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Relazione sul dibattito finale

La discussione nel dibattito finale si è incentrata sostanzialmente sull’obiettivo dell’attività di Produzione libera orale sui suoi presupposti teorici, sulla sua collocazione in un programma, sul problema della correzione, sulla sua funzione di verifica per l’insegnante, sui criteri per far lavorare insieme studenti di livelli diversi, sulla possibilità che apra porte su argomenti vissuti come tabù dello studente, sulle osservazioni e stimoli che la presentazione di Daniel Feldhendler ha suscitato.

Diversi insegnanti si sono chiesti se è previsto e utile far seguire l’attività di Produzione libera orale da un momento di sfruttamento didattico, di riflessione linguistica. Insomma da una fase in cui l’insegnante avendo osservato quali sono le carenze e i bisogni linguistici che lo studente non è stato in grado di soddisfare, decida di presentare una certa forma verbale o struttura in una attività che non deve necessariamente essere legata né temporalmente né tematicamente alla Produzione libera orale (ha notato per esempio che lo studente avrebbe voluto usare la forma cortese “vorrei” ma non avendola appresa usa “voglio”). O, ancora, organizzi piccoli gruppi che ripercorrano insieme le soluzioni trovate per svolgere alcune delle funzioni comunicative che quella particolare Produzione libera orale sollecitava (per es: esprimere la paura, il desiderio, ecc.), le corregga e le amplii suggerendo anche qualcosa in più, lasciando lo studente con qualche certezza e conoscenza maggiore di quanto avesse prima della attività di Produzione libera orale.

E se è vero che nel processo di avvicinamento alla lingua bersaglio, nella continua pratica della interlingua tutti gli studenti sentono il loro progresso, è anche vero che non tutti si pongono allo stesso modo davanti a sé come parlanti di interlingua. La collega cinese dà un chiaro esempio: nella sua esperienza ha incontrato 3 tipi di studenti:

  1. quelli che non apriranno bocca fino a quando non siano sufficientemente sicuri di produrre lingua corretta. Per loro dobbiamo parlare di progresso in termini quantitativi e non tanto qualitativi visto che fin dall’inizio richiedono a sé stessi la maggiore fedeltà per loro possibile alla lingua bersaglio;
  2. quelli assolutamente assenti a questo. Parlano a ruota libera, senza riflettere mai sulla qualità di quello che producono. Per questi studenti il progresso qualitativo non sarà molto rilevante;
  3. quegli studenti che pur non lasciandosi intimidire dalle difficoltà, si autocorreggono, riflettono sulla qualità della propria interlingua. Per questo tipo di studente il progresso sarà più rapido. È questo il tipo di studente che trae più vantaggio dall’attività di Produzione libera orale.

La proposta è quindi che l’insegnante sia presente in momenti successivi all’attività per discutere con lo studente quali siano e/o siano state le sue difficoltà, quanto sia grande la distanza tra volere e riuscire a dire, e come colmarla.

Quindi diversi partecipanti, pur accettando che all’interno di un corso la percentuale proposta dedicata alla Produzione libera orale sia il 25% esprimono l’esigenza di sapere quanto è il rapporto percentuale tra la fase Produzione libera orale e i momenti di riflessione e analisi linguistica, come dove e quando questi entrano nella formazione del programma di un corso. Altri chiedono di riprecisare gli obiettivi di questa attività e del concetto di interlingua.

Ed è proprio dal concetto di interlingua che dobbiamo partire per aver chiari gli obiettivi della Produzione libera orale e del ruolo dell’insegnante in rapporto allo studente e ai suoi bisogni.

Interlingua è un costrutto teorico, spiega Christopher Humphris. Respinge la teoria che afferma o lascia intendere che imparare una lingua vuol dire imparare dei pezzi e poi metterli insieme. Lo studente dunque parlerebbe, come dire, a singhiozzo: qualche volta parla italiano, altre volte no, cioè sbaglia. Secondo la teoria dell’interlingua, invece, lo studente non parla mai italiano, ma piuttosto usa un sistema organico che ha una logica interna, così come fa il parlante di madre-lingua. Quel sistema è il meglio che lo studente può fare in quel momento. Non ci sono dunque eccentricità ma un sistema che, ed è obiettivo dell’insegnamento, deve essere arricchito nella sua interezza.

