Ascoltare e autenticità
In questo articolo mi propongo di esaminare criticamente il concetto di autenticità come viene usato riguardo lo sviluppo delle abilità ricettive di studenti di lingua. Cercherò di dimostrare come questa parola, potenzialmente rivoluzionaria per quanto riguarda la velocità dell’apprendimento, è stata spesso interpretata nella pratica in un’accezione indebolita, così non soltanto fraintendendo il suo significato ma anzi diventando controproduttiva nel senso che la motivazione degli studenti, semmai, viene influenzata negativamente. Traccio la storia del concetto, individuo un’accezione debole e una forte dell’aggettivo come viene applicato al materiale d’ascolto e di lettura (e constato che l’accezione forte viene applicata troppo infrequentemente); e sostengo che l’effetto pieno della rivoluzione non sarà sentito che quando l’aggettivo verrà applicato all’ascoltare e al leggere stessi, e non solo al materiale.
Sebbene prima testi autentici fossero presenti nelle aule di lingua (per esempio “explication de texte), fu solo all’inizio degli anni ’70 che l’avanguardia cominciò a interessarcisi. (“Explication de texte” fu considerata arretrata: insegnanti aggiornati insegnavano primariamente, e a volte esclusivamente, la lingua parlata).
Nel 1974 Wilkins ha scritto: “Il fatto che la comprensione può svilupparsi più rapidamente della produzione è una cosa che dovrebbe essere riconosciuta e sfruttata nell’insegnamento delle lingue. Invece, tende ad essere soppressa perché si crede che lo studente si confonda davanti a forme che non siano pienamente nel suo repertorio produttivo. Poiché ciò fa parte inevitabilmente dell’esperienza quotidiana di chiunque, è meglio che il discente venga preparato ad esso”. