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Una classe noiosa

Quante volte nel nostro lavoro ci troviamo davanti a classi, gruppi o singoli studenti che definiamo come “noiosi”?

Quante volte proviamo davanti a questi studenti un inequivocabile senso di rabbia e di impotenza nel non riuscire a cambiare questa classe, o questa atmosfera “noiosa”?

L’unica cosa che facciamo è quella di intensificare i nostri sforzi per superare questa noia, mettendo in atto le tecniche più svariate, proponendo il materiale didattico più interessante, più stimolante. Ma, paradossalmente, più “facciamo”, più la classe non reagisce, mantenendo il suo stato di noia. Non ci resta allora altro che rifugiarci in semplificazioni terribili, come: “Quella classe è noiosa, è composta da gente noiosa, è un’incredibile coincidenza di persone noiose, e io sono sfortunato”.

La prima e più immediata semplificazione che mettiamo in atto è quella di non inserire la nostra figura all’interno del sistema che agisce, del sistema in preda alla noia.

Il punto di partenza dal quale mi muovo per proporre una visione di quello che succede in un gruppo-apprendimento è la teoria generale dei sistemi e, parallelamente, la teoria della comunicazione.

La teoria generale dei sistemi venne alla luce intorno alla metà degli anni ’30 per merito di L. Von Bertalanffy, ma si pose alla attenzione degli studiosi delle scienze umane soltanto negli anni ’50. Questa teoria, e la nascente teoria della cibernetica, sorse dalla crisi del modello meccanicistico della fisica e della chimica classiche, cioè da un rigido modello di causa-effetto.

Tale modello offriva spiegazioni in cui gli oggetti esaminati venivano analizzati nei loro elementi costitutivi, e osservati isolatamente uno per uno. Solo seguentemente venivano cercati tra questi componenti costitutivi i rapporti di causa-effetto, cioè di causalità lineare. Tale modello andò in crisi in quanto non riusciva ad offrire una spiegazione della materia vivente, in cui la complessità della interrelazioni valicava spiegazioni semplicemente causalistiche.

Bertalanffy scriveva: “possiamo affermare, come caratteristica della scienza moderna, che questo schema in termini di unità isolabili si è rivelato insufficiente. Di qui il comparire di nozioni quali quelle di totalità, di olistico, di organismico, di gestalt, le quali, complessivamente, altro non significano se non che dobbiamo, in ultima analisi, pensare in termini di sistemi di elementi in interazione”. In pratica Bertalanffy proponeva di lasciarsi alle spalle un modello meccanicistico di causalità lineare che separa le singole parti di un tutto, e privilegiare un modello di causalità circolare che tiene in considerazione le complessive interazioni tra le parti. Esisteva cioè l’esigenza di occuparsi non più di isolate parti o isolati fenomeni ma di totalità che venne definita da Bertalanffy “organismica”. Queste premesse giustificano l’interesse che gli studiosi delle scienze umane e delle relazioni interpersonali rivolsero alla teoria generale dei sistemi, sulla base della constatazione che anche l’interazione umana si “organizza” secondo le modalità di un sistema.

Ma che cosa è un sistema? Una definizione che non rende merito alla complessità della materia è quella che focalizza un sistema come un complesso di elementi in interazione tra di loro, in interazione reciproca. Se noi sostituiamo agli elementi gli individui e alle interazioni la comunicazione abbiamo un sistema umano. Per essere più corretti gli elementi di un sistema umano non sono solamente gli individui, ma “individui-che-comunicano-con-altri-individui”. Gli studi elaborati negli Stati Uniti in seguito alla teoria di Bertalanffy hanno consentito di dimostrare che anche l’interazione umana è governata da criteri di “organizzazione”, e risponde quindi alle caratteristiche dei sistemi.

Abbiamo detto che l’interazione umana si svolge mediante la comunicazione, quindi i sistemi umani sono da considerarsi sistemi aperti, cioè sistemi in continuo scambio di materiale, energia e informazioni.