Questo, precisa una partecipante è un concetto diverso da sistema statico. Questo sistema è in movimento perché non è chiuso, è fatto di ipotesi che vanno sempre migliorando secondo le cose che si recepiscono. È il tipo di sistema che è alla base del discorso di Saussure: non si può togliere o aggiungere senza risistemare tutte le ipotesi. Se quindi uno studente fa sua una forma, non è solo quel singolo elemento che cambia ma tutto è rimesso in discussione.

E quindi, riprende Christopher Humphris, quando l’insegnante isola un singolo atomo (per esempio il periodo ipotetico) e lavora analiticamente su quello può avere l’illusione di “averlo messo a posto”. Lo studente potrà probabilmente usarlo correttamente in un esame scritto ma in una situazione in cui ha urgenza di comunicare, in cui sta lottando per riuscire ad esprimere il suo pensiero, la sua versione del periodo ipotetico sarà “scritta” in un altro modo, nel modo in cui il suo sistema di interlingua gli permette di scriverlo in quel momento.

L’attività di Produzione libera orale è dunque il momento in cui si manifesta la sua competenza, è una finestra sul suo livello di interlingua, è il momento in cui l’insegnante può misurare quanto lo studente è più o meno potente nell’affermarsi, nel riuscire a intervenire e cambiare la realtà. Ma sebbene questa verifica non sia da ignorare, I’obiettivo principale dell’attività di Produzione libera orale non è questo ma lo sviluppo stesso della interlingua. È la palestra in cui lo studente elabora e arricchisce la sua “grammatica” rozza e primitiva. È uno dei momenti più importanti nel processo di avvicinamento alla lingua bersaglio. Perché sia efficace deve però mettere lo studente in situazioni in cui sta bene affettivamente e ha gran voglia di farsi capire, in cui c’è tensione tra quello che vuole dire e quello che riesce a dire. La tensione è il motore che lo spinge ad andare oltre i suoi limiti. In una attività di Produzione libera orale non buona lo studente, non avendo dovuto lottare con questo strumento, resta allo stesso punto di prima. Alla fine di una attività di Produzione libera orale buona, invece, lo studente ha una interlingua più ricca di prima. Il suo sistema sarà più complesso. Inoltre la consapevolezza delle difficoltà non ancora risolte sarà la spinta ad approfondire lo studio e a sfruttare di più l’insegnante. E mentre lo studente affronta questa sua impresa titanica, alcuni insegnanti restano prigionieri di una formazione perversa che li porta ad essere ossessionati dall’imperfezione delle forme, prigionieri di una visione della lingua atomizzata.

Per liberarci da questo dobbiamo impegnarci molto perché non è facile, è il modello dominante. Il nuovo obiettivo è invece un insegnante “nuovo stile” che è talmente centrato sullo studente come persona, è in un ruolo talmente empatico con lui e con il suo sforzo di esprimersi, comunicare (è quindi concentrato sul contenuto e non sulla forma), che il “voglio” usato al posto del “vorrei” (vedere sopra) nell’attività di Produzione libera orale perde importanza, non è sentito come “errore”. È lo studente che partendo dal suo bisogno chiederà all’insegnante conferma o nuova conoscenza per risolverlo. E così l’insegnante durante l’attività deve essere, come ha suggerito Luigi Micarelli nella sua relazione, fuori il contesto comunicativo ma dentro il contesto di apprendimento, a disposizione dello studente. Lo studente imparerà che può sempre, se vuole, dare una risposta soddisfacente ad un bisogno nuovo che cresce dalla sua aumentata competenza globale. Lo studente è quindi artefice del suo progresso, solo lui decide quanto e quando l’insegnante è utile strumento per la sua lotta, solo lui sa quanto può tollerare le sue imprecisioni e quanto invece deve chiedere per andare avanti.

