Auguri professori!
“Il lavoro è uno schifo e la scuola è un sacrificio…”[1]
Sono queste le parole che l’ancora bambino professor Lipari, protagonista del film “Auguri professore”, ascolta da suo padre il primo giorno di scuola, proprio lì davanti al portone.
Certo, posta in questi termini la scelta mi sembra obbligata. Chiunque fra lo schifo e il sacrificio sceglierebbe quello che poi di fatto ha scelto il bambino: il sacrificio. Ma perché quando si pronuncia la parola scuola viene subito alla mente anche la parola fatica, l’immagine del sudore e delle ore passate sui libri a fare i compiti, perché viene così spontaneo e naturale il pensiero del sacrificio?
Sacrificio: privazione, rinuncia, disagio imposto da determinate condizioni o sopportato in vista di un determinato scopo.
È questa la definizione che “Il grande dizionario Garzanti” dà. Messa così non c’è scampo, la scuola è un vero calvario. Probabilmente però nell’alunno Lipari c’erano dei dubbi a riguardo, forse aveva ancora qualche speranza di ricredersi, certo è che è stata la scuola stessa e proprio in quel primo giorno a tentare di farla crollare. Infatti l’insegnante, entrando in una rumorosa classe di prima elementare in cui i bambini non facevano altro che comportarsi da bambini di sei anni, dopo aver riportato ordine, ha così esordito:
“Bravi, in silenzio. È la cosa più importante e più difficile da imparare. Dunque, impariamolo. Incrociate le braccia dietro la schiena e rimanete fermi così e ricordatevi: dovete parlare solo se interrogati.”
E questo il ricordo dell’ormai professor Lipari:
“Passai così la mia prima ora di scuola abituando il corpo all’immobilità, la bocca al silenzio, il cervello a pensare solo ciò che la scuola mi diceva di pensare, imparando a star zitto o a parlare solo se interrogato…”.
Anche il più piccolo dubbio ormai si è dissolto. Studiare, andare a scuola è davvero un grande sacrificio. Ma per fortuna, Lipari ha avuto coraggio ed è andato avanti nonostante tutto. Nonostante i confini spaziali e mentali aldilà dei quali non poteva sconfinare, le insicurezze, le fragilità, i sacrifici.
Come la maggior parte di noi, del resto. Chi può dire di non aver mai avuto paure o di non aver mai avuto la sensazione di non farcela, di non riuscire a vedere la fine di questo lungo percorso che è lo studio.
Mi domando poi cos’è che costa tanti sacrifici, se lo studio o la scuola o magari la combinazione dei due. Sì, perché l’idea innata che abbiamo è esattamente quella dell’immobilità del corpo sulla scrivania di casa quando ci prepariamo ad una interrogazione o ad un compito in classe, comunque quando studiamo, e sul banco di scuola quando ascoltiamo la lezione. Forse è anche questo che a volte rende la scuola e lo studio un sacrificio o comunque un qualcosa che in certi momenti è difficile da sopportare. Certo, è normale, qualunque cosa facciamo che sia studiare, lavorare o chissà che a volte ci costa fatica, ma forse può fare la differenza tentare di trovare il modo di fare quella stessa cosa diversamente.
Creare uno spazio di libertà. Fare in modo che la scuola, la classe diventi un luogo libero in cui gli studenti possano realmente sentirsi a proprio agio, in cui ci si possa muovere liberamente, con il corpo e con il pensiero. Così che lo studente senta di partecipare attivamente a qualcosa, che si senta libero di prendere un’iniziativa e che non senta sempre il bisogno costante di me insegnante (anche se ci sono), che non debba stare sempre e soltanto ad aspettare me o ad ascoltare me: si annoia lui e mi annoio io.
“Ricordo ancora quello sguardo miope che all’improvviso si accese d’interesse e fu allora per la prima volta che scoprii che mi piaceva insegnare. E a un tratto mi resi conto che trasmettere abilità rende abili, che trasmettere intelligenza rende intelligenti, che trasmettere speranza aumenta la speranza. Cominciai ad insegnare per questo: per togliere l’opaco dagli occhi dei miei alunni.”
Siamo felici profondamente soddisfatti quando ci sentiamo addosso gli occhi interessati dei nostri studenti e quando le loro menti sono coinvolte quanto la nostra, insomma quando risvegliamo il loro interesse. È gratificante scoprire come tutto l’entusiasmo che abbiamo messo nel presentare un certo argomento venga così ricambiato, e una tale gratificazione farà crescere in noi l’entusiasmo iniziale. Ed è così che dovrebbe essere il nostro lavoro di tutti i giorni, un continuo scambio di energie. Troppo spesso ci accoccoliamo e ci lasciamo trascinare dalla quotidianità senza neanche accorgercene, e poi magari ci lamentiamo dicendo che gli studenti “hanno poca voglia di fare” o “sono poco motivati” e ci domandiamo “chi motiva poi noi?”. Avere la possibilità di accendere uno sguardo. Quando riusciamo a risvegliare quell’assonnata curiosità che è presente in ognuno, allora ci accorgiamo che loro hanno bisogno della nostra motivazione, del nostro entusiasmo quanto noi della loro motivazione e del loro entusiasmo. Il nostro lavoro nasce anche dalla motivazione che ci viene dalla classe stessa, è una sorta di ricarica continua ma noi dobbiamo essere pronti a dare per primi.
Prof. Lipari: Gancia, come ti sei vestita?
Studentessa: Arrivederci, professo’.
Prof. Lipari: Dove vai?
Studentessa: Non ci torno più a scuola e manco a casa.
Prof. Lipari: Ma che dici? Perché?
Studentessa: Una volta l’ho scritto in un tema il perché, solo che lei mi ha dato insufficiente perché avevo messo due condizionali al posto di due congiuntivi.
Prof. Lipari: Che tema?
Studentessa: Boh, era l’anno scorso. Chi si ricorda!
Prof. Lipari: Pensa a tuo padre… beh, no… se te ne vai quello ti uccide.
Studentessa: Auguri professo’.
Non siamo affatto felici e siamo profondamente insoddisfatti quando, in un modo o in un altro, perdiamo uno studente. Abbiamo fallito, è così. È inutile trovare chissà quale giustificazione. E per colpa di cosa poi? Di due condizionali al posto di due congiuntivi, per colpa della grammatica! Abbiamo ristretto troppo il nostro campo visivo, ci siamo concentrati solo sulle forme ed abbiamo completamente dimenticato i significati. Uno studente non è solo congiuntivi, condizionali e periodi ipotetici. Prima di essere uno studente è una persona ed una persona è un insieme di dinamiche complesse e innumerevoli ed il nostro compito è anche quello di cercare di capirle un po’. Solo quando conosciamo almeno un po’ le persone che abbiamo di fronte possiamo trovare la strada migliore per lavorare, perché credo che tanto imparare quanto insegnare sia possibile (ed anche piacevole) soltanto se fatto insieme.
[1] Tutte le citazioni in questo articolo provengono dal film “Auguri professore” di R. Milani con Silvio Orlando, liberamente tratto dal libro “Solo se interrogato” di Domenico Starnone.