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Leggere un film

La tua giornata di lavoro è terminata. Ora sei finalmente a casa e, dopo avere sbrigato le solite faccende quotidiane, puoi finalmente goderti un po’ di meritato riposo. Non vedi l’ora di lasciarti sprofondare nella tua poltrona preferita, per goderti il film che hai preso in videoteca tornando a casa, quando già pregustavi questo momento.

Non ne avevi mai sentito parlare, ma il titolo ti ha incuriosito ed ora tutto è pronto perché lo spettacolo cominci. Ah no!

Hai dimenticato il telecomando. Lo prendi, lo metti vicino a te e …PLAY!

La cassetta inizia a girare e compaiono i

Titoli di testa

Non voglio rovinarti la serata, ma, anche se siamo appena all’inizio, vorrei suggerirti una pausa perché anche i titoli sono importanti. In questo caso particolarmente, e mi pare che valga la pena soffermarsi brevemente ad esaminarli. PAUSA!

Il nome della “casa di produzione” innanzitutto.

Al termine delle riprese, durate complessivamente tre giorni per un totale di dodici ore, ci restava ancora il lavoro di post-produzione, fra cui appunto la creazione dei titoli di testa e di coda. Gli studenti stavano cercando un nome che esprimesse al meglio l’essenza del loro gruppo e la discussione si era focalizzata sull’idea della stanchezza, responsabile secondo loro dei numerosi ritardi quotidiani in classe di molti membri del gruppo. A quel punto ho proposto l’espressione scherzosa “Nati stanchi”, che essi hanno subito accettato e fatto propria con allegra autoironia.

Ora però mi chiedo se il nome rispecchi realmente la situazione di quella classe: un gruppo di terzo livello che aveva alle spalle due mesi di corso, equivalenti a 160 ore di lezione. Normalmente a questo punto dell’iter scolastico gli studenti sono ancora freschi e desiderosi di andare avanti, in quanto sanno di essere appena all’inizio del cammino e gli resta ancora molta strada da fare. E questo loro atteggiamento serve anche da stimolo all’insegnante, che si sente spronato a soddisfare la “fame” degli studenti con nuove attività. È una situazione viva.

In quel gruppo, invece, si respirava un’atmosfera pesante ed io ne ero coinvolto perché, per quanto mi sforzassi di trasmettere energia ed entusiasmo, avevo l’impressione che tutti i miei sforzi cadessero nel vuoto.

Ciò non significa che l’impegno scolastico degli studenti fosse scarso, anzi, e, a parte i ritardi congeniti in molti di loro nel presentarsi la mattina, le attività che proponevo venivano svolte bene.

Ma al di là di questo da loro non veniva assolutamente nulla. Non un’idea, non un’iniziativa e spesso neanche un sorriso.

C’è un’immagine che mi sembra fotografi bene l’atmosfera che si respirava nel gruppo: alle 9 di mattina, entrando in classe, trovavo gli studenti puntuali, non più di quattro o cinque su un totale di dodici, seduti a rispettosa distanza l’uno dall’altro, assolutamente muti e disinteressati alla presenza degli altri. Alcuni erano assorti nella lettura di Metro, il giornale distribuito gratuitamente nelle stazioni della metropolitana. Ma era vera lettura, o soltanto un pretesto per isolarsi dagli altri?

Questa situazione a me non andava bene, perché, visto anche che erano tutti sui vent’anni, mi aspettavo da loro un po’ più di energia. Avevo provato anche a sottoporre a loro il mio disagio, ne avevamo parlato insieme e loro stessi avevano confessato un disagio simile al mio. Ma eravamo ancora ben lungi dall’aver trovato la soluzione. La situazione si trascinava stancamente ed ogni giorno sembrava la copia del precedente.

L’idea di fare un film mi è venuta anche per questo: provare a scuoterli dalla loro impassibilità, impegnandoli in un progetto che li obbligasse ad essere più attivi e partecipi nel gruppo.

Quando ho esposto l’idea, non ho notato entusiasmo negli studenti, semmai un po’ di paura, ma la curiosità li ha convinti ad accettarla.

Nei titoli di testa si fa riferimento esplicito a questo. La frase però è sibillina e si presta almeno a due interpretazioni diverse.

Da un lato si può pensare che gli studenti abbiano voluto ringraziarmi e farmi partecipe della loro soddisfazione. E questo mi fa piacere. Una collega più smaliziata però mi ha fatto notare che quella scritta rivela anche l’accettazione passiva da parte degli studenti di un progetto che loro non hanno veramente fatto proprio e interiorizzato. A giudicare dal film non si direbbe, perché il risultato è senz’altro soddisfacente, se non addirittura bello, ma lascio aperto il quesito, sperando di trovare una risposta in seguito.

Ora però basta con le parole e continuiamo a vedere il film … PLAY!

Introduzione

“Questo film narra la storia emozionante di Nina Duetrecce, la ragazzina più forte del mondo, che faceva paura a tutti i cattivi di Roma ….”.

La voce ferma di uno studente fuori campo scandisce le parole scritte alla lavagna. L’immagine, ferma sul testo, mostra una scrittura, sarebbe meglio dire calligrafia, che contrasta in modo lampante con l’enfasi quasi epica del contenuto.