Tutto questo non è in contraddizione con momenti di analisi e di riflessione linguistica. È semplicemente un’altra cosa. Sono due momenti ben distinti, entrambe previsti nel corso. Ma come far riflettere gli studenti? Riprendendo gli esponenti di una determinata funzione comunicativa svolta nella Produzione libera orale o semplicemente tornare sull’attività svolta per abbellire, sviscerare, può essere un brutto “anticlimax”; generalmente è scolastico e noioso, e la noia è nemica dell’apprendimento. Possiamo invece spaziare, arricchire la vita dello studente, colorarla di tanti altri temi linguistici, lasciarlo con la sensazione di aver lottato nella Produzione libera orale ma anche di aver finito, fargli vivere altri “film”, altri “romanzi” in cui incontrerà altre difficoltà e altre soddisfazioni.

Interviene un’altra partecipante a proposito di due problemi sorti durante i laboratori:

  1. lo studente si rifiuta di parlare di certi argomenti;
  2. nella preparazione della recita alcuni gruppi hanno usato molto tempo per decidere il testo, l’alternarsi delle battute e si sono trovati quindi ad usare più metalingua.

Nel primo caso l’insegnante deve insistere perché lo studente parli del tema proposto o deve invece fornirgli un vocabolario utile per difendere la sua scelta di non voler parlare? Nel secondo caso: è tempo perso? La domanda finale è: la comunicazione autentica e spontanea è solo quella ruolizzata e situazionale o anche la comunicazione di 2° grado? La metalingua è utile? Lo sforzo dello studente di formalizzazione astratta, la ricerca di un vocabolario linguistico della astrazione, della trasposizione, il tentativo di descrivere questa interlingua lo consideriamo inferiore al resto? Se lo studente si sente incompleto dopo una Produzione libera orale è solo perché è influenzato da un insegnante che si sente incompleto, o esprime confusamente un livello di bisogno più astratto ma comunque linguistico, necessario, autentico?

La risposta di Christopher Humphris: la metacomunicazione è spontanea quando spontaneamente si parla della comunicazione. Se corrisponde ad un bisogno dello studente allora si svilupperà una spontanea discussione sulla lingua. È invece arbitrario che l’insegnante ne parli alla fine della Produzione libera orale senza una richiesta dagli studenti. Sulla sensazione di incompletezza: talvolta, mentre noi insegnanti cerchiamo di liberarci dai guasti di una formazione tradizionale centrata sull’ossessione dell’errore, possiamo trovare studenti che già soffrono questa stortura. È una battaglia per la liberazione di entrambi. Inoltre l’argomento della Produzione libera orale dovrebbe essere così potente e interessante da catalizzare lo studente, da coinvolgerlo a livello affettivo. Una classe che rivendichi di parlare di problemi linguistici durante la Produzione libera orale è il segnale che il tema non era così efficace.

Qualcuno interviene dicendo che rischiamo di parlare di un insegnamento ideale con un allievo ideale, mentre invece la realtà impone un programma obbligatorio che prevede spesso esami a fine anno con un test che si basa sulla correttezza e quindi esclude che sia dato così tanto spazio al concetto di “libero”. È chiaro, risponde Humphris, che si deve pensare allo svecchiamento non soltanto del nostro insegnamento ma anche degli esami. Gli studenti “comunicativi” hanno meno paura, si lanciano di più, quindi fanno più “errori”. Un esame coerente con un approccio comunicativo dovrebbe usare tutt’altri criteri di valutazione che la “correttezza”.

