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Discussione dopo una dimostrazione autentica di Ricostruzione di conversazione

La responsabilità dell’insegnante rispetto all’apprendimento dello studente, il rapporto con la classe e le scelte sulle quali fondare il proprio metodo di insegnamento: sono state queste, forse, le questioni più discusse dopo la Ricostruzione di conversazione proposta da Christopher Humphris, all’apertura del Seminario.

La “lezione” di Christopher (inglese, livello intermedio) si era svolta con un ritmo sostenuto in un clima molto simpatico. La classe era composta da una dozzina di persone, quasi tutte insegnanti, provenienti da esperienze diverse: solo alcuni avevano più o meno familiarità con l’attività che Christopher aveva dimostrato.

Le prime perplessità, all’apertura della discussione, sono state sollevate da un’insegnante della Volkshochschule che pure aveva partecipato con molto interesse; pensando alla propria esperienza poneva fondamentalmente due domande, una rispetto ai problemi tecnici dell’attività (come e con che criteri scegliere il materiale, dove trovarne di interessante, come acquisire la tecnica), l’altra rispetto al rapporto con la classe che spesso esige il libro di testo, contestando un insegnamento non tradizionale. Del resto, i corsi della Volkshochschule prevedono solo 60 ore di lezione l’anno e sono frequentati da persone molto diverse tra loro per età e per formazione culturale; anche alcuni degli altri insegnanti, provenienti dalle scuole all’estero, condividevano le stesse difficoltà: in classi che sembrano non sostenere un’insegnante nel suo rinnovarsi, non si possono improvvisare tecniche nuove.

Per quanto riguarda la tecnica, effettivamente, eravamo tutti d’accordo nel riconoscere la necessità di una qualche formazione per gli insegnanti, anche se questa darebbe solo quel minimo di sicurezza per iniziare a proporre in classe un’attività come questa, la cui tecnica si impara sperimentandola. Per il materiale Christopher faceva notare quanto bastasse poco, tutto sommato, per trovare conversazioni autentiche registrate da cui estrarre le battute da proporre in classe: inoltre molto materiale è già stato pubblicato ed è disponibile anche all’estero.

Ciò non toglie che la qualità del materiale linguistico scelto per la classe dipende sempre dall’insegnante, così come il modo di rapportarsi al libro; questo può essere infatti un utilissimo strumento, purché lo resti, senza condizionare il processo di apprendimento dello studente o il lavoro dell’insegnante stesso.

Da questi punti è partita una riflessione molto interessante che ha coinvolto tutti, permettendoci di toccare questioni metodologiche importanti, perché, se è vero che molti studenti cercano nel libro un riferimento comodo e sicuro, anche molti insegnanti, come giustamente faceva notare qualcuno, spesso si appoggiano al libro. Il problema è nel sentirsi sicuri, anche se sganciati dagli schemi tradizionali di insegnamento, di cui non è poi così facile liberarsi. Lo studente può contestare, può andar via, è un rischio reale, ma questo, diceva Christopher, è normale se non si resta fossilizzati; la classe stessa, con la sua varietà di culture e di età, può stimolare un processo di questo genere, anziché impedirlo.

Spesso, infatti, dipende da un nostro pregiudizio pensare che la classe possa o non possa fare determinate cose (per esempio affrontare certe difficoltà o andare avanti velocemente), ma il lavoro della classe, in realtà, molto spesso riflette la sicurezza, o le ansie e le paure dell’insegnante stesso. Così, a chi raccontava di dover controllare che i giovani non andassero troppo avanti, lasciando indietro i più anziani, un’insegnante della Dilit International House proponeva come atteggiamento quello di non avere un unico parametro per stabilire il giusto ritmo, ma considerare uno per uno gli studenti, valorizzando le capacità e la personalità di ciascuno; anche se, aggiungeva, la lezione di Christopher aveva avuto effettivamente un ritmo molto sostenuto al limite tra l’ansia e lo stimolo.

Ma come parlare di grammatica, o non parlarne, come poter capire quanto ha appreso lo studente se ci si allontana dal libro; cosa si deve sapere dopo un anno di corso e quindi quali testi scegliere per la Ricostruzione e in quale ordine graduale di difficoltà proporli: questi erano problemi ancora irrisolti per un’insegnante che si rivolgeva ai colleghi della Dilit per avere un’indicazione sul “metodo” da seguire. Ma con la dimostrazione di Ricostruzione di conversazione, però, non era stato proposto nessun tipo di “metodo”, se non una attività di presentazione che può essere affiancata alle altre attività che si svolgono normalmente in classe.