In alcuni passaggi il testo è scritto in modo sbilenco ed è difficilmente leggibile dall’inquadratura dell’intera lavagna.

Ad essere pignolo imputerei questi “difetti” alla stanchezza degli studenti che hanno creato il testo nella fase finale del lavoro, insieme ai titoli di testa.

Se è vero invece che “a pensar male talvolta si sbaglia, ma spesso si ha ragione” allora la qualità mediocre dell’immagine introduttiva potrebbe essere un indizio utile per trovare una risposta al quesito sorto nel paragrafo precedente.

In ogni caso mi rendo conto ora che avrei dovuto essere più presente e partecipe al lavoro degli studenti. Naturalmente io sono stato sempre presente fisicamente, ma, viste le premesse da cui era nata l’idea di questo film, ho sempre cercato di lasciarli fare, senza interferire nelle loro decisioni, intervenendo solo per rispondere alle loro richieste di aiuto. Il mio intento era far sì che gli studenti si sentissero responsabili del film come di un’opera propria e speravo che questo li aiutasse a interagire e collaborare a livello di gruppo. È possibile però che il mio “defilarmi” sia stato frainteso e interpretato come disinteresse, provocando quindi un abbassamento della tensione creativa.

Se fossi intervenuto più spesso per pungolarli, pretendendo il massimo di quello che sapevo essere nelle loro possibilità, probabilmente non solo il testo introduttivo avrebbe avuto un layout migliore, ma anche il loro grado di soddisfazione sarebbe stato maggiore.

Comunque, al di là di queste considerazioni critiche, ora la trama è chiara. Assisteremo ad un film d’azione imperniato sulla figura di Nina, l’eroina nata nel marzo 2001.

La voce continua: “ … Questa storia potrebbe raccontare un episodio di vita reale, ma in verità si tratta di un adattamento del racconto “Pippi Calzelunghe al parco di Humlegarden” di Astrid Lindgren.”

Quando ancora stavo pensando all’idea di un film da fare con la classe, una delle domande era come dare al progetto finalità compatibili con il corso d’italiano. Il fatto stesso che alla base di un film vi sia una sceneggiatura e poi un copione legittimava l’idea. Infatti gli studenti avrebbero dovuto scrivere una storia, fare l’editing, scrivere i dialoghi, decidere l’ambientazione …. Insomma non un lavoro da poco, e tutto in italiano.

Per quanto riguarda la sceneggiatura dovevo prendere un’altra decisione. Avrei potuto lasciare che gli studenti si sbizzarrissero nel cercare un’idea su cui poi costruire un copione, oppure dare loro una traccia da elaborare. La particolarità di quel gruppo e il caso mi hanno fatto optare per la seconda strada.

Infatti temevo che il compito di creare una sceneggiatura avrebbe intimorito gli studenti, producendo come risultato storie assolutamente banali.

Con il senno di poi penso che sia stato uno sbaglio, perché così facendo ho limitato la capacità degli studenti di responsabilizzarsi e prendere in mano la situazione, in quanto una storia scritta da loro, pur se banale, sarebbe stata però la loro storia, mentre così ho offerto loro un alibi con cui scaricarsi da eventuali responsabilità in caso di fallimento. Non è invece un alibi il mio quando dico che il caso è stato corresponsabile della mia scelta. Infatti in quei giorni mi era capitato fra le mani il racconto di Astrid Lindgren che mi era parso subito adatto al mio scopo. Breve, ambientato in un parco e… svedese. La metà circa degli studenti del gruppo erano svedesi e avevo pensato che sarebbe stato divertente fare una rimpatriata “in italiano”.  Inoltre l’ambientazione in un parco ne avrebbe reso possibile la trasposizione nell’ambiente romano. La brevità era anche una caratteristica da non sottovalutare perché la lettura era solo il punto di partenza del lavoro che ci aspettava.

Pronti … Via!

Ho diviso il racconto in cinque parti e, dal lunedì al venerdì, ho dato agli studenti ogni giorno una parte da leggere a casa.

Il giorno seguente in classe ne parlavamo per chiarire i problemi emersi dalla lettura, per la verità davvero pochi.

Quando si trattava di scegliere un testo di partenza da leggere, mi ero posto anche il problema della difficoltà linguistica. Non potevo infatti dimenticare che gli studenti erano in un terzo livello, cioè poco più che principianti, e nell’opinione comune è difficile trovare testi autentici adatti per livelli così bassi.

La fiaba o più in generale i racconti per l’infanzia forse sfuggono a questa restrizione, e non solo perché normalmente questi libri sono corredati da illustrazioni che aiutano a comprendere il testo, ma perché racconti di questo tipo sembrano essere decontestualizzati culturalmente e appartengono all’immaginario umano.

D’altra parte vi è anche un rischio ed è quello che gli studenti, soprattutto se giovani ventenni, si sentano ridicoli nell’affrontare la lettura di testi che pensano ormai superati e relegati negli anni della loro infanzia. Ma nel momento della scelta sinceramente non ho pensato a questo.

