Analisi della differenza e dei possibili percorsi di raccordo fra Verso l’italiano e il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue
Qualche anno fa mi è capitato in classe Jacek, un giovane skipper croato. Spesso veniva a contatto con clienti italiani, aveva imparato la nostra lingua d’istinto e aveva iniziato il corso alla Dilit perché voleva “mettere un po’ d’ordine” in quello che sapeva già. Mi aveva colpito in particolare il fatto che conoscesse un’espressione come “tira vento”, ma non sapesse chiedere a qualcuno, in modo adeguato, di ripetere ciò che non aveva sentito bene. “Come, scusa?” restava per lui un mistero.
Mi sono chiesta come avrebbero trattato la questione i due libri in esame. Verso l’italiano non ci troverebbe niente di strano, perché Jacek è un esempio applicato della teoria acquisizionale: in situazioni spontanee di apprendimento, si impara prima il presente indicativo e dopo l’imperativo.
Per il Quadro comune europeo di riferimento, invece, ci sarebbe un problema da affrontare al più presto. Il ragazzo, infatti, non conosceva ancora una delle formule basilari per interagire in modo autonomo con gli italiani. A meno che Jacek, al posto di “Come, scusa?” non dicesse magari “Eh?”.
In fin dei conti la seconda espressione è altrettanto efficace dal punto di vista pragmatico, benché meno elegante.
Una delle maggiori differenze tra i due testi, è che il primo ha un approccio puramente teoricoscientifico: presenta un assioma e tenta di provarne empiricamente la veridicità. Nello specifico prevede “un processo naturale di acquisizione” e preconizza di non contrastarlo nell’ambito degli interventi didattici. Prende le distanze comunque dalla glottodidattica, di cui si propone solo come fonte di ispirazione (p. 254-6).
Per il secondo testo, invece, conta il risultato. Lo sforzo principale, compiuto da esperti provenienti da 41 stati membri del Consiglio d’Europa, è teso a delineare griglie di caratteristiche dei vari livelli di competenza linguistica, raggiunti sia in modo istituzionale che spontaneo, in modo da poter gestire gli apprendenti in maniera coerente a livello europeo, per quanto riguarda non solo la pedagogia e gli apprendenti stessi, ma soprattutto la valutazione linguistica.
Premessa
Prima di intraprendere la lettura di Verso l’italiano, mi sono imposta di non avere pregiudizi. Tengo a precisarlo perché nel 2002 ho assistito a un intervento di Anna Giacalone, la sua curatrice, durante un convegno su “Glottodidattica e ricerca”, vicino a Verona. La sensazione che avevo provato era quella di tanti piccoli assaggi più o meno stuzzicanti che però non mi avevano lasciato sazia. Aveva toccato vari temi esplorati nel libro, ma, forse per limiti di tempo, mancava quella visione organica, che si riscontra invece in alcune parti del testo. Trovavo “appetitosa” la questione se dalla forma si passa alla funzione o viceversa, con le relative riflessioni sul valore epistemico dei modali e sulla maggiore velocità dell’apprendimento della morfologia flessiva in italiano rispetto al francese… Non mi era chiaro il nesso con l’imperfetto che emerge in genere dopo il passato prossimo e concordavo sul fatto che lo studio dell’interlingua consente di “vedere” il processo di apprendimento.
Anche a me risulta difficile presentare entrambi i libri senza apparire troppo analitica o troppo sintetica. Tentando di ovviare a questi limiti, metto graficamente in parallelo alcune differenze che più mi hanno colpita:
Verso l’italiano | Quadro comune europeo |
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Un progetto scientifico | Perché |
Dichiara di essere “un “progetto scientifico” in grado di apportare elementi di riflessione teorica e aumentare le conoscenze empiriche nel campo della ricerca sulle lingue seconde” (p.13). Si prefigge di scoprire quale sia il processo di acquisizione universale e naturale alla base dell’apprendimento dell’italiano in ambiente spontaneo, con l’intento di proporsi come supporto teorico per la glottodidattica, cioè nella gestione di un corso d’italiano come L2 (p. 304). | Nasce dall’esigenza di creare una politica linguistica europea e più precisamente un cittadino europeo ideale, plurilingue, aperto ad altre culture e pronto a interagire efficacemente con persone di lingue differenti. Con la padronanza della lingua l’apprendente “vede le cose diversamente, assume una nuova prospettiva e può guardarsi intorno in modo nuovo” (cap. 3.6, p. 43).
