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Lettura analitica: riferimento anaforico

Voglio presentare su questo secondo numero del Bollettino Dilit 1992 un’attività svolta circa due settimane fa riguardante un aspetto importante della coesione testuale, e, in particolare, il riferimento anaforico, cioè il riferimento a qualcosa cui si è già riferito precedentemente nel testo. Devo dire che molto interesse ha suscitato in me la sua preparazione, per le piccole scoperte che ho fatto e di cui parlerò più avanti:

Preparare quest’attività per me vuoi dire: a) rileggere attentamente il testo, almeno due volte; b) individuare sullo stesso quegli elementi (costituiti ciascuno da una o più parole) di riferimento che possono costituire una buona esercitazione della durata minima di mezz’ora; c) sottolineare questi elementi; d) elaborare il foglio di lavoro riscrivendo nell’ordine gli elementi e chiedendo di trovare gli antecedenti.

Gli elementi sottolineati nel testo possono avere due tipi di riferimenti, che, per comodità, possiamo chiamare riferimenti semplici complessi. Si parla dei primi quando ad ogni “elemento” corrisponde, a monte o a valle, un singolo sintagma nominale. Per esempio ad un “lo” potrebbe corrispondere come riferimento un “Paolo” situato nel testo alcune righe prima. Oppure ad un “ci” corrisponderebbe un “a casa” sistemato ad una certa distanza. Si parla dei secondi, cioè di riferimenti complessi, quando ad un “elemento” corrisponde un’idea, un concetto, un fatto, sistemati nel testo in alto o in basso e che spesso hanno l’ampiezza di un intero paragrafo.

Prendiamo in considerazione l’enunciato “Carlo non ne era entusiasta”. All’elemento “ne” potrebbe corrispondere, come riferimento situato molto prima nel testo, “una proposta” fatta a Carlo da qualcuno, la quale (proposta) si esprime per un’ampiezza di 6 righe. Quando un elemento ha un riferimento complesso, W. D’Addio parla anche di “incapsulatore”. Questo termine mi sembra felice e appropriato, perché dà la precisa idea di come un elemento molto piccolo possa racchiudere o “incapsulare” qualcosa di molto più vasto. Nel mio esempio, quindi, I’incapsulatore sarebbe il “ne”.

Per quanto riguarda la posizione dei riferimenti si parla di riferimenti anaforici se si trovano a monte dell’elemento, cataforici se si trovano più in basso nel testo. Statisticamente parlando, devo dire che il numero dei primi sovrasta di gran lunga quello dei secondi. Ma passiamo ad altro.

Durante la preparazione di questo tipo di attività mi sono accorto che quando elaboravo qualcosa per principianti tendevo naturalmente a privilegiare l’individuazione degli elementi con riferimenti semplici, anzi, spesso il foglio di lavoro era dominato totalmente da questi. Quando invece il livello delle classi saliva, altrettanto naturalmente le mie opzioni elaborative si dirigevano verso elementi incapsulatori che avessero riferimenti complessi.

Un’altra piccola scoperta è quella della distanza fra elemento e riferimento. Questa era minima per i principianti, mentre, in classi avanzate, poteva succedere che, in un articolo di 3 colonne, un “incapsulatore” posto in III colonna avesse il riferimento anaforico quasi all’inizio della II.

Ovviamente, anche la complessità dei testi gioca un ruolo molto importante. Anche qui, mi sono naturalmente ritrovato a scegliere testi di cronaca o di narrativa per i principianti, testi più concettuali per gli altri. Ma non sempre questo è vero: talvolta anche la narrativa si esibisce in “contorsioni” piuttosto complicate.

Riassumendo, si potrebbe non dico dare una regola, ma suggerire un metodo per chi elabora esercitazioni di questo tipo e quindi dire che:

a) generalmente la difficoltà di un testo aumenta in ragione della sua concettosità e, aggiungerei, anche in ragione di certi giochi morfosintattici che si snodano per lunghi periodi;
b) meglio privilegiare, nei livelli bassi, i riferimenti semplici, casomai cercando qualche elemento complicante nell’aumento della distanza fra elemento e riferimento;
c) salendo il livello, dare il massimo spazio agli incapsulatori e alla distanza fra essi e i relativi riferimenti complessi.

