LA PRODUZIONE LIBERA ORALE: UNA RIFLESSIONE SU ASPETTI RILEVANTI NELLA PRATICA DIDATTICA
di Antonella Mele[1]
[1] Il presente articolo è frutto di un intervento al convegno dell’Associazione dei Docenti di Italiano in Germania di Amburgo il 22-23 novembre 2019 ed è stato pubblicato sulla rivista dell’ADI Aggiornamenti nr. 16
Abstract
Perché la maggior parte delle persone comincia a studiare una lingua?
Essere in grado di comunicare con persone appartenenti ad altre culture non è forse la molla che spinge a proseguire lo studio e a voler sviluppare le proprie competenze linguistiche?
Gli insegnanti cosa possono fare per permettere agli apprendenti di migliorare la loro competenza orale?
La didattica che ha come obiettivo l’insegnamento della lingua seconda definisce la produzione orale un’abilità fondamentale che caratterizza la competenza del parlante in differenti situazioni comunicative.
Nell’articolo si cercherà di dare in primo luogo una risposta a questi interrogativi partendo da alcune considerazioni sulla programmazione didattica in cui vengono definite e differenziate le attività libere da quelle controllate perché proprio dalla mancata distinzione può nascere a volte una confusione che non aiuta l’apprendente nell’acquisizione della lingua bersaglio.
Nella seconda parte verrà trattata la produzione libera orale tenendo conto delle sue caratteristiche peculiari e presentando alcuni aspetti fondamentali per una buona riuscita dell’attività, in accordo con gli obiettivi prefissati.
Per una programmazione più consapevole
Un corso di lingua deve valorizzare le capacità di apprendimento dello studente senza ingabbiarlo in un programma predeterminato, rigido e limitante[1]. Un’impostazione così dinamica porta di conseguenza l’insegnante a dover costruire il proprio percorso di insegnamento con ripetuti aggiustamenti o addirittura cambiamenti di rotta sulla programmazione delle attività.
Nel processo di apprendimento è necessario far focalizzare l’attenzione degli studenti sui significati per capire o cercare di esprimersi liberamente, favorendo quindi l’acquisizione. Per questo deve essere prevista da una parte un’abbondante esposizione alla lingua autentica e dall’altra è necessario creare numerose occasioni per lasciare esprimere l’apprendente senza il controllo da parte dell’insegnante. Ma andranno pure previsti diversi momenti di ricerca e scoperta delle forme della lingua per permettere di sviluppare la consapevolezza dei fenomeni linguistici e la capacità di ragionare sulle loro funzioni, promuovendo in questo caso l’apprendimento linguistico.
Nella programmazione bisogna chiedersi quale sia la direzione del testo. Lo studente deve ricevere testo o deve produrlo? Dedicare almeno lo stesso tempo sia alle abilità ricettive che a quelle produttive, gli permetterà di curare in pari misura non solo la sua capacità di comprendere ma anche quella di esprimersi. L’obiettivo è quello di esporre lo studente a testi ricchi e di conseguenza metterlo in condizione di sperimentare un output libero e abbondante.
Abbiamo così due macrocaselle, ovvero la ricezione e la produzione, e agendo in queste due macrocaselle, bisogna tenere distinti i momenti in cui l’apprendente deve focalizzare l’attenzione sulle forme da quelli in cui deve invece focalizzarsi sui significati. Quanto più tutto ciò sarà ben distinto e definito da parte dell’insegnante nella gestione dello spazio, nelle istruzioni chiare e puntuali, nel suo ritirarsi per lasciare autonomia all’apprendente o nella sua presenza autorevole sì, ma anche attenta e rassicurante, tanto più evidente sarà il coinvolgimento che si otterrà da parte dello studente.
Nella pratica didattica bisogna separare in modo netto e trasparente, per lo studente, i momenti in cui deve “produrre” lingua puntando alla scorrevolezza, dai momenti in cui deve concentrarsi e “produrre” lingua facendo attenzione alla correttezza. Questo perché quando parliamo in una lingua straniera, non riusciamo contemporaneamente a pensare ai contenuti da esprimere, a scegliere le parole appropriate e ad applicare regole grammaticali. “Se si fa molta attenzione al contenuto, ci si dimenticherà di applicare qualche regola grammaticale, se si pensa molto alla grammatica ne risentiranno la pronuncia e l’intonazione.” (Pallotti 1998 : 250)
Più la linea di demarcazione tra controllo e libertà è netta, e maggiore risulterà l’energia cognitiva che ne scaturirà durante questa attività. Lo studente si chiede che cosa vogliamo che lui faccia, e poiché tutto ciò che succede durante la lezione, fornisce agli studenti informazioni su quello che faremo la volta successiva in cui proporremo la stessa attività, è importante chiarirci su quali obiettivi vogliamo perseguire e a quale risultato ci preme arrivare. Sempre tenendo conto che nel nostro lavoro parliamo di processo e non di prodotto.
Una buona programmazione, partendo da questo impianto, dovrà essere un insieme di esperienze più varie possibili che rispettino la naturale individualità dell’apprendimento. In classe l’insegnante scoprirà le strategie di apprendimento degli studenti: come imparano, con quali aspettative sono arrivati e cosa vogliono raggiungere, la loro conoscenza del mondo. Tutti elementi che li porteranno ad avere diversi percorsi di acquisizione. Con queste informazioni si delineerà un programma in cui tempi e spazi si adeguino ai vari componenti della classe in accordo con l’idea che l’apprendimento di una lingua non ha un andamento lineare.
In una prospettiva così osmotica e dinamica della programmazione, ci si auspica che venga dedicato più tempo alle attività in cui lo studente si focalizza sui significati rispetto alle attività in cui si concentra sulle forme. Mettere alla prova tutte le strategie comunicative, negoziare significati e arricchire le proprie ipotesi, senza sentirsi giudicato dall’insegnante, è possibile unicamente se gli apprendenti avranno più spazio e più occasioni di cimentarsi con la lingua che studiano.
L’interlingua : una competenza transitoria
Partiamo da qualcosa di estremamente condivisibile da parte di molti, se non tutti, gli insegnanti di lingua: studiare le strutture, le regolarità e le irregolarità di una lingua straniera non è sufficiente per essere in grado di comunicare oralmente in quella lingua.
Oltre a questo tipo di studio ci deve essere qualcos’altro che permetta agli studenti di poter essere soggetti attivi nell’ambito di uno scambio comunicativo in quella lingua con un parlante nativo.
Produrre frasi corrette da un punto di vista morfologico non garantisce allo studente di essere in grado di partecipare ad una conversazione normale con parlanti nativi.
Ma è anche vero che quando lo studente produce lingua liberamente commette molti errori e allora perché in classe dobbiamo prevedere attività in cui lo studente si esprime in lingua italiana? Qual è l’utilità di questi momenti?
Per rispondere a questa domanda non possiamo non parlare del concetto ‘Interlingua’, termine coniato da Larry Selinker intorno ai primi anni ῾70, periodo in cui ci furono i primi cambiamenti significativi nella glottodidattica. L’interlingua è definita come un sistema linguistico provvisorio, e di conseguenza dinamico, costruito dal discente. Nel suo percorso di acquisizione di una lingua, il discente si costruisce una sua interlingua [2], attraverso la quale non fa altro che rendere note le sue ipotesi sulla lingua bersaglio.
In pratica, lo studente quando produce lingua manifesta delle ipotesi sul suo funzionamento. E le risposte che riceve gli servono per smentire o confermare le sue ipotesi.
L’adozione della prospettiva teorica dell’interlingua, intesa come competenza transitoria dello studente nella pratica didattica, consente di riconoscere le produzioni dell’apprendente come tentativi di comprendere il funzionamento della lingua che sta imparando (Pallotti 2005 ). In quest’ottica gli errori diventano espressione delle strategie di apprendimento dell’apprendente. Continua Pallotti (2005): “Assumere l’ipotesi dell’interlingua, insomma, significa cercare di capire come uno sta imparando.”
Il compito di noi insegnanti è unicamente quello di farla diventare gradualmente sempre più complessa e simile alla lingua bersaglio.
La Produzione libera orale
La destinazione primaria dell’apprendimento linguistico è apprendere uno strumento che si possa impiegare in reali processi comunicativi. Quindi se concordiamo sul fatto che la comunicazione verbale rappresenta un nucleo essenziale e imprescindibile dell’apprendimento, allora lo studente deve praticare, deve parlare perché solo così diventa più sicuro delle nuove informazioni che sta cercando di assimilare. Più lo studente usa la sua interlingua, più si sforzerà a farlo e più sentirà che è messa sotto tensione la distanza tra Volere e Potere.
La tensione costringe il parlante a confrontarsi con caratteristiche come la spontaneità, le semplificazioni, il bisogno che contraddistinguono gli eventi comunicativi tra nativi, senza avere la possibilità di organizzare il discorso.
Ciò che deve fare l’insegnante è lavorare per diminuire questa distanza, la distanza cioè tra Volere e Potere, tra ciò che lo studente vuole dire e ciò che può dire. Ed è proprio questa tensione che spinge lo studente ad andare oltre le sue conoscenze, a sperimentare forme linguistiche, e ad addentrarsi in territori linguistici a lui sconosciuti.
Quando uno studente parla liberamente, il testo che produce è la manifestazione della sua interlingua. L’interlingua, intesa come sistema in movimento fatto di ipotesi che vanno sempre verificate, ha bisogno di spazio e tempo per riorganizzarsi. Ovviamente è un sistema meno ricco ed efficace rispetto a quello che utilizza il parlante nativo, ma più lo studente si metterà in gioco e più questo sistema si complessificherà e arricchirà e di conseguenza aumenterà gradualmente la sua consapevolezza delle difficoltà non ancora risolte che lo spingeranno ad approfondire lo studio della lingua e a sfruttare di più l’insegnante.
Bisogna fare in modo che l’apprendente possa e voglia investire delle energie (cognitive, emotive e fisiche) affinché l’input venga rielaborato. L’insegnante deve favorire contesti appropriati. (Van Lier (1988)
Gli aggettivi che Van Lier usa per definire le energie coinvolte valgono anche quando parliamo della tensione che si sprigiona durante la produzione libera orale. Con tensione non si intende infatti uno stato di agitazione, bensì tensione cognitiva, quello sforzo di conoscenza che è poi la molla che spinge l’apprendente a volersi esprimere. Per fare questa esperienza al meglio, lo studente deve essere motivato e tranquillo, altrimenti non può trovare l’energia per affrontare le difficoltà linguistiche.
Fino a qui si sono introdotti i primi due aspetti che entrano in gioco nella produzione orale e che riguardano l’apprendente: l’interlingua e la tensione. Dal punto di vista dell’insegnante questa attività è una ‘finestra’ sul livello di interlingua dello studente, sul suo parlato ed è quindi uno strumento utile per l’insegnante, a patto però di rispettare alcuni principi per noi fondamentali per definire questa attività libera.
Con l’aggettivo “libera” si intende che:
- l’insegnante non interviene sulle forme prodotte dagli studenti, né durante, né dopo, se non dietro richiesta degli studenti [3] ;
- l’insegnante non circola tra gli studenti con l’intenzione di “ascoltare”.
Un insegnante interessato al contenuto e alle forme della produzione può benissimo ascoltare occupandosi di altre cose;
- l’insegnante non invita ad usare determinate strutture linguistiche;
- l’insegnante non commenta la “qualità” (correttezza) del prodotto. Ci può essere al massimo un commento positivo sulla quantità della lingua prodotta e sul tempo passato nella produzione.
L’insegnante, osservando la classe in maniera discreta, non invadente, può trarre moltissime indicazioni e impressioni sullo sviluppo dell’interlingua e non solo. Se favorirà in classe questa attività, permetterà di aumentare la coesione tra i componenti della classe e allo stesso tempo di consolidare un’atmosfera positiva che accoglie tutti gli aspetti emotivi che si sprigionano durante la produzione libera orale.
Durante l’interazione si stabilisce una relazione tra i partecipanti ad una conversazione che è il motore della comunicazione. Tanto più lo studente è interessato a comunicare, tanto meno accetterà, da parte dell’altro, una comprensione parziale dei significati che vuole comunicare e quindi si incrementerà la tensione non negativa. Uno studente coinvolto emotivamente dal contesto della conversazione farà aumentare le sue potenzialità riguardo alla riflessione sui meccanismi linguistici, perché non accetta che l’altro capisca qualcosa di diverso da ciò che lui vuole dire.
Proprio perché il comportamento linguistico ha luogo nella relazione con l’altro, dobbiamo dare allo studente l’occasione di esprimere la propria personalità nella lingua bersaglio e di vivere la relazione con un suo pari.
Per questo è fondamentale partire dalla comunicazione reale rispettandone le sue regole.
Quando due studenti cominciano a parlare, spesso si bloccano, interrompono l’interlocutore, cambiano tema per riprenderlo magari successivamente. Tutto ciò capita anche a due persone madrelingua che, quando parlano, possono sbagliare e si autocorreggono; anche all’interno di una conversazione normale si fanno le cosiddette ‘correzioni conversazionali’, con cui si cerca di riparare a eventuali fraintendimenti o di precisare un concetto, non di correggere errori grammaticali (Leonardi 1990)[4].
Una delle basi della comunicazione è venire a conoscenza di ciò che non so, colmare un vuoto di informazioni; se non c’è vuoto di informazioni difficilmente si innesca una conversazione. Messo nelle condizioni di un comunicatore reale lo studente porrà domande perché non conosce la risposta, è curioso, vuole approfondire la sua relazione con l’altro e non perché gli è stato imposto dall’insegnante. In tal modo non avrà più paura di cimentarsi nelle stesse vicende comunicative della vita reale.
L’obiettivo della produzione libera orale è proprio quello di rafforzare la sua sicurezza per essere in grado di affrontare le stesse difficoltà al di fuori della classe. Più occasioni avrà di sperimentare in classe la lingua liberamente e più possibilità avrà di mettere a punto strategie per cavarsela quando si troverà a voler comunicare con un madrelingua.
Gradualmente lo studente percepisce e diventa consapevole degli strumenti efficaci che ha a disposizione e questa consapevolezza moltiplica i suoi sforzi e la sua energia.
Per mettere lo studente nelle condizioni di non temere il mondo reale, c’è bisogno di una buona palestra ed è questo che rende l’attività di produzione libera orale così importante durante il percorso di studio di una lingua. Una palestra in cui l’insegnante spinge gli studenti verso una maggiore autonomia che si manifesta anche attraverso una capacità di autovalutazione indipendente dal giudizio dell’insegnante. Da una parte l’allenamento nella palestra permette di provare situazioni comunicative che si potrebbero presentare con un madrelingua e dall’altra la fiducia che l’insegnante dimostra all’apprendente spinge quest’ultimo, sempre di più, verso una maggiore autonomia attraverso il suo sentirsi autorizzato ad interagire nella lingua.
A questo punto si potrebbe obiettare che per raggiungere o migliorare questa abilità, la comunicazione con un parlante nativo rappresenterebbe la situazione ideale per favorire l’apprendimento e in effetti l’interazione con un madrelingua è il banco di prova ottimale per le ipotesi linguistiche dello studente. Ma in classe non ci sono madrelingua a parte l’insegnante quindi dovrà interagire con un altro studente.
“È stato dimostrato che l’interazione porta gli apprendenti a concentrarsi sulle forme linguistiche anche quando gli interlocutori sono altri parlanti non nativi, e ciò ha importanti conseguenze per tutte quelle pratiche didattiche che prevedono il lavoro di gruppo o a coppie tra gli studenti. Anche se, in questi casi, entrambi gli interlocutori hanno difficoltà con la seconda lingua e commettono alcuni errori, ciò non toglie che alla fine il dover negoziare il significato delle espressioni problematiche porti in genere a un avvicinamento alle norme della L2.” (Pallotti 1998 : 178)
Conclusioni
Che cosa dobbiamo fare noi insegnanti per favorire lo sviluppo in questa direzione ovvero lo sviluppo dell’oralità?
Prima di tutto dobbiamo chiederci se, quando pensiamo a delle produzioni libere orali, facciamo tutto il possibile per permettere che lo studente passi da un’interlingua ad un’altra più complessa e garantire che tali condizioni vengano soddisfatte, creando contesti appropriati.
Ciò significa che in classe durante queste attività è necessario ritornare alla linea di demarcazione fra controllo e libertà. Si gioca tutto qui, nella nostra convinzione che la libertà porterà lo studente, fin dal primo momento, a non sentirsi giudicato e si assumerà il rischio di esporsi e allenarsi in una dinamica dove è lui il protagonista.
L’insegnante convinto dell’efficacia di questa attività si mette in disparte, esce dal contesto comunicativo degli apprendenti ma resta nel contesto globale dell’apprendimento. E’ disponibile alle richieste dello studente per poi ritornare nella sua posizione iniziale.
Dobbiamo progettare attività in classe che diano più libertà possibile nella sperimentazione della lingua e nel formulare delle ipotesi perché tutto ciò è fondamentale per l’acquisizione della lingua bersaglio.
Sarà proprio l’assenza del controllo da parte dell’insegnante che abbasserà l’inibizione dell’apprendente e autorizzerà quest’ultimo a prendersi dello spazio per mettere in moto le sue conoscenze e provare ad esprimere cose impegnative, interessanti e cariche di emozioni.
Se l’insegnante sarà in grado di instaurare un clima di fiducia reciproca e sarà disponibile a mutare il proprio comportamento con la classe e quindi riuscirà a non intervenire e a sperimentare il proprio silenzio, favorirà una maggiore consapevolezza degli obiettivi dello studente, permetterà di acquisire abilità di gestione e soluzione di situazioni problematiche e privilegerà la cooperazione tra gli apprendenti.
Operare in questa direzione significa ottenere produzioni libere orali molto più efficaci cioè aver favorito lo sprigionamento di risorse preziose e inesplorate dello studente e voler formare dei partecipanti a conversazioni con persone di madrelingua, verso la comunicazione reale.
[1] “Ciò non vuol dire che non possiamo predisporre questo o quel programma. Vuole soltanto dire che non si può rigidamente pianificare quel che gli allievi effettivamente apprenderanno prevedendo scadenze molto precise, che è poi quanto emerge dalle teorie pedagogiche sull’individualizzazione dell’istruzione.”(D’Addio Colosimo 1996 : 102)
[2] Vedovelli (1994) propone di considerare l’interlingua come una rete a maglie più o meno elastiche. Le maglie rigide rappresenterebbero i punti dell’interlingua in cui è in atto un processo di fossilizzazione, le maglie più elastiche indicano invece le zone fluide del sistema , in corso di ristrutturazione.
[3] “Se noi invitiamo gli studenti a parlare liberamente, ad acquisire maggiore sicurezza, maggiore fluenza, ad abbandonare quello stato di paura misto a imbarazzo e vergogna, e dopo o durante l’attività interveniamo per mettere in evidenza “errori” commessi, mandiamo allo studente due messaggi che contemporaneamente si contraddicono.” Micarelli L. (1991)
[4] “La comunicazione, insomma, non è mai fatta di scambi ‘perfetti’, quanto piuttosto di continui aggiustamenti e ripetizioni.” Leonardi (1990 :7)