Nella prefazione, i due scopi principali dichiarati sono: 2. “Agevolare lo scambio di informazioni” tra i lettori su obiettivi da raggiungere e su come raggiungerli (p. 9). |
Metodo di ricerca | Come si presenta |
Le ricerche si sono svolte nell’arco di quasi vent’anni su conversazioni tra apprendenti, in prevalenza immigrati, e italiani di lingua madre, spesso i ricercatori stessi (p. 27).
Sono state prese in esame sia prestazioni particolari sul breve periodo, sia evoluzioni dell’interlingua sul lungo periodo (fino a due anni) (p. 28). L’indagine si basa su venti trascrizioni di interviste tra quelle fatte a “numerosi apprendenti”. Gli autori sono consapevoli del fatto che, essendo i soggetti intervistati e dovendo essi svolgere dei compiti linguistici prestabiliti, non si può parlare di conversazioni spontanee vere e proprie, ma tale approccio permette, a loro dire, una migliore comparabilità dei dati (p. 29). Le registrazioni sono state analizzate nei minimi dettagli da un punto di vista prevalentemente morfosintattico, non tralasciando l’aspetto prosodico (p. 35). A volte si sofferma sui caratteri socio e pragmalinguistici (per esempio nel cap.4.2, p. 79). |
Contiene numerose liste di categorie, sottocategorie e descrittori in pratica di tutti gli elementi implicati nella comunicazione. L’intento di questa minuziosa scomposizione è di produrre uno strumento flessibile e modulare di armonizzazione delle competenze socio-linguistiche, dei metodi di insegnamento, apprendimento e valutazione per tutte le lingue.
Pone domande, non dà risposte (p. 9). Sta ai lettori decidere. In nome dei “principi fondamentali di una democrazia pluralista”, vuole essere non solo “esaustivo, trasparente e coerente”, ma anche “aperto, dinamico” (cap. 2.3.2, p. 23). |
La linguistica acquisizionale | L’acquisizione |
La tesi degli autori è che esiste un “grado di apprendibilità” per ogni tratto linguistico. Ciò significa che nell’interlingua emergono alcuni elementi prima di altri per motivi che spaziano alla frequenza nell’input, all’utilità nella comunicazione o alla facilità con cui tali elementi sono riconosciuti.
Questi ed altri motivi rendono facile imparare alcuni tratti linguistici piuttosto di altri (p. 256). Se un insegnante usa dei materiali didattici o comunque segue un ordine di presentazione degli argomenti linguistici che non rispetta la sequenza naturale risultante dalle loro ricerche, per esempio il condizionale subito dopo il presente (p. 301), l’insegnamento entra in conflitto con l’evoluzione prevedibile dell’interlingua. Se si ignorano i risultati, per altro non ancora completi, (p. 13) delle loro ricerche, “la memoria degli allievi viene caricata con scarso successo, perché il momento migliore per studiare una determinata struttura è (…) quello che precede di poco lo stadio previsto dalla sequenza acquisizionale naturale” (p. 14). |
Il tema dell’acquisizione è affrontato solo nel 6° capitolo, dove non si presenta un’unica teoria, ma una vasta panoramica delle teorie di apprendimento o acquisizione in circolazione (p. 170). Con l’approccio pragmatico che lo contraddistingue, mette a fuoco non tanto la natura del processo acquisizionale, ma piuttosto che cosa bisogna saper fare e saper essere e come, per esempio lavorando in coppia o individualmente; come si possono creare le condizioni migliori per favorire l’acquisizione ecc., il tutto integrato da minuziose domande aperte, che possano servire da linea guida.
