Discussione sulla dimostrazione di una Lettura autentica
Frustrazione e angoscia o soddisfazione?
Quei 3 o 4 minuti dati per leggere il brano sono stati il primo aspetto metodologico discusso. Tutti sembrano concordi sulla necessità di dare dei ‘tempi’ di lettura. Ma quali tempi? Alcuni esprimono dubbi sul forzare il tempo di lettura, scandendo i minuti che passano. L’esperienza li ha riportati ai compiti in classe delle scuole superiori o ha creato troppa tensione che non ha permesso di cogliere nell’attività l’aspetto ludico, che è stato invece sottolineato come qualcosa che lo studente deve imparare a scoprire accettare e godere. Altri invece, pur riconoscendo lo stress che deriva dall’imporre un tempo ‘stretto’ lo hanno trovato stimolante, utilissimo per impedire di cadere in trappola, cioè in abitudini che poco hanno a che fare con una attività di lettura globale. Proprio quella istruzione ha permesso di leggere il brano 4 volte dall’inizio alla fine, concentrandosi contemporaneamente sui punti che nel confronto con l’altro studente erano risultati controversi o interessanti. Si sottolinea che se fossero i tempi dello studente a prevalere, sicuramente si perderebbe l’obbiettivo prioritario dell’attività che è sempre quello di allenarsi a cogliere il senso generale, il “di che cosa parla” l’articolo. Il fattore stress può quindi sia impedire che favorire la concentrazione. Diventa elemento positivo se la situazione è rilassata e soprattutto se l’insegnante ha spiegato bene la finalità del lavoro.
E quando l’insegnante sceglie il testo, quanto pensa che gli studenti capiranno? Risponde Christopher Humphris in modo inequivocabile: “Non lo so; non mi interessa; non lo voglio sapere. Scelgo il testo perché penso che il contenuto vada bene per la classe. L’altra variabile è il tempo dato. Il gruppo della dimostrazione era un livello avanzato. Se lo fosse stato un po’ meno, avrei dato 1 minuto in più per leggere”.
Una discussione lunga e ricca di spunti di riflessione anche teorici si svolge su un aspetto che potrebbe sembrare a prima vista soltanto di disciplina. Nella lezione dimostrativa l’insegnante ha detto dopo ogni lettura: “girate il foglio”. Durante la fase di socializzazione qualcuno ha guardato il testo e l’insegnante è intervenuto dicendo di non farlo. Questo ha infastidito o non convinto alcuni perché è sembrato troppo rigido.
L’argomentazione in risposta a questo è stata che lo studente può ‘barare’, e cioè può voltare brevemente il foglio per conferma di una parola o altro. Ma deve sentire che sta barando. È libero di concentrarsi su un singolo paragrafo di volta in volta quando legge ma deve sapere che le regole sono diverse.
Se dipendesse da lui/lei discuterebbe con l’altro studente con il foglio davanti, trasformando l’attività da una attività di lettura in qualcos’altro. Leggere vuol dire proiettare se stesso (conoscenza del mondo, esperienze personali, informazioni extratestuali) sul testo e non il contrario. La lettura è un’attività in cui il rapporto dialettico trasforma la persona attraverso quell’esperienza che, in quanto personale, sarà diversa per ogni studente. Quindi non si può parlare di lettura “oggettiva” del testo in una attività di lettura. Se allo studente è permesso di guardare il testo, allora l’attività diventa una ricerca, traducendo parola per parola, della interpretazione soggettiva del testo. Mentre il parlare con l’altro studente non dev’essere uno scambio di versioni oggettive del testo tra due scienziati o computers. Dev’essere invece un momento dove è in sperimentazione, fra l’altro, l’attività dei due e dove si confrontano due differenti interazioni tra le persone e un identico testo. Ognuno reagisce in modo diverso, ognuno ricorda ciò che lo ha più interessato, ognuno ha confrontato la propria visione del mondo con quel testo, ognuno ne uscirà cambiato in modo diverso.
