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Chi deve fare grammatica?

Vorrei partire dal titolo di questo seminario: alcuni modi di fare grammatica. La domanda che possiamo porci è: “chi fa grammatica?” ovvero “chi dovrebbe fare grammatica?”.

Una prima risposta potrebbe essere: “l’insegnante”. Se l’insegnante fa grammatica gli studenti hanno la possibilità di apprendere, una nozione, una regola, migliorando le loro conoscenze linguistiche, raggiungendo una maggiore correttezza nella produzione scritta e orale. Faranno meno errori.

Mi vengono in mente due scene. La prima scena è quella in cui c’è un insegnante che, scelto un argomento, si produce in un esauriente spiegazione, aiutandosi con degli esempi, scrivendo delle frasi alla lavagna. Abbiamo così un polo della relazione (l’insegnante) che sviluppa la sua capacità di trasmissione delle conoscenze, la sua capacità di dare delle spiegazioni. L’altro polo della relazione (gli studenti) invece ascolta, prende appunti, migliorando così la loro capacità di ascolto. Paradossalmente è come se l’insegnante sostenesse ogni volta un esame e gli studenti fossero la commissione giudicante, che valuta la performance dell’insegnante stesso. Ma quanto di tutto quello che ha detto l’insegnante rimarrà patrimonio degli studenti?

Qui mi viene in mente la seconda scena. L’insegnante dopo la spiegazione propone agli studenti una serie di esercizi (scritti o orali) per mettere in pratica, per verificare l’effetto della sua spiegazione. Al termine di questi esercizi spesso è palpabile un senso di insoddisfazione negli studenti alle prese con un meccanismo ancora per loro oscuro.

Ma quando si passerà alla produzione scritta o orale allora il senso di insoddisfazione potrà essere presente nell’insegnante, che non vede raggiunto l’obiettivo che si era prefissato, cioè l’apprendimento e la ritenzione da parte degli studenti di quella regola grammaticale.

Un aspetto della nostra professionalità è ancora troppo legato ad una logica che privilegia l’insegnamento trasmissivo, connotato dalla preminenza di lezioni frontali, e dall’uso di limitati codici comunicativi. Ci viene cioè chiesto di riuscire a trasmettere le nostre conoscenze.

Poi però quando andiamo sul piano pratico ci troviamo davanti a grossi sensi di insufficienza e di impotenza. E tutto questo si trasforma in disagio.

Il disagio che possiamo provare è che abbiamo lavorato, abbiamo fatto grammatica e vediamo che l’apprendimento non c’è stato. Non c’è stata ritenzione da parte degli studenti. Un disagio che si può incanalare o verso gli studenti colpevolizzandoli, o verso noi stessi in termini di autostima (“non sono capace di…”).

Il disagio sarà sicuramente più marcato se la performance dello studente (scritta/orale) sarà valutata come negativa e se la colleghiamo in termini lineari alla nostra performance precedente (lezione di grammatica, spiegazione).

Lezione di grammatica dell’insegnante

à

Produzione studenti mancanza di correttezza

=

Disagio insoddisfazione

Forse le nostre aspettative sono molto alte. Forse per questo nel nostro lavoro le frustrazioni sono tanto frequenti. Prendiamo come punto di partenza il disagio, la cui elaborazione dovrebbe comportare una revisione di molti modelli che abbiamo in testa. La prima cosa che possiamo fare è quella di cambiare la risposta alla domanda: “chi deve fare grammatica?” e rispondiamo: “lo studente”. E proviamo a spostare il riflettore, invece di puntarcelo addosso puntiamolo sugli studenti e facciamo diventare gli studenti come centro focale del fare grammatica.

Questo potrebbe essere un cambiamento di metodo. Un cambiamento di metodo presuppone un supporto teorico. Il supporto teorico è quello di superare una visione lineare causa à effetto, che rientra nel modello classico della scienza. Visione lineare che vede l’insegnamento come informazione, in cui c’è un emittente (insegnante) e un ricevente (studente). L’insegnante è il depositario della conoscenza e la trasmette, e il discente ha un ruolo passivo, quello di ricevere le informazioni. A seconda se l’insegnante è capace o meno di trasmettere le sue conoscenze avremo la ricezione e la ritenzione da parte dello studente.

