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Moto perpetuo

Ipercinetico

4 Febbraio 1975.

Era un pomeriggio piovoso e me lo ricordo benissimo.

Mia madre mi teneva per mano e tutta incuriosita mi portava al suo primo colloquio con la mia maestra. Chiaramente era più emozionata lei di me. Io del resto ci parlavo tutti i giorni con quella signora strana, un po’ nervosa, e dai capelli cespugliosi.

Dopo essersi sperticata in lodi più o meno compiacenti sulle mie capacità di apprendimento, dalla mia maestra arrivarono anche le dolenti note. “Signora, suo figlio cammina sui banchi e non c’è verso di tenerlo al posto suo…se poi lo riprendo e gli chiedo cosa stavo dicendo lui me lo ripete per filo e per segno imitando anche la mia intonazione”. Non dovevo essere un simpaticone.

Poi proseguì cercando di dare a intendere a mia madre che lei glielo stava dicendo non tanto per conservare intatti i suoi già provati nervi, quanto per il diritto che gli altri bambini avevano a non essere disturbati durante la lezione. Mia madre mi sgridò, il giorno dopo non mi mossi dal banco.

Due giorni dopo camminavo sui banchi di nuovo.

Sono passati ventiquattro anni e la situazione è la medesima. L’ambiente classe mi rende euforico, molto recettivo e soprattutto mi carica a molla. Non riesco a stare fermo per più di venti minuti.

Detto questo mi ricollego volentieri agli articoli degli Atti del 12° seminario internazionale per insegnanti di lingua, di quest’anno, delle mie due colleghe Vittoria Gallo e Laura Marinelli, cercando di dare un piccolo contributo sull’analisi del movimento dell’insegnante in una classe.

Se durante il primo periodo di insegnamento mi forzavo il più possibile a rimanere impassibile e ancorato alla sedia, se non chiamato da qualche studente, dopo pochi mesi ho cominciato ad allentare la forzatura a cui mi sottoponevo e lasciare via libera al mio naturale istinto al movimento.

È stata proprio l’analisi di Vittoria Gallo a farmi definitivamente chiarire il perché non sono più riuscito a contenere la mia naturale inclinazione al movimento. Perché non mi sentivo stabile. Anzi rigido, e poco incline all’attenzione verso gli altri, tanto ero concentrato su me stesso. Non ero fermo come una roccia ma duro e fragile come uno stecco di legno.

Ormai è da più di un anno che cerco di sfruttare il mio dinamismo in classe come un accessorio in più, e comincio a vederne i primi risultati.

Parlandovi di movimento, comunque tratto solo di quelle situazioni in cui non è necessario lo spostarsi dell’insegnante, il tutto sempre tenendo conto che non si tratta di movimenti aggressivi, in direzione dello studente o che lo coinvolgano seppure in minima maniera. Si parla solo di spostamenti fuori dall’area di apprendimento, mai niente di invasivo o troppo diretto.

Nelle attività di Ascolto autentico ogni mio movimento si rivela nocivo, anche solo un accavallamento di gambe può distrarre uno studente. Sia in una situazione in cui l’attenzione degli studenti è focalizzata sui significati, che in una di analisi, la reazione allo spostamento dell’insegnante è sempre di attrazione e di conseguenza di disturbo. Al contrario nei momenti di produzione orale, libera o controllata che sia non infastidisco gli studenti, molto probabilmente perché sono già piazzati in una posizione da cui è difficile distrarsi. Sovente, uno di fronte all’altro.

Nelle attività di Lettura autenticaLettura analiticaProduzione libera scritta, invece il mio movimento è assolutamente ininfluente (stiamo parlando sempre e solo di movimento, non di rumori, agitazione, parole o scritte alla lavagna). Dove lo sguardo è concentrato, già lo studente con una medio-bassa motivazione non subisce interferenze nel suo lavoro sul testo scritto, dovute ai miei spostamenti.

Questo piccolo prontuario mi è servito in questi tempi a non commettere errori correndo il rischio di esasperare chi non capisce di avere un insegnante ipercinetico. Ma fino adesso abbiamo trattato solo la situazione partendo da un punto di vista “nocivo” del movimento dell’insegnante.

Colpo di scena.

Ci sono dei momenti in cui tutto questo, il movimento intendo, si può rivelare addirittura utile.

Tutte le attività di produzione orale controllata in cui la figura dell’insegnante è coinvolta in prima persona (per esempio nelle Ricostruzioni di conversazione), il movimento è un ottimo aggancio per l’attenzione.