D’altronde la socializzazione non è il momento fondamentale dell’attività. Infatti appena l’insegnante vede che una coppia ha esaurito lo scambio dà nuovamente l’istruzione di leggere.
Altra osservazione è che quello che succede nella realtà per ognuno nella propria madrelingua è che leggo e poi racconto ciò che ho trattenuto da quella lettura. Anche per lo studente dovrebbe valere la stessa strategia, favorita da un contenuto che l’insegnante pensa stimolante per la sua classe.
Un insegnante dissente dalla definizione data dell’attività di lettura. Afferma che guardare il testo e raccontare ciò che ho letto è un esercizio di memoria visuale. Avere la possibilità di guardare in dettaglio il testo è ancora un atto di lettura al 100% e l’attività non cambia di segno. L’unico motivo che trova valido per cui dire allo studente di non guardare il testo non ha niente a che fare con questioni psicolinguistiche ma con questioni di praticità. Scambiare informazioni in dettaglio sarebbe molto lungo.
Nuova domanda: voi considerate l’attività di ascolto e quella di lettura allo stesso modo. Ma i dati di partenza sono profondamente differenti. Nelle attività di lettura l’impaginazione, i caratteri di stampa, la fonte stessa già danno allo studente informazioni preziose per collocare quel brano all’interno della sua conoscenza ed esperienza del mondo, dandogli così la possibilità di contestualizzare e sintonizzarsi già su una sfera, un ambito. Tutto questo nell’ascolto manca, compreso il dato tecnico (la lettura è presentata con fotocopia leggibile, l’ascolto è così autentico che riproduce tutto dell’ambiente circostante). Insomma: l’ascolto è una situazione surreale, più reale della realtà, la difficoltà è massima e lo studente è solo con la sua competenza linguistica. La lettura è invece una situazione reale. La semplice impaginazione dà informazione e fa scattare nello studente meccanismi di conoscenza del mondo che lo aiutano ad affrontare il problema linguistico.
Si osserva che anche in ascolto lo studente ha alcune possibilità di contestualizzazione: i toni della voce per esempio, la concitatezza ecc. ci indicano se il dialogo è un a chiacchierata o una lite. Ma comunque, siamo d’accordo che manca un elemento sostanziale: il video. Il video informa, il semplice vedere le persone, il loro atteggiamento ci aiuta a contestualizzare. Christopher Humphris precisa però che l’insegnante è un lettore come gli altri e più che il video non può fornire informazioni in fatto di contesto senza rischiare di imporre la propria ‘lettura’ del testo. È lo studente che, vedendo, decodifica le informazioni e prende ciò che lui decide di prendere. Per cercare però, in mancanza del video, di arrivare ad una possibile parità tra attività di lettura e ascolto l’insegnante può scegliere di fare ascoltare più volte di quante non faccia leggere. Nella lezione dimostrativa la lettura è stata preceduta da tre informazioni: il nome del libro dal quale era tratto il brano, la casa editrice e la data di pubblicazione.
Un partecipante interviene su un aspetto che sottende a tutti i vari punti discussi. Parla di una sfida intellettuale per lo studente ed accerchiare il non capito. Tutte le attività di cui abbiamo parlato, mettendo in gioco le capacità dello studente, tendono allo stesso obiettivo: erodere quello che non si sa. In questo l’ascolto autentico e la lettura autentica sono identici: erodere il non capito partendo da quel poco che si è capito allargandone la base. La motivazione sta nel fare questo lavoro, non nel sapere quale sia realmente il contenuto. Generalmente gli studenti non hanno problemi per il fatto di non capire. Lo accettano come naturale perché accolgono l’offerta del gioco intellettuale. Possono anche guardare il testo della lettura ma non è più divertente. Una volta che lo studente non è minacciato, come a scuola, dallo spettro della valutazione, accetta senza problemi le istruzioni dell’insegnante.