Credo che sia inevitabile fonte di disagio leggere ciò che succede in classe in termini di causalità lineare, cioè una cosa ne causa un’altra. Nel nostro caso facciamo grammatica e determiniamo in tutti gli studenti l’apprendimento. A determina unilateralmente le risposte di B.

La proposta è quella di pensare non in termini di linearità, di semplicità, ma in termini di circolarità, di complessità, in cui ipotizziamo che la conoscenza si costruisce nell’interazione tra insegnante e studenti. Noi abbiamo delle conoscenze che lo studente non ha, e il poter riuscire a trasmettergli queste conoscenze non è legato al fatto che semplicemente gliele diciamo, ma è legato al fatto di riuscire a suscitare nello studente un aspetto attivo, motivazionale. Tutto questo partendo dall’idea che se uno è attivo nella conoscenza probabilmente farà una operazione di costruzione della conoscenza stessa. E probabilmente quello che avrà costruito gli resterà di più. La proposta è quindi quella di promuovere momenti didattici in cui lo studente attraverso delle modalità per cui si mette in gioco riesce a scoprire i nessi che legano una lingua.

Se vogliamo studenti attivi dobbiamo dare più spazio a metodi che mirano a questo, quindi fare grammatica attraverso attività, come la Lettura analitica, in cui lo studente è più attivo, e un ruolo attivo fa sì che lo studente ricerchi dentro di sé anche le sue risorse.

L’apprendimento è sicuramente legato al tipo di interazione che instauriamo in classe con gli studenti. In una qualsiasi relazione vi sono delle definizioni della relazione stessa che i partecipanti si scambiano. Gli studenti arrivano con una definizione di relazione da proporre all’insegnante, che più o meno dovrebbe suonare così: studente – “io mi definisco in relazione con te come studente, e come tale mi aspetto che tu insegnante mi trasmetta delle informazioni, mi insegni delle regole”.

Lo studente si aspetta che noi gli diciamo: “le regole di questo fenomeno linguistico sono queste”, quindi propone una definizione di relazione in cui lui si ricava un ruolo diciamo “passivo”. Si aspetta cioè di ricevere.

La proposta è quella di non appiattirci sulla definizione che lo studente ci presenta ma di ridefinirla: insegnante – “io mi definisco in relazione con te come insegnante, ma non ti insegno quello che tu ti aspetti. Ti insegno un modo attraverso il quale tu studente puoi rintracciare le informazioni, le regole che cerchi”.

Quindi una ridefinizione in cui ci definiamo sempre come insegnanti, (se ciò non avvenisse sarebbe confusivo), ma gli proponiamo una definizione di relazione diversa, in cui si vanno a toccare aspetti motivazionali. Cerchiamo cioè di spingere lo studente ad assumere un ruolo più attivo, chiediamo allo studente di utilizzare i propri codici, i propri criteri di mettere insieme i dati, di condividere questi dati con i compagni. E su questi dati riflettere, sviluppare delle ipotesi, e infine integrare il suo lavoro con il nostro.

Parallelamente la proposta è anche quella di non inquadrare la Lettura analitica come una attività didattica all’interno di un contesto di apprendimento, ma come una attività didattica che sviluppa e struttura anche un apprendimento di contesto. L’obiettivo diventa non solamente: lo studente apprende la grammatica in un modo diverso. Ma anche: lo studente apprende come fare grammatica in un modo diverso.

Uno dei livelli più complessi dell’insegnamento è come mettere in collegamento e in coerenza l’agito, il provato, e il pensato. Cercando una difficile coerenza ci poniamo l’interrogativo di come chiudere l’attività di Lettura analitica. Cioè che cosa deve fare l’insegnante quando gli studenti hanno terminato la loro analisi?

Propongo 3 modi per chiudere l’attività di Lettura analitica, 3 modi (A; B; C;) che non rappresentano tutte le alternative possibili, ma che vogliono solo essere un punto di partenza per una riflessione, e per future elaborazione.

