata tra A e B.

Ritorna quindi una delle premesse che dicevo prima, e cioè dobbiamo vedere il testo come una realizzazione linguistica nell’ambito di una interazione comunicativa, il testo calato nella sua situazione di comunicazione nell’ambito del processo comunicativo.

Se le indicazioni che diamo analizzano solo superficialmente il testo per cui uno sa che molto spesso “insomma” conclude, e in base a questa inerzia associativa diciamo agli studenti che anche in questo caso “insomma” conclude, sballiamo di grosso.

In questo esempio dobbiamo far vedere che prima è intercorso un certo dialogo, dobbiamo presentare la natura del rapporto tra i due, perché probabilmente se partiamo solo da quell’enunciato e dall’enunciato immediatamente precedente ecco che non riusciamo a spiegare quell’ “insomma”. L'”insomma” proviene dal fatto che lei ha fatto reiterati tentativi e sono quasi tutti falliti perché a B non gli si cavano le parole di bocca. Allora quell'”insomma” non può essere adeguatamente spiegato se restiamo all’interno del testo, ma dobbiamo indagare qualcosa che è al di fuori della lingua ma che ha la sua controparte formale.

Solo abbandonando una posizione statica possiamo sperare che lo studente possa acquisire che esiste un “insomma” conclusivo, ma esiste anche un “insomma” che ci segnala impazienza, e possiamo così creare le condizioni per cui ci sia un’appropriazione e un livello di penetrazione più ricco ed efficace.

Clara/Beatrice, contenuto e relazione

Clara 1. in genere quelli più grandi di me non mi piacevano
Beatrice 1. io credo che anche tu piaccia a persone più giovani
Clara 2. ma, sai io…
Beatrice 2. cioè tu sei un tipo che piace alle persone più giovani, anch’io debbo dire che…
Clara 3. a me interessa di più chi piace a me, non a chi piaccio io, non ho mai capito perché…
Beatrice 3. chiaramente deve piacere a te per smuovere così, l’entusiasmo…

Quali osservazioni possiamo fare?

In primo luogo che con l’enunciato 1 Beatrice fa un complimento a Clara, complimento che coglie Clara un po’ impreparata, e possiamo dire che è anche imbarazzata visto l’enunciato 2.

Beatrice con l’enunciato 2 insiste nel complimento; lo ripete; visto l’imbarazzo, affonda ancora di più. (Ricordiamo che queste persone si incontrano per la prima volta.) È anche interessante notare che da un punto di vista linguistico, Beatrice usa due modi verbali diversi tra il primo complimento e la sua ripetizione.

Ora seguendo una logica lineare possiamo dire che se una persona fa un complimento ad un’altra e questo complimento è all’interno di una relazione sentita dall’altro come “sincera” le possibili risposte che ho immaginato potrebbero essere:

1) ah sì, è vero, infatti a me succede sempre che…
2) ah sì? non ci avevo mai pensato
3) ah grazie
4) ah bene, buono a sapersi
5) davvero?
6) dici?

Ma niente di tutto questo: l’enunciato 3 di Clara non segue questa logica lineare. Facciamo attenzione al tono, leggermente duro, al fatto che la interrompe, e a come al termine dell’enunciato lei rida.

La risata può avere numerosi significati. Qui in questo caso non penso di associarla a qualcosa di divertente, ma piuttosto a voler smorzare in qualche modo la durezza dell’affermazione stessa.

Potremmo avanzare l’ipotesi che la presunta incongruenza dell’enunciato 3 di Clara tiene conto di una certa forzatura da parte di Beatrice nel fare il complimento? E forse anche di una poca sincerità?

Possiamo dire che il complimento di Beatrice è un pochino fuori contesto. Allora la presunta incongruenza della risposta di Clara possiamo dire sta nel fatto che Clara sta rispondendo ad una definizione o a una proposta della loro relazione data da Beatrice.