Segue un intervento di osservazioni:

  1. la parola “autenticità” in una Produzione libera orale, così come per altre attività, non significa non presenza dell’insegnante, poiché l’insegnante c’è anche quando non appare: è colui che predispone l’attività;
  2. I’insegnante non dovrebbe risentirsi se gli studenti durante la attività di Produzione libera orale non parlano del tema proposto ma d’altro, perché se accettiamo di essere gli animatori di un processo di apprendimento, che resta comunque soggettivo, non possiamo poi porci come onnipresenti;
  3. nel processo di apprendimento esiste qualcosa di oggettivo: l’obiettivo a cui lo studente vuole arrivare, cioè il parlare il più approssimativamente possibile come i parlanti di madrelingua. Ma c’è un momento in cui si ferma in termini soggettivi? Non resta una distanza incolmata? Non c’è il rischio della cristallizzazione dell’errore? Che cosa si può fare?
  4. se nell’insegnamento adottiamo il testo come unità di base e non gli atomi e le frasi, e visto che l’organigramma di un corso non sarebbe più creato in base alla progressione grammaticale, strutturale o funzionale, che cosa definisce il programma di un corso in un approccio comunicativo? Il bisogno comunicativo dello studente? E se è così soggettivo come si fa a generalizzare?

Ci troviamo in una gabbia di pseudo-scientificità, risponde Christopher Humphris. La lingua è stata ridotta in atomi a cui vengono attribuite denotazioni di semplicità o complessità completamente arbitrarie. Vengono insegnati secondo un ordine di progressione dal più semplice al più complesso. Così pure con le funzioni, insegnate secondo un presupposto ordine di bisogni dello studente. Non ci sono dati scientifici seri che legittimino questo gradualismo. La più completa arbitrarietà viene spacciata per un dato oggettivo come se fosse possibile stabilire cosa è più semplice o più complesso, o scoprire, classificare e soddisfare i bisogni degli studenti. Tutto questo è una visione conservatrice dell’essere umano. Viene dato per scontato che lo studente resti uguale a se stesso durante l’esperienza di un corso, mentre è vero il contrario. L’interlingua che si evolve fa crescere in lui bisogni nuovi. Il vero problema nella rivoluzione della glottodidattica è liberarci da questo. E in agguato c’è già il prossimo pericolo: qualcuno vorrà ricreare una nuova camicia di forza e parlerà quindi dell’ordine “naturale” delI’acquisizione, codificando così un altro tipo di gradualismo. Dovremmo, invece, sfuggire ogni irreggimentazione, perché ne abbiamo capito la limitatezza. Potremmo rapportarci a questo come succede con un testo di grammatica: nella grammatica tradizionale troviamo scritto “la regola è questa”, nella grammatica moderna invece “si tende a dire così”. La partecipante intervenuta nota che, quindi, potremmo dire che una programmazione tradizionale che segna la scala dal semplice al complesso può essere sostituita dalla autenticità del testo che, con tutte le sue apparenti asistematicità, contiene la profonda sistematicità della lingua.

Ma, obietta un’altra partecipante, nella scelta del materiale in mancanza di una programmazione non si rischia di fare di un corso lo specchio delle preferenze dell’insegnante?

Nel passato il danno è venuto proprio dalla pseudo-oggettività, risponde Christopher Humphris. La soggettività non va temuta. È pericolosa solo quando non la si ammette. Unita a un rigore professionale che assicuri una grande ricchezza di input (diversità di temi, materiali, ecc.) è la garanzia che l’insegnante porti in classe una affettività che è il motore dell’energia che vogliamo scatenare nello studente. Se l’insegnante rinuncia alla propria soggettività fa cose che non gli piacciono e quindi i risultati ottenuti saranno inferiori.