Rispetto alla grammatica “da sapere”, le risposte hanno riportato l’attenzione, ancora una volta, sull’atteggiamento dell’insegnante più che dello studente: perché potremo essere sicuri di quello che abbiamo spiegato in classe, diceva Christopher, ma non sapremo mai quanto è stato veramente appreso: rispetto a questo l’insegnante non ha nessuna responsabilità. Anche noi, dalla lezione di Christopher, avevamo imparato cose diverse, chi il lessico, chi le strutture morfosintattiche, ma ce ne siamo resi conto solo dopo.

L’apprendimento dello studente può dipendere da molte cose: dalle sue motivazioni, dal suo coinvolgimento in classe (e anche per noi era stato determinante essere coinvolti) e dalla qualità della lingua che viene proposta in classe. Se si è in grado di accettare di non essere indispensabili per l’apprendimento dello studente, allora si sarà più capaci di allontanarsi dall’insegnamento tradizionale, di iniziare il libro dalla fine o di non usarlo affatto. Se ci si riflette sul serio, il proprio rapporto con la classe non può che cambiare; all’insegnante spetterà il compito, però, di facilitare il più possibile lo studente nel suo approccio con la lingua, facendo sì che diminuiscano ansie e paure, che si crei un clima che favorisca interesse e coinvolgimento; e non è facile.

Siamo tornati, quindi, al problema della qualità/quantità di lingua ricca/povera da portare in classe. Della quantità si era già detto: non dovrebbe essere una preoccupazione dover insegnare un tot di parole e di verbi irregolari, se non si può verificare l’effettiva acquisizione di questi dati. Rispetto, invece, alla qualità della lingua, alla sua ricchezza, alcuni insegnanti della Dilit hanno proposto la loro esperienza e le scelte fatte in proposito.

La lingua autentica, infatti, è stata considerata materiale privilegiato sul quale far riflettere lo studente e dal quale permettergli di trarre conoscenze grammaticali in senso molto ampio: non solo rispetto alla morfologia, ma anche alla fonologia, ecc. Su questa lingua è stato scelto di lavorare. Lingua ricca nel senso di autentica, quindi, senza risparmiare alla classe le difficoltà che ne possono derivare. Più lingua autentica sarà offerta, più materiale avrà lo studente per imparare: così, ad esempio, Christopher non considerava particolarmente ricche le battute che avevamo ricostruito rispetto all’intera conversazione da cui erano tratte.

A questo punto si è parlato più specificatamente della Ricostruzione di conversazione; partendo da considerazioni generali, abbiamo poi riflettuto sull’esperienza che noi stessi avevamo fatto come studenti.

Un’insegnante chiedeva come proporre argomenti mai spiegati prima, il passato remoto, ad es., e Christopher ci faceva notare che noi stessi avevamo cercato il tempo giusto perché avevamo capito quale fosse il contesto e quale la funzione comunicativa. Anziché partire dalla forma per poi dare il significato, questa attività permette, se ben fatta, di chiarire ogni sfumatura di significato in quel dato contesto, prima di arrivare all’esatta forma grammaticale che viene usata: è un itinerario inverso rispetto a quello tradizionale e in questo modo, sottolineava Christopher, si può fare grammatica in un modo molto sofisticato.

L’insegnante accompagna lo studente il più vicino possibile, gli offre i termini che mancano e interviene sugli errori: ma se tutto questo si svolge in un clima di coinvolgimento, in cui l’attenzione è focalizzata sul problema comunicativo e non sulla morfologia, quasi non ci si accorgerà di “fare grammatica”.

Del resto offrire agli studenti schemi già confezionati di norme e di regole impedisce quel processo di rielaborazione delle nuove conoscenze linguistiche che è alla base del vero apprendimento: perciò non deve essere un problema, per l’insegnante, proporre elementi nuovi in modo sparso e senza schemi. Se poi tutto questo avviene in un’atmosfera giocosa e simpatica, sarà più facile imparare: in questo modo, aggiungeva ancora un’insegnante della Dilit, lo studente acquisterà fiducia non tanto verso l’insegnante, ma soprattutto nei confronti degli strumenti che gli sono offerti, che saprà di poter usare anche se in disaccordo con l’insegnante stesso.

Così, alla fine, più che discutere dell’attività che era stata dimostrata e della sua tecnica, questioni che comunque sarebbero state approfondite meglio nei giorni successivi, avevamo disegnato il ritratto di un insegnante ben diverso da quello tradizionale, che non sommerge di parole la classe, ma che in ogni momento valorizza la competenza linguistica di ogni studente (anche se dopo solo una settimana di lezione) e che non insegna affermando, concludeva Christopher, ma domandando e suscitando interesse.