Quindi la mia proposta è che Clara non risponde al complimento, non al contenuto linguistico del complimento, ma al suo contenuto relazionale.

Questo esempio si aggancia ad uno degli assiomi della comunicazione che dice: “ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione”.

In ogni scambio interattivo sono trasmessi, in maniera più o meno conscia, una serie di messaggi che definiscono di quale natura è il rapporto tra i soggetti. Ogni comunicazione trasmette accanto ad un aspetto di “notizia” che è dato dal contenuto del messaggio, anche un aspetto di relazione che tende a definire le modalità dei rapporti reciproci tra i soggetti che interagiscono.

Anche messaggi semplici come ad esempio: “oggi sono stanco” tendono a definire in qualche modo i rapporti reciproci.

Con l’enunciato precedente il soggetto A non sta solamente facendo una affermazione sul suo stato soggettivo, ma contemporaneamente potrebbe suggerire al suo interlocutore:

          a) domandami perché io mi definisco nella relazione con te in questo contesto come colui che ti “costringe” a prendere un’iniziativa, facendomi una domanda;
b) fa qualcosa per me io mi definisco nella relazione con te in questo contesto come colui che chiede aiuto;
c) assumi un atteggiamento congruo con il mio essere stanco io mi definisco nella relazione con te in questo contesto come colui che non accetta richieste o ordini.

Il processo di definizione della relazione è sempre reciproco, nel senso che nessuno, nell’ambito di un rapporto, può imporre all’altro la propria definizione di relazione. Ogni messaggio contiene infatti una proposta di definizione della relazione che può essere confermata o rifiutata dall’altro soggetto. Si dice che nei nostri comportamenti comunicativi quotidiani scambiamo molte meno informazioni che definizioni relazionali. A livello di relazione con gli altri le nostre comunicazioni sono un alternarsi di offerte, accettazioni, rifiuti, disconferme, riformulazioni. E questo è un tema di fondo della comunicazione umana.

Tornando alla nostra Ricostruzione di conversazione e a Clara e Beatrice possiamo dire che se noi ricostruiamo con una classe questo scambio dobbiamo chiarire in qualche modo la natura della relazione in atto.

La ricostruzione di quei due enunciati potrebbe essere alquanto difficile per noi e per gli studenti se non riflettiamo e non diamo agli studenti informazioni sulla natura del rapporto.

Quindi non soltanto dello scambio dei contenuti che stanno avvenendo in quel momento lì, perché se rimaniamo alle prese semplicemente con i temi, con il contenuto, quella replica di Clara è piuttosto incongruente rispetto alla affermazione precedente.

Mariantonietta/Rossana, la parte analogica

Dato l’enunciato A2 proviamo ad ipotizzare che domanda ha fatto il soggetto A con l’enunciato A1:

A 1. …………………………………………………………………………………………………………………………………..
(fa una domanda a B, il contenuto della domanda riguarda B)

B 1 .. ………………………………………………………………..
(esita nel rispondere)

A 2. cioè no, se ti posso chiedere questa cosa

In linea generale possiamo ipotizzare che la domanda di A sia una domanda che potremo definire “delicata”, “intima”, una domanda che a qualche livello viola un terreno ancora non accessibile.

Vediamo lo scambio in cui è presente l’enunciato 2 di A.

6)
Rossana 1. cioè ma tu… cioè esatt… che cosa… cioè i congressi com’è che rientrano nella tua…
Mariantonietta 1. be’ perché io sono…
Rossana 2. cioè no se ti posso chiedere questa…
Mariantonietta 2. no, lavoro nel campo della chimica, della spettroscopia in particolare e così faccio quello che gli inglesi definiscono bene con scientist, però in italiano suona male perché scienziato non si dice mai

Dove risiede l’interesse per questo scambio?