C’è poi un intervento di una collega tedesca. Risponde all’osservazione che l’idea di lotta è insita nel meccanismo di apprendimento, che apprendere significa “armarsi” di un linguaggio più complesso e differenziato, quindi lottare per questo. Rileva però una grande differenza tra l’esaltazione della lotta in sé (poiché ne viene sottolineato l’aspetto di sopravvivenza, di conflitto) che ha trovato nelle attività di Produzione libera oraleosservate e invece il tipo di lotta nell’idea di Daniel Feldhendler. Nella sua presentazione l’acquisizione del linguaggio, che è lotta e rischio nell’esporsi, trova alleati e aiuto come parte costituente della lotta stessa. Il piacere non è quindi legato al fatto di lottare in sé, ma a questa modalità di lotta non individuale. Nel lavoro di Daniel Feldhendler l’aiuto non va chiesto, è lì, è riconosciuta la sua necessità. Anche nell’azione dei gruppi di suggeritori l’aiuto dato non toglieva nulla alla dimensione di lotta delle attrici ma contemporaneamente prevedeva un’alleato. Di fronte alla situazione di trauma lo studente non è obbligato ad andare a chiedere aiuto, perché è lì vicino; quindi gli permette di poter superare la difficoltà. Nei gruppi di Produzione libera orale del giorno precedente invece l’aiuto era lì, ma bisognava chiederlo. Insomma cosa pensa Christopher Humphris della centralità della drammaturgia o dell’aiuto, dell’alleato, come costituenti della situazione di apprendimento? Risposta: ciò che Daniel Feldhendler ha presentato, la figura dell’insegnante proposta, è certamente interessante e nuovo. Apre una serie di questioni che necessitano di un tempo di riflessione per esprimere un parere. È certo che ci sono sia contraddizioni che similitudini con le attività di Produzione libera orale dimostrate dagli insegnanti Dilit. Sicuramente c’è per noi ancora molto da migliorare per quello che riguarda i principianti. In particolare il problema dell’ansia dovrebbe essere oggetto di più attenzione. Il lavoro di Feldhendler è rivolto in gran parte ad affrontare questo aspetto soprattuto per gli studenti principianti, studenti ad “alto rischio”. La prima impressione è che forse per i livelli più avanzati lo stesso tipo di metodo è meno efficace poiché durante il processo di apprendimento, spesso l’ansia dello studente diminuisce perché si sente sicuro, si adagia, tanto che a volte l’insegnante può ritenere opportuno far misurare gli studenti con un livello di stress più alto.

Sempre sul lavoro di Daniel Feldhendler interviene una partecipante che ha in prima persona fatto l’esperienza: l’aiuto non è necessariamente un fattore positivo, quando si riceve un aiuto che non si vuole per dire qualcosa che non appartiene alla persona. La forza dell’aiuto è nella possibilità di chiederlo per dire ciò che voglio. Qualcun altro fa notare che ciò che abbiamo osservato era un lavoro in progressione, un aiuto che era sintonia e non sovrapposizione e che comunque abbiamo visto un aspetto didattico del lavoro, non immediatamente attuabile.

L’ultima domanda: quali criteri usare praticamente per accoppiare gli studenti quando, ed è la regola, abbiamo studenti-leoni (predominanti nel parlare) e studenti-pesci (timidi o timorosi)? Risponde Christopher Humphris: i criteri possono essere diversi, secondo una valutazione dell’insegnante. Per Produzione libera orale tipo “immaginario” che prevedono capacità differenziale nella gestione della conversazione si sceglierà il compito più difficile per lo studente più competente (es: l’intervista); in una Produzione libera oraledi tipo “reale” in cui agli studenti è chiesto di parlare di sé è invece probabilmente più efficace far scegliere personalmente il partner: perché un rapporto affettivo positivo sviluppa più energia. Deve insomma essere soddisfatto o il criterio di complementarità della coppia o di simmetricità. Entrambe offrono dei vantaggi come pure entrambe possono essere patologici: nel rapporto simmetrico si può scatenare la competizione per la competenza ad oltranza, nel rapporto complementare si può stabilire un rapporto insano di salvatore/vittima. Altre volte sarà usato un criterio di casualità totale che può essere equilibrato con cambi di più partner all’interno dell’attività. Altre volte bisogna tener conto di situazioni particolari (forte antipatia o forte simpatia tra due studenti) da evitare o da esaltare a secondo dei casi. La cosa importante è che i criteri varino e che nella sua esperienza lo studente possa sperimentare ruoli diversi per non fossilizzarsi.