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L’insegnante si fa facendolo e non parlandone

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

… però trovo estremamente costruttive le occasioni di scambio e confronto… per arricchirsi, migliorarsi ed anche un po’ rincuorarsi a vicenda

Appena ricevuta la mail di Christopher ho letto l’articolo di Marcello Amoruso nel Bollettino Dilit 2009/1 tutto di un fiato ed in alcuni punti riconoscevo la descrizione di esperienze vissute ed un po’ temute.

Quando penso alla Ricostruzione di conversazione credo che sia uno dei cavalli di battaglia della Formazione DILIT, ma anche un’arma a doppio taglio se presentata o svolta in contesti d’ apprendimento “equivocati”.

Non vorrei che il mio intervento risultasse negativo nei confronti di quest’attività, infatti tengo a precisare che personalmente è una delle attività che preferisco svolgere a presentare in classe. Mi entusiasma e sento che può essere personalizzata. Durante la preparazione consente di scegliere le battute ascoltate in qualche posto e pronunciate da qualcheduno, di proporre una ragione della conversazione quanto più accessibile ed in tutto il lavoro di pianificazione, prova e sperimentazione è normale sentirsi pienamente coinvolti ed esposti tanto alla delusione quanto al successo.

Saranno sicuramente varie le volte in cui si sono provate sia l’una che l’altra sensazione e ciò credo contribuisca all’ aumentare la sensibilità e consapevolezza nei confronti del tipo di apprendenti che si hanno. Parlare dei successi non vuole essere un’autocelebrazione, dato che ho sempre pensato che il successo di un mio studente non è un mio successo, ma il raggiungimento di un suo traguardo. A costo di imparare una lingua non deve esser facile cambiare ed adattarsi ad un insegnante che “gesticola” sia per la tipica attitudine italiana che per la ricostruzione. Vorrei quindi esporre un episodio al quale ripenso rivedendo me come apprendente ed etimologicamente ignorante nel senso di non sapere.

La prima volta che la Ricostruzione di conversazione mi si è rivelata un insuccesso ero con delle studentesse giapponesi. Evidentemente non avevo considerato un aspetto culturale fondamentale: usare le mani per contare è abbastanza comune, ma può presentare delle diversità… Sinceramente era la prima volta che mi trovavo in Italia con una classe monolingue di livello A2 del QCE, solitamente avevo sempre lavorato con classi di diverse L1.

Avevo presentato la ragione della conversazione, le studentesse avevano iniziato ad elaborare le proprie ipotesi ed era giunta la fase in cui si lavorava su una di queste per renderla più italiana e arrivare alla soluzione. Stavo quindi scrivendo sulle mie dita l’ipotesi quando ho poi notato nei loro occhi perplessità dubbiosa; avevo paura che la situazione precipitasse ed in più era la nostra prima lezione insieme. Vedevo che mi imitavano a mo di contare, era come se volessero anche loro scrivere l’ipotesi sulle loro mani, ma in realtà notavo che contavano. Così per intuizione o senso comune gli ho chiesto di contare in italiano usando le dita. Ho volontariamente interrotto l’attività perché avevo il timore di incorrere in un’incomprensione forzandole, ma poi mi sono resa conto che l’incomprensione c’era ed era da parte mia. Non avevo insistito abbastanza sul fatto che vedessero le mie dita come parole ed ho scoperto che i giapponesi con le dita di una mano possono contare addirittura fino a 31.

Dopo la lezione sono corsa a documentarmi perché non riuscivo a capire cosa si fosse verificato ed allora ho scoperto che in Giappone per contare sulle dita si utilizza il sistema binario secondo il quale un dito può avere più di un valore e che ci si avvale di due modi:

  • Uno impiega una sola mano e serve a contare per se stessi. La mano è aperta con il palmorivolto verso l’alto, quando si inizia a contare si abbassa di volta in volta un dito, dal polliceal mignolo, in definitiva ne risulta che:
  • il pollice abbassato vale 1
  • il pollice e l’indice valgono 2
  • il pollice, l’indice ed il medio valgono 3
  • il pollice, l’indice, il medio e l’anulare valgono 4
  • il pollice, l’indice, il medio, l’anulare ed il mignolo valgono 5
  • utilizzando il procedimento inverso, quindi alzando le dita a mano a mano si conta da 6 a10
  • L’altro modo impiega le due mani e serve per indicare un numero ad un’altra persona. Sialza una mano chiusa con le dita piegate e si alza un dito alla volta partendo dall’indice, poimedio, anulare, mignolo e pollice. L’altra mano si usa per contare da 6 a 10.

La lezione successiva iniziammo parlando di usi e costumi dell’Italia in relazione al Giappone, le due studentesse furono molto entusiaste della mia scoperta e così dopo aver insistito ulteriormente sul compromesso di considerare l’ipotesi scritta sulle dita dedicammo tutto il tempo alla ricostruzione delle quattro battute. Spero che la mia esperienza possa risultare d’interesse e scambio per vincere le proprie insicurezze anche se in fin dei conti ciò che mi ha maggiormente insegnato è che l’insegnamento cooperativo può dimostrare i propri successi non solo tra gli studenti.