Principalmente nel fatto che una delle situazioni in cui uno studente si può trovare è quella in cui, nel corso di una conversazione con una persona di madre lingua, egli si accorge di essere stato indiscreto, invadente, troppo curioso, di aver posto una domanda che a qualche livello può imbarazzare l’interlocutore. A questo proposito possiamo decidere che l’enunciato 2 di Rossana potrebbe essere un enunciato da presentare agli studenti per vedere come un italiano si districa in una situazione che potrebbe diventare delicata. La domanda da porci è: “quali informazioni possiamo dare agli studenti per passare dall’enunciato 1 di Mariantonietta all’enunciato 2 di Rossana”?

Un’osservazione da fare è che forse entrambe le persone vivono un momento di imbarazzo, Mariantonietta nello scegliere le parole più adatte per rispondere e Rossana non formulando completamente la domanda e usando frequentemente “cioè”. L’uso ripetuto di “cioè” in qualche modo mi segnala una non spiegata difficoltà nel porre la domanda. È come se Rossana dicesse: “vorrei sapere di più di te ma non so se me lo posso permettere” oppure forse “sono in un terreno in cui mi sento diversa da te e non so se posso darmi il permesso di farti questa domanda”. E qui c’entra il soggetto con le sue aspettative circa la risposta che otterrà. Voglio dire che la domanda, qualsiasi domanda, anche “come stai?” non è mai neutra. Ma nel modo di porre la domanda è sempre presente, probabilmente a livello non conscio, un’informazione per chi la riceve, cioè “cosa mi aspetto come risposta”, e per un effetto circolare questo si riverbera sull’interlocutore che terrà conto di questa informazione.

Ma il nostro quesito rimane: “perché Rossana interviene con l’enunciato 2?” Senza dubbio la pausa di Mariantonietta, il suo esitare, è determinante in questo.

Allora possiamo dire che una pausa, in una comunicazione verbale ci dà una informazione sul piano non verbale. Cioè la pausa acquista un significato particolare, perché può essere una pausa di incertezza, di imbarazzo, di sorpresa, di stanchezza, di “aspetta che ci devo pensare” e noi possiamo capire solo guardando quello che ci sta di fronte, perché lo vediamo in faccia, come si muove, gli occhi. Quindi la pausa, il silenzio in una comunicazione verbale ha una sua decodificazione attraverso il canale non verbale.

Un’ipotesi che possiamo fare è che l’enunciato 1 di Mariantonietta sia accompagnato da una comunicazione non verbale che è stata in qualche modo tradotta da Rossana come:

1) “come ti permetti” o
2) “quante cose vuoi sapere” o
3) “è una domanda sciocca la tua, non hai capito che…”

Questo si collega con altri due assiomi della comunicazione, secondo i quali:

  1. non è possibile non comunicare – nel senso che in presenza di un altro non posso sottrarmi alla comunicazione. Anche il silenzio è comunicazione.
  2. noi comunichiamo sia attraverso il codice numerico, sia attraverso il codice analogico (non verbale), quindi cinesica, prossemica, paralinguistica. in pratica ogni altra espressione non verbale di cui l’organismo è capace.

La comunicazione analogica ha le sue radici in periodi molto più arcaici della evoluzione e la sua validità è quindi molto più generale del codice numerico, relativamente più recente.

Un esempio di comunicazione analogica l’abbiamo quando dobbiamo fare una Ricostruzione di conversazione con dei principianti, in cui gli studenti ancora sprovvisti di un codice numerico riescono a dedurre informazioni fondamentali dall’osservazione del linguaggio dei segni e dei così detti “movimenti di intenzione”.

  • il codice numerico (la parte strettamente verbale) tende a concentrarsi sui termini di una relazione lasciando sullo sfondo la relazione stessa;
  • il codice analogico è più adatto nel ricostruire totalità, contesti, a partire da un dettaglio, in pratica tende a trascurare i termini della relazione per mettere a fuoco la relazione stessa.