Vorrei ora ritornare al concetto di causalità lineare. Questo afferma che l’evento B accade in quanto l’evento A accade, o è accaduto, dando cioè una semplicistica spiegazione di causa-effetto agli eventi che si verificano. A questa concezione la teoria sistemica diede una violenta spallata sostituendola con una causalità circolare in cui veniva introdotto il concetto basilare di “feed-back”. Un’informazione circa l’evento B si ripercuote sull’evento A, che quindi influenza B, ecc., in una circolarità di eventi che si modificano reciprocamente.

Affermare che il comportamento di un individuo è causa del comportamento di un altro individuo è un errore epistemologico, l’errore di presentare i problemi o gli eventi in termini diadici di causa-effetto.

Così, al posto di una visione di causalità lineare va inserita una visione di causalità circolare dei sistemi in interazione, in cui ogni evento dà origine ad una risposta che, proprio in virtù del suo effettivo accadere, torna indietro, divenendo essa stessa causa di un’ulteriore interazione, e così via…

Torniamo alla nostra classe noiosa. Il sistema che comunica (insegnante-studenti) non si discosta, a mio avviso, dalle regole e dalla organizzazione dei sistemi viventi di cui parlavo prima. Le nozioni di causalità circolare, di feed-back, ed altre di cui non abbiamo trattato come retroazione, calibrazione, punteggiatura di eventi, ecc., si modellano alla realtà di un gruppo in un processo di apprendimento. Allora la proposta è quella di reimpostare i termini del “problema”. Dobbiamo parlare di classe noiosa, di studenti noiosi, o di un sistema noioso? È un errore di metodo pensare che l’insegnante è un soggetto attivo e lo studente un soggetto passivo e ricevente, così come è altrettanto pericoloso pensare che l’insegnante agisca sulla classe grazie solo alla sua abilità o alla sua tecnica. Perché così facendo vengono tralasciate parti emotive e cognitive della personalità dell’insegnante che vengono messe in gioco, e parallelamente ci si dimentica del ruolo fondamentale dello studente come trasmettitore di informazioni e di definitore del sistema e della relazione.

Gli studenti e l’insegnante costituiscono una nuova configurazione, sono una nuova struttura, sono un nuovo sistema, sono un nuovo organismo, dove per organismo intendiamo un’aggregazione in cui tutte le parti contribuiscono a dare una “sua” configurazione.

E l’insegnante è comunque dentro. Allora ecco che l’insegnante e gli studenti e qualsiasi altro elemento presente nel sistema (ad esempio un osservatore esterno) agiscono e reagiscono reciprocamente in modi a volte imprevedibili, poiché ogni azione e reazione cambia continuamente lo spazio relazionale nel quale ci muoviamo. Una visione circolare ci porta a tener conto del fatto che l’insegnante fa parte di un campo molto più ampio e che inevitabilmente è un elemento ineliminabile di ciò che tenta di cambiare.

Un elemento di quel sistema più ampio nel quale in quel momento, in quel contesto, la noia è solo una modalità, tra le tante, di relazione. Ma, soprattutto, la noia dovrebbe essere la definizione rispetto a un contesto. La noia negli studenti provoca la noia in noi che la provochiamo negli studenti, e così via.

La noia che, arbitrariamente, noi “vediamo” negli studenti come loro unica proprietà ha l’effetto di darci una informazione di come gli studenti ci vedono, come cioè insegnanti noiosi. Infatti, quali sono le classi in cui lavoriamo meglio, in cui la fantasia e la ricchezza di novità e di entusiasmo pervade tutto il sistema? Quali sono le classi in cui a volte ci dispiace interrompere la lezione perché il tempo è terminato, oppure la scadenza del corso ci suona come “condanna” delle tante cose che avremmo voluto fare?

Probabilmente saranno quelle classi che definiamo come stimolanti, interessanti, ma saranno anche quelle classi dalle quali riceviamo un’informazione sulla nostra immagine, che sarà inevitabilmente un’immagine di noi stessi come insegnanti stimolanti, interessanti, e per niente noiosi.

Per concludere ho una proposta-preghiera da fare: provate a rileggere questo articolo (se ne avete ancora voglia) sostituendo ogni qualvolta si presenta l’aggettivo noiosa/o con altri aggettivi, tipo: allegra, felice, seria, rigida, elastica, curiosa, svogliata, ecc.

A cominciare dal titolo.