Un sottocapitolo (5.1.44) è dedicato all’abilità euristica, che ogni apprendente dovrebbe avere: osservare, cogliere i significati, analizzare, fare inferenze e memorizzare (p.133). |
I livelli | I certificati |
Sono determinati dal livello di complessità cui è arrivata l’interlingua. Si tratta quindi di una descrizione di uno stadio raggiunto “senza che il piano descrittivo assuma valori coercitivi” (p. 277). Si contrappone quindi al Quadro, secondo cui è condizione indispensabile raggiungere determinate competenze per “gestire in modo ottimale i rapporti interattivi in varie situazioni, scambi sociali comunicativi” (p. 277). Prende in considerazione in particolar modo gli elementi strutturali (p. 280). | Nonostante il titolo, si concentra in prevalenza sul risultato pratico e sulla valutazione o meglio certificazione del livello di competenza linguistica raggiunto. Il numero delle categorie è tale che si consiglia di prenderne in considerazione solo 4 o 5 per evitare un sovraccarico cognitivo (9.4). La spendibilità della competenza è forse l’elemento più importante. Ad oggi l’applicazione più diffusa del Quadro riguarda l’adozione da parte di tutte le scuole europee dei 3 livelli di competenza (A, B, C, cioè Elementare, Intermedio e Avanzato), suddivisi a loro volta in 6 livelli (nell’ordine Contatto, Sopravvivenza, Soglia, Progresso, Efficacia e Padronanza) divisibili ulteriormente a seconda dei casi (cap.3). Un test che certifichi il raggiungimento di un determinato livello, permette di trovare lavoro o accedere a un’università in qualsiasi paese europeo. |
Lo studente | L’autonomia dello studente |
Il percorso acquisizionale è composto da “ tappe che l’insegnamento non dovrebbe mai violare” affermano (p.276). La scelta di questo verbo così forte lascia intendere che le raccomandazioni siano prescrittive:
“l’obiettivo della didattica linguistica è quello di gestire e forzare in modo ottimale i processi di apprendimento (p. 291). Lo studente ne è l’oggetto. |
Lo studente è considerato utente. Tra i sinonimi di utente ho trovato “consumatore”, ma anche “gestore”, che implica autonomia. Per aiutarlo a questo scopo, è previsto un portfolio(8.4.2), un documento che, seguendo i parametri definiti dai descrittori del Quadro, non solo attesta i livelli di competenza raggiunti dentro e fuori il sistema scolastico, facilitando la mobilità del cittadino europeo che lo possiede per tutto l’arco della sua vita, ma incoraggia l’autovalutazione e favorisce la definizione di nuove tappe di studio. |
Il linguaggio | Il linguaggio |
È destinato agli “specialisti di linguistica, di glottodidattica e gli storici della lingua italiana” (p. 14).
Trattandosi di una ricerca molto approfondita e dettagliata, viene fatto uso di termini tecnici. Si parla per esempio di verbi telici, riferiti a processi che includono il raggiungimento di un fine (p. 71), di diatesi, il rapporto fra verbo e soggetto o oggetto (p.79), ecc., insomma di vocaboli molto appropriati, anche se conosciuti solo da una ristretta cerchia di esperti del settore. |
È destinato a chi “opera professionalmente nel campo delle lingue” (p. XI) e perciò gli apprendenti, insegnanti, esaminatori, ispettori ministeriali, autori di libri di testo, formatori, amministratori scolastici, organismi esaminatori, per incoraggiare la cooperazione nel campo delle lingue moderne, a superare le difficoltà di comunicazione che la diversità dei sistemi scolastici fa nascere.
Cerca quindi di mediare in modo comprensibile un linguaggio tecnico e specifico. Una delle finalità è di creare una terminologia di riferimento per un linguaggio comune. |
Possibili percorsi di raccordo
Fin dalle prime battute Verso l’italiano si propone come supporto teorico per la glottodidattica ed è proprio questa la relazione che si potrebbe instaurare con il Quadro. Da un lato quest’ultimo si dichiara “non dogmatico” (cap. 2.3.2, p.23) e quindi aperto a tutte le teorie didattiche, incoraggia però “tutti coloro che sono coinvolti nel processo di apprendimento/insegnamento ad esporre nel modo più esplicito e chiaro possibile i fondamenti teorici e le procedure che mettono in pratica”.
Questo era anche l’auspicio del convegno di cui parlavo prima. A mio parere il linguaggio usato dal primo volume potrebbe però creare qualche ostacolo per la realizzazione del progetto. L’auspicio è che si instauri un circolo virtuoso in cui la teoria dei processi naturali interlinguistici interagisca con la glottodidattica. In pratica gli insegnanti, pur considerando le esigenze di conformità del Quadro, per altro molto flessibili, dovrebbero cominciare ad applicare le teorie acquisizionali in stretta sinergia con i ricercatori, sia nella gestione dei corsi sia nella produzione dei materiali didattici, i cosiddetti “materiali grigi” (p. 283 ). Se si sperimentano in classe, su larga scala, quelle che al momento sono soltanto ipotesi, i risultati potrebbero confermare o spingere a modificare le ricerche acquisizionali stesse. Verso l’italiano fonda le sequenze di apprendimento sulle trascrizioni delle conversazioni di 20 studenti per un totale di 9 lingue diverse. Prima di Natale nella mia classe di 14 persone, le lingue madri erano 12, in prevalenza diverse da quelle oggetto della ricerca. Mentre leggevo il libro, mi venivano già in mente molte cose che avrei potuto dire agli autori…