Una volta terminata la lettura ho invitato gli studenti a scrivere un adattamento del racconto alla realtà di Roma, spiegando subito che il racconto migliore, secondo il loro giudizio, sarebbe poi stato trasposto in film.

La lettura e l’editing dei vari adattamenti sono stati interessanti, in quanto molti studenti hanno provato a cimentarsi liberamente con l’uso del passato remoto, cosa che in un terzo livello normalmente è impensabile. Durante la lettura del racconto originale avevamo parlato del carattere narrativo di questo tempo verbale ed evidentemente questo li aveva spinti ad avventurarsi nella sperimentazione linguistica, con risultati ottimi.

Dopo la scelta dell’adattamento migliore è venuto il momento di creare il copione, che è stato prodotto da tutti gli studenti insieme, e poi finalmente… IL PRIMO CIAK.

Il film

Nina si sta riposando su una terrazza di Roma, la terrazza della scuola per la precisione, quando arrivano trafelati i suoi due amici, Marcellino e Antonella, con una lettera: “ Nina, c’è una lettera per te. Aprila subito e dicci di che si tratta.” Fra amici, si sa, la privacy non è di rigore.

Nel leggere la lettera il viso di Nina si rabbuia e la sua espressione non lascia presagire nulla di buono. Infatti si tratta di un richiesta di aiuto: a Villa Borghese si sono insediati alcuni brutti ceffi, neanche a farlo apposta di origine svedese, che terrorizzano chiunque si trovi a passare di là. La polizia è impotente e quindi è assolutamente necessario il suo intervento.

Nina non ci pensa due volte, raccoglie le sue cose e si avvia con Marcellino e Antonella alla stazione Termini da dove, con la metropolitana, raggiungeranno Villa Borghese.

Intanto i furfanti, ubriachi di birra e vino, hanno derubato un’ignara passante, dopodiché uno di loro ha preso a molestare pesantemente una bella ragazza dall’aspetto orientale. E chissà quante altre malefatte combinerebbero ancora, se non arrivasse Nina con i suoi due amici, accolti con un sospiro di sollievo dal guardiano del parco.

“La situazione è urgente. Mi metterò subito al lavoro. Marcellino, Antonella, aiutatemi!”  e i tre si mettono sulle tracce dei furfanti che intanto si sono diretti verso il Pincio.

Sulla terrazza di Roma, che ha visto sbocciare tante storie d’amore in film entrati nella leggenda, ha luogo lo scontro epico, in cui una ragazzina minuta minuta mette ko tre omaccioni cattivi: “Missione compiuta! Marcellino, Antonella, andiamo!”

Se non che i tre furfanti, pur se malconci, quando vedono avvicinarsi due poliziotti, si rimettono in piedi e se la danno a gambe levate.  Ha inizio così un inseguimento mozzafiato, in tipico stile poliziesco, attraverso  i luoghi più caratteristici di Roma: Piazza di Spagna, il Pantheon, Piazza Navona, il Foro romano e, finalmente, il Colosseo, dove solo l’intervento di Nina permette la cattura dei furfanti e la consegna degli stessi alla polizia.

La città è stata disinfestata dai criminali ed ora la popolazione può finalmente abbandonarsi al giubilo, osannando l’unica vera eroina della storia moderna: NINA DUETRECCE (l’origine del cognome è facilmente comprensibile).

In tutto: otto minuti; ma le riprese sono durate dodici ore, vale a dire tre giorni, lunedì, martedì e mercoledì, dalle nove alle tredici, orario della lezione.

Il primo giorno le scene iniziali alla Dilit e a Termini, il secondo dal Colosseo al Pantheon e il terzo a piazza di Spagna e Villa Borghese.

È stata una bella esperienza, credo anche per gli studenti, almeno a giudicare dalle loro dichiarazioni. Peccato però che non abbia sortito gli effetti che io speravo. Una volta terminate le riprese, il giovedì, entrando in classe, ho trovato gli studenti puntuali, non più di quattro o cinque su un totale di dodici, seduti a rispettosa distanza l’uno dall’altro, assolutamente muti e disinteressati alla presenza degli altri. Alcuni erano assorti nella lettura di Metro, il giornale distribuito gratuitamente nelle stazioni della metropolitana. Ma era vera lettura, o soltanto un pretesto per isolarsi dagli altri?

Titoli di coda

L’esperienza mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca. Tanto più che una studentessa, una persona molto schiva che nel film interpretava un ruolo marginale, al termine dei lavori si è lamentata del fatto che per tre giorni non abbiamo fatto lezione. Cose che succedono, e dalle quali si può imparare qualcosa. Per esempio che si deve essere molto attenti alla scelta dei ruoli. Se quella studentessa avesse avuto un ruolo più importante e si fosse sentita più valorizzata, probabilmente non avrebbe avuto di che lamentarsi.

Durante le riprese non tutti vengono coinvolti contemporaneamente.Ho notato la tendenza a defilarsi da parte di coloro che non sono direttamente impegnati. La prossima volta dovrò stare più attento a coinvolgere tutti nel lavoro di gruppo. Sbagliando s’impara.