Nota: quando parlo di principianti, relativamente a quest’attività, non intendo le persone ai primissimi giorni di corso, ma gente che abbia alle spalle almeno 50 ore effettive di studio.

Un esempio

Quest’attività è stata eseguita con una classe al III livello, quindi dopo circa 150 ore di lezione, su un testo, che era stato già utilizzato 7 giorni prima in sede di Lettura autentica, testo noto, quindi. La classe, composta di 8 studenti, che per comodità chiameremo A, B, C, D, E, F, G, H, ha avuto modo, come primo momento dell’attività, di rileggere una volta il testo originale, rapidamente. Poi, sono passato a spiegare come doveva svolgersi l’attività e soprattutto a sottolinearne l’importanza e gli obiettivi. Sono quindi passato a distribuire il testo sottolineato e il foglio di lavoro (fig. 1 e 2).

Ho lasciato alla classe 5 minuti per guardare quest’ultimo e per farmi le ultime eventuali domande.

Finalmente l’attività è decollata. Gli studenti hanno lavorato in coppie: una volta secondo lo schema AB – CD – EF – GH, un’altra volta secondo lo schema speculare AH – BG – CF – DE. Ciascuno dei due momenti di socializzazione del lavoro è durato 11 minuti esatti. C’è stata anche una terza ed ultima socializzazione con lo schema di nuovo variato, e cioè AC – BD – EG – FG, della durata di 10 minuti esatti. Durata complessiva dell’attività: 45 minuti. Il tempo impiegato mi sembra accettabile soprattutto se si tiene conto del fatto che si trattava di un’attività analitica su un testo già noto. Un’ora, francamente, mi sarebbe sembrata eccessiva. Ma, a dire il vero, se l’attività fosse durata meno di mezz’ora avrebbe forse rischiato di avere l’aspetto striminzito della troppa brevità. Comunque devo dire, per concludere, che la classe ha lavorato con notevole interesse durante tutto l’arco dei 45 minuti. E quando alla fine ho interrogato qualche studente per sondare il gradimento verso questo tipo di lavoro, le risposte erano, sì, un tantino complimentose nei miei confronti, ma contenevano anche degli elementi che mi facevano capire quanto nella classe fosse presente l’obiettivo dell’attività da poco conclusa. Era ciò che volevo.

Conclusione

Avviandomi alla conclusione, vorrei tentare di delineare il concetto di “coesione testuale”, di cui il riferimento anaforico costituisce un capitolo saliente e di sottolinearne l’utilità.

Rifuggendo da definizioni troppo accademiche, posso dire che spesso mi ritrovo a pensare alla coesione testuale come ad una trama di fili sottilissimi che tengono insieme i vari elementi di un testo, sia a livello morfosintattico che contenutistico: una sorta di tela di ragno, insomma, intrinseca al testo stesso, la quale fa sì che tutto stia insieme e niente collassi. Come attività esercitativa, poi, trovo molto utile cimentarsi nel tipo di attività descritta, sia per chi vuole soltanto apprendere per parlare, sia per chi desidera condurre studi nella nuova lingua. È molto gratificante, a mio avviso, accorgersi, dopo una lettura, di poter perfettamente ritenere ciò che il testo dice. L’attività proposta serve proprio a sviluppare questa competenza. Capire senza ritenere è cosa effimera. E su ciò anche Dante è d’accordo quando afferma che “non fa scienza, senza lo ritener, l’aver inteso”.

Arrivederci e buon lavoro.

Fig. 2

COESIONE TESTUALE

1. “esse” – Riferimento.
2. “la cosa” – Riferimento.
3. “essi” – Riferimento.
4. “ciò” – Riferimento.
5. “essa” – Riferimento.
6. “la notizia” – Quale?
7. “altre” – Altre da che?
8. “lo stesso” – Riferimento.
9. “questo” – Riferimento.
10. “attuale” – Riferimento.