Lo stesso vale per i Puzzle linguistico e in tutte le attività dove mi ritrovo alla lavagna; se mi muovo attraggo l’attenzione. Stesso discorso anche per i più o meno brevi incisi di lezione frontale se mi muovo, stanco meno.

Insomma per adottare le definizioni di Vittoria Gallo: per trovare il mio baricentro ho dovuto cedere all’istinto di movimento che è alla base della mia natura, e assecondandolo ho raggiunto quella elasticità che mi consente di essere presente in classe nel migliore dei modi. E per quanto riguarda le energie per danzare la vita, se dimostrate di volervi muovere allo scopo di coinvolgere gli studenti nella vostra danza, raramente rimarranno seduti in un angolo, ma anche solo per curiosità, un giro se lo faranno.

Variazione

L’articolo di Laura Marinelli mi è servito, invece per focalizzare le strategie comunicative che normalmente adotto in classe. Non mi sono stupito tanto nello scoprire che anche queste sono dettate da una sola regola di fondo: la variazione. Mentre vi scrivo mi sta sorgendo il dubbio che possa dare l’idea di essere un pazzo che gira senza soluzione di continuità dentro la classe, ma vi assicuro che non è così.

Come nel movimento, anche nella comunicazione verbale e scritta tendo a muovere, far circolare e variare i messaggi e i segnali nel modo più imprevisto possibile, e questo mi ha portato a notare qualcosa di interessante.

Gli studenti giovani reagiscono bene a tutte le variazioni di grafica e di tono che posso inventare nel corso di una lezione, mentre studenti un po’ più grandi di età rimangono in alcuni casi, spiazzati: davanti a parole abnormi vicino a parole di dimensioni normali solo per far capire che quelle abnormi hanno un’intensità maggiore. Oppure parole di accezione positiva scritte con la prima lettera in basso e poi diagonalmente fino ad avere l’ultima lettera in alto. Mentre per le parole di carattere negativo la direzione è l’opposta.

Penso sia dovuto ad una differente percezione della parola tra le varie generazioni ,del suo significato e del suo valore come segno-simbolo grafico che quindi può subire deformazioni di vario genere. È una diretta conseguenza dell’accelerazione della capacità di ricezione di un messaggio, che le nuove generazioni hanno ormai come standard. Per attirare l’attenzione su un ricevente facendo perno su una cultura giovanile come quella dei writers, anche la pubblicità, negli ultimi anni, ha fatto ricorso molte volte a scritte in movimento, deformate o alterate come i graffiti hanno insegnato a tutti noi. I graffiti sono in prevalenza scritti nelle stazioni, sui vagoni o sui muri che affacciano direttamente sulle strade, perché il movimento di chi le legge è una componente fondamentale della scritta, oltre alla deformazione della parola in altri segni meno facilmente decifrabili.

Far capire che nel segno c’è un messaggio, ma che bisogna attivarsi per decifrarlo è esattamente un espediente che riporta in pieno alle teorie macluhaniane sui media caldi e i media freddi. Cioè imporre una scrittura di non immediata comprensione alza la temperatura del “medium scrittura” che per le nuove generazione tende al raffreddamento cronico perché non è più in grado di stimolare una partecipazione veramente attiva da parte del lettore, il quale più è giovane e più è abituato a dei ritmi di comunicazione elevatissimi. Allora, se la frequenza dei segnali che un insegnante manda non può essere alterata perché i tempi di apprendimento devono essere tali da comprendere lo studente più veloce e quello più lento, una tecnica efficace si rivela il “riscaldamento del medium scrittura” tramite variazioni grafiche di diverso tipo (colori, grandezze, disegni).

Per concludere trovo che il movimento sia anche una grande forma di attrazione che può essere sfruttata in modo molto conveniente per un insegnante. Facendo rientrare il tutto in un’ottica di varietà di trasmissione da cui occhi e orecchie al di sotto dei trent’anni sono molto più attratti. La didattica deve seguire il ritmo di chi ne è al centro e non rallentare alla velocità di chi ne è solo portatore.

Questo ha due vantaggi ben distinti: il primo è il livello di attenzione mantenuto costantemente alto. Il secondo è l’implicita spinta che l’insegnante dà allo studente di variare le sue capacità di ricezione e di feedback che troverete anche voi di gran lunga più creative.

E a volte essere afflitti da “moto perpetuo” può avere i suoi vantaggi.