Propongo ora al lettore 2 quesiti:

  1. Quale o quali modalità sceglieresti per chiudere l’attività di Lettura analitica nei due casi seguenti?
    1. Caso 1
      1. – studente che non trova pertinente fare analisi
      2. – è la prima volta che fa analisi
      3. – tipo di analisi scelta a chiave chiusa
    2. Caso 2
      1. – studente che trova pertinente fare analisi
      2. – non è la prima volta che fa analisi
      3. – tipo di analisi scelta a chiave aperta
  2. Quali riflessioni ti suscitano le 3 modalità di chiusura dell’attività?

Alcune riflessioni personali

Schema A

  • c’è una autovalutazione da parte dello studente;
  • nei primi incontri è più rassicurante, potrebbe essere vissuta come meno minacciosa;
  • potrebbe essere una strada propedeutica alle altre;
  • l’insegnante mette lo studente davanti alla sua verità “questa è la soluzione corretta”;
  • difficile per lo studente contrastare questa verità;
  • l’insegnante chiedendo se ci sono domande implicitamente dice allo studente “qui ci si può anche vergognare degli errori”;
  • preferibile con tipi di analisi a chiave chiusa;
  • l’insegnante non ha nessuna informazione circa il lavoro fatto dagli studenti, solo loro hanno la possibilità di far proseguire l’approfondimento;
  • se troppo usato potrebbe abbassare il livello delle future analisi: (“tanto dopo c’è la soluzione”);
  • da abbandonare al più presto.

Schema B

  • c’è una valutazione da parte dell’insegnante;
  • potrebbe essere vissuta come minacciosa, come un tentativo di verifica, Io studente più insicuro non azzarderà risposta ;
  • forse è preferibile non adottarlo la prima volta ;
  • l’insegnante implicitamente dice “mi riservo ancora di dare la soluzione, cerchiamola attraverso il fatto che siete curiosi” ;
  • è preferibile quando nel testo scelto ci possono essere delle “trappole” linguistiche.

Schema C

  • l’insegnante vuole studenti più attivi, che facciano domande non gli interessa di verificare, ma gli interessa di insegnare un metodo, è il modo in cui si può dire “le domande si devono fare”;
  • per apprendere uno deve assumersi il ruolo che quando non capisce qualcosa chiede;
  • può essere vissuto come minaccioso, come un abbandono da parte dell’insegnante se la relazione non è stabile;
  • io insegnante mi riservo ancora di dare la soluzione, tu studente hai in mano la chiave per continuare, per trovare una risposta ai tuoi dubbi.

Riepilogando

Invece di:

  • Una modalità di trasmissione
  • Applicazione di una teoria
  • Studente più passivo nel rapporto con la conoscenza
  • Prescrizioni
  • Insegnamento come interazione istruttiva
  • Insegnamento come informazione: A à B
  • Testo artificiale
  • Ordine
  • Frase
  • Per il sistema insegnante/studenti un contesto di apprendimento
Ci proponiamo:

  • Una modalità di integrazione
  • Teoria e ricerca coincidono
  • Studente più attivo nel rapporto con la conoscenza
  • Descrizioni
  • Insegnamento come perturbazione
  • Insegnamento come costruzione: A à ß B
  • Testo autentico
  • Disordine
  • Testo
  • Per il sistema insegnante/studenti l’apprendimento di un contesto

Bibliografia

Bateson G., 1976 Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano.
Bocchi G., Ceruti M., (a cura di) 1986 La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano.
Dell P. F., 1986 “Bateson e Maturana: Verso una fondazione biologica delle scienze sociali”, Terapia familiare n° 21, Roma.
Ferri R., 1986 “La nuova professionalità del docente” in Professionalità docente ed educazione alla salute, Atti del convegno Formia, pp. 37-46
Malagoli Togliatti M., Rocchetta Tofani L., 1990 Il gruppo classe, scuola e teoria sistemico relazionale, La Nuova Italia Scientifica, Roma.
Piattelli Palmarini M., 1991 La voglia di studiare, Mondadori, Milano.
Saccu C. 1986 “La formazione relazionale come modello di formazione” in Professionalità docente ed educazione alla salute, Atti del convegno, Formia, pp. 47-53.