Ad esempio è molto difficile mentire nel campo del non verbale, a meno che uno non abbia un autocontrollo tale da permettergli di reprimere atti o gesti che sono più vicini al livello inconscio, o che abbia l’autocontrollo che gli permetta di pescare nel codice non verbale quello che in quel momento gli occorre (lacrime, rossori, ecc.).

I nostri sentimenti, le emozioni, sono più direttamente espresse con l’architettura del codice analogico. È chiaro che dall’interazione dei due codici scaturisce la visione d’insieme, e il codice analogico ha anche la caratteristica di darci informazioni sulla cornice di riferimento nella quale inquadrare il messaggio verbale (dal punto di vista relazionale). Ad esempio espressioni tipo: “ti amo” “ti odio”, le persone che ricevono questi messaggi faranno molta più attenzione alla parallela comunicazione non verbale, in quanto ci dà le informazioni necessarie per inquadrare il messaggio verbale.

È difficile negare con le parole il fatto che sto sorridendo, o che sono arrabbiato, e da questo possiamo dire che la parte analogica della comunicazione è un messaggio a un livello logico differente, e cosa importante, ci permette di comunicare sulla comunicazione.

Allora nel nostro lavoro di ricostruttori se abbiamo a disposizione un materiale video siamo enormemente avvantaggiati nella formulazione di ipotesi, altrimenti, se disponiamo solo di materiale audio, dobbiamo prestare molta attenzione a tutti quegli elementi paralinguistici, come risate, brontolii, gemiti modulazioni del tono, pause strane, silenzi, ecc.; perché sono apportatori di un grande numero di informazioni sulla natura della relazione in corso.

Turi/Lilli, simmetria e complementarietà

Altro compito per il lettore: completare l’enunciato 10 di Turi, in pratica cosa dirà dopo il “perché”?

7)
Turi 1. ecco in Sicilia, per esempio, il matrimonio diventa quasi una liberazione, no? perché tu stai a casa arriva il fidanzato non ti puoi muovere, non puoi uscire, non puoi andare da nessuna parte, e questo logicamente non succede più a Palermo, a Messina, a Catania ma in certi centri all’interno succede, per esempio il paese di mia moglie.
Lilli 1. di dov’è tua moglie?
Turi 2. lei e di Corleone mia moglie, un paese…
Lilli 2. … io non conosco la Sicilia, però Corleone è uno dei pochi posti che conosco per fama, per…
Turi 3. eh Corleone, poi tu fai un mestiere particolare…
Lilli 3. eh appunto
Turi 4…. per cui dovresti conoscerlo
Lilli 4. ma io la Sicilia non la conosco, però c’era un mio collega di lavoro, un militare, che lavorava a San Cataldo…
Turi 5. San Cataldo
Lilli 5. dove c’e un… vicino Caltanissetta, in provincia…
Turi 6….a Caltanissetta
Lilli 6. ..di Caltanissetta, dove c’è un istituto per minorenni, e mi raccontava le vicissitudini sue, che era fidanzato, che non poteva vedersi con questa ragazza…
Turi 7. … ma infatti io, io, io…
Lilli 7….ma sono cose molto recenti di due anni fa, quindi non sono cose che…
Turi 8….ma io già parlo di qualche anno fa
Lilli 8….risalgono al 50 al 60
Turi 9. be’, no, io non parlo nemmeno del 50, io parlo del 70
Lilli 9. eh ma io ti parlo di 2/3 anni fa, quindi la situazione non è che sia cambiata molto, perché questo ragazzo non era libero nemmeno di incontrarla
Turi 10. no, no, infatti ti sto di… sto dicendo, non è cambiata quasi per niente nel posto dove è nata mia moglie perché…

Vediamo ora il brano originale, e il lettore dovrà ora confrontare e analizzare la sua versione con l’originale:

Turi 10. no, no, infatti ti sto di… sto dicendo, non è cambiata quasi per niente nel posto dov’è nata mia moglie perché… io ero fidanzato con lei ma perché credevo che fosse più grande. Io quando la conobbi credevo che mia moglie avesse 18 anni, e invece poi scoprii, scoprii, poi quando glielo chiesi mi disse che ne aveva 14…

La prima osservazione che possiamo fare è che esiste un salto, uno stacco nell’enunciato 10 di Turi, e se mai decidessimo di presentarlo agli studenti ci troveremo di fronte ad una difficoltà. Cioè la difficoltà di non poter seguire in maniera lineare e sequenziale il testo, proprio perché dopo quel “perché” esiste un salto. In pratica è come se non venisse soddisfatta una mia aspettativa di parlante nativo, nel senso che io interpreto questo “perché” come “adesso ti spiego il motivo per cui affermo che la situazione non è cambiata quasi per niente”.

Anche in questo caso una possibile chiave di lettura dobbiamo andarla a cercare all’interno della relazione tra Turi e Lilli, l’analisi che vi propongo parte da questa ipotesi:

  • già con l’enunciato n°1 Turi ha un progetto latente, e cioè quello di raccontare a Lilli la sua storia personale, infatti lui afferma che:
    1. “il matrimonio diventa quasi una liberazione”, che potrebbe essere riletto come “anche il mio matrimonio è stato una liberazione”
    2. “tu non ti puoi muovere”
    3. “nel paese di mia moglie succede”.
  • con l’enunciato 4 di Lilli entriamo nel vivo perché lei inizia a raccontare una storia di un suo collega che in qualche modo la rende competente dell’argomento introdotto da Turi (Sicilia/difficoltà nei rapporti di coppia prima del matrimonio).
  • arriviamo all’enunciato 6 di Lilli dove lei afferma che questo suo collega “non poteva vedersi con questa ragazza”, ed è proprio a questo punto che interviene Turi con l’enunciato 7.
  • come possiamo riscrivere l’enunciato 7 di Turi? potrebbe essere: “ma infatti io ti volevo raccontare la mia storia che è uguale a questa”.
  • a questo punto i due cominciano a viaggiare su due binari separati, tanto che Turi con l’enunciato 8 dice: “io già parlo di qualche anno fa”, ma dove ha parlato di qualche anno fa? forse nella sua testa, forse nella sua intenzione di parlare di qualche anno fa, perché in tutta la parte precedente del testo non c’è un riferimento esplicito a questo.
  • con l’enunciato numero 8 Lilli completa il suo discorso dicendo che i fatti da lei narrati non sono lontani, non sta parlando degli anni 50 o 60.
  • Turi con l’enunciato 9 sembra voler dire: “be’ ma io non sono così vecchio, perché ti parlo del 70, la mia storia risale al 70”, anche qui stessa considerazione di prima: ma quando ha parlato del 70? possiamo anche notare un tono leggermente piccato di Turi.
  • arriviamo al termine con l’enunciato 10 di Turi, con il quale dà ragione a Lilli e riesce a riprendere la parola e finalmente a raccontare la sua storia personale.

Personalmente ho dato a questo pezzo il titolo di “scippo di argomento”, cioè è come se Lilli bruciasse Turi sul tempo, e racconta con due parole una storia che è molto simile a quella che diligentemente Turi si stava preparando. Si potrebbe dire che questo frammento rappresenta un esempio di “chi deve parlare”, cioè chi deve prendere la parola, gestire la conversazione, essere in pratica il protagonista del pezzo.

Questo esempio si collega ad un altro assioma della comunicazione che dice: “attraverso uno scambio comunicativo si possono prospettare due tipi di relazioni: complementare e simmetrica”. In una relazione complementare i due soggetti si collocano su due piani diversi, sono in una condizione di disuguaglianza, nel senso che uno sembra essere in una posizione di dominanza, poiché ha dato il via all’azione e l’altro sembra seguire l’azione. Così i due soggetti si adattano l’uno all’altro e si fanno da complemento. In una relazione simmetrica i due soggetti si comportano come se fossero in una condizione di parità. Ognuna delle due esibisce il diritto di dare inizio all’azione, di criticare l’altro, di offrire consiglio, e così via…

complementare

(quando i soggetti si scambiano un tipo di comportamento diverso)

 

a) dare istruzioni/ricevere

A.parliamo di K
B. sì, penso che K sia…

b) chiedere/rispondere

A.cosa pensi?
B. penso K

c) affermare/acconsentire

A.penso K
B. sì, sono d’accordo

in breve, uno dà e l’altro riceve; uno insegna e l’altro impara; uno è più competente e l’altro ascolta

simmetrica

(quando uno scambio comunicativo è basato sulla minimizzazione delle differenze, cioè il comportamento dell’uno tende a rispecchiare quello dell’altro)

a) istruzione/contro istruzione

A. ora parliamo di K
B. no, parliamo di W

b) affermare/affermare

A. penso che K sia…
B. K è anche…

 

Dobbiamo sottolineare che quando il problema della definizione della relazione diventa centrale, il contenuto tende a recedere sullo sfondo, a divenire puramente strumentale. Nell’ipotesi che la complementarietà è un accordo esplicito o implicito in cui uno chiede e l’altro risponde, questo frammento potrebbe essere riconducibile ad un esempio di simmetria, nel senso che in uno scambio simmetrico uno è troppo preso dal controllo della relazione e quindi non bada non fa attenzione, non è curioso dei contenuti. L’importante è chi gestisce: sono concentato molto sul fatto di controllare la relazione, e per controllare la relazione posso semplicemente intendere “chi deve scegliere l’argomento”.

Prima dicevo che queste due persone viaggiano su due binari paralleli. Intendevo dire che i contenuti assumono un ruolo più irrilevante rispetto ai fatto di sopravanzare l’altro e di parlare di ciò che voglio io, per cui non mi interessa di che cosa esattamente si sta parlando.

Ad esempio il resto della conversazione tra Turi e Lilli è caratterizzato dalla completa assenza di domande, l’unica domanda di tutta la registrazione è quella dell’enunciato 1 di Lilli.

Che osservazioni possiamo fare su questa totale mancanza di domande? Potremmo dire che io non mi posso permettere di prendere la posizione di chi fa delle domande proprio perché voglio essere quello che occupa In maniera maggiore la registrazione, e d’altra parte non voglio essere nemmeno quello che risponde a un altro che mi fa domande perché mi sembra una situazione in cui non controllo.

Oppure io voglio parlare di me senza che tu mi faccia delle domande e non accetto neanche il fatto che tu parli di te facendoti io delle domande

E tutto questo diventa irrisolvibile.

In conclusione

Quando ci avviciniamo ad una registrazione, dalla quale estraiamo un brano, con taglio relazionale dobbiamo tenere presente alcuni punti.

Primo fra tutti che la concezione relazionale è nata dalla necessità di cogliere come unità di studio non più l’individuo come tale, come monade isolata, ma l’individuo nei suoi rapporti con gli altri.

Quindi nella Ricostruzione di conversazione la nostra unità minima di analisi non deve essere il singolo enunciato, ma la relazione esistente tra mittente/messaggio/destinatario. Solo in questo modo spostiamo il focus della nostra attenzione dal soggetto al rapporto tra soggetti.

La conversazione non deve essere vista e trattata come un incontro di tennis in cui alternativamente i giocatori colpiscono la palla e ognuno sta nella propria parte di campo, ma dobbiamo immaginare un incontro di tennis con altre regole, senza una rete che divide i giocatori ma che è presente, dove un giocatore può colpire la palla anche ripetutamente, dove un giocatore può svariare da una parte all’altra del campo, dove i giocatori possono giocare entrambi all’attacco o entrambi in difesa, dove lo scopo ultimo del gioco non è fare il punto, ma, dopo aver colpito la palla, dare alI’altro la possibilità di colpirla.

Perché “prendere la parola” comporta paradossalmente anche “dare la parola”.

Allora nella nostra preparazione di una Ricostruzione di conversazione è utile ricordare che un enunciato presenta una certa dose di “incompletezza”, vale a dire che in un enunciato è sempre presente una domanda, o un appello, o l’anticipazione di una risposta, cioè in qualche modo ci rimanda, per comprenderlo, a ciò che è stato detto prima o a ciò che si dirà dopo.

In un enunciato sono sempre presenti due soggetti (non in senso linguistico) cioè il minimo dialogico. Anche se dice “grazie” devo sempre pensare che è un soggetto che sta dicendo “grazie” in un contesto ad un altro soggetto. Quindi quando analizziamo un enunciato dobbiamo ricordare che in quell’enunciato non c’è solo l’Io, ma l’Io in rapporto ad altre persone, l’Io e l’altro.

Dobbiamo altresì ricordare che la nostra opera di “ricostruttori” di un pezzo di lingua avrà sempre una incompletezza, incompletezza data dallo spessore della comunicazione, vale a dire dalla simultaneità dell’aspetto linguistico e dell’aspetto analogico. Questi due aspetti non vengono separati dai soggetti che conversano, ma che comunque non operano sullo stesso piano, e che hanno una valenza ed una integrazione solo per i partecipanti. Noi possiamo solo congetturare su questo doppio aspetto.

Riferimenti bibliografici

Bateson G., (ed. it. 1976), Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano
Bateson G., (ed it. 1984), Mente e natura, Adelphi, Milano
Castellani P., 1988, “I parametri dell’osservazione relazionale”, in Andolfi M. et altri, La famiglia trigenerazionale, Bulzoni, Roma
Kanizsa G., Legrenzi P., 1978 Psicologia della Gestalt e psicologia cognitivista, il Mulino, Bologna
Ricci Bitti P.E., Cortesi S., 1977Comportamento non verbale e comunicazione, il Mulino, Bologna
Scheflen A., (ed. it. 1977) Il linguaggio del comportamento, Astrolabio, Roma
Sclavi M., 1989, A una spanna da terra, , Feltrinelli, Milano
Selvini Palazzoli M., 1981, Sul fronte dell’organizzazione, Feltrinelli, Milano
Urbani S., 1989, “Testo, autenticità, grammatica”, in Atti del 1° Seminario Internazionale per insegnanti di lingua.
Watzlavick P., Beavin J., Jackson D.D., (ed. it. 1971) Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma
Watzlavick P., Weakland J.H., (a cura di) (ed. it. 1978) La prospettiva relazionale,Astrolabio, Roma
Watzlavick P., (ed. it.1989) Il codino del Barone di Münchhausen, Feltrinelli, Milano

– Le registrazioni da cui provengono i brani (1), (2), (3), (4), (5), (e), (7), fanno parte di: Humphris C., Luzi Catizone R., Urbani S., 1985, Comunicare meglio, Bonacci, Roma;

– Per quanto riguarda gli assiomi della comunicazione consultare Watzlawick ed altri 1971, e Watzlavick 1989 su simmetria e complementarietà consultare l’omonimo capitolo di Sluzki e Beavin in Watzlavick ed altri 1978;
in Selvini Palazzoli si possono trovare degli spunti interessanti, in particolar modo nel capitolo di Ricci Al di la della diade;

– Per quanto riguarda la dimensione circolare della comunicazione, l’aspetto analogico e la dimensione dialogica della comunicazione consiglio Sclavi;

– Testi fondamentali rimangono sempre: a) Bateson 1976, in particolar modo il capitolo “Problemi relativi alla comunicazione dei cetacei e di altri mammiferi”, b) Bateson 1984, in modo particolare i capitoli “Versioni molteplici del mondo”, “I criteri del processo mentale” ” Versioni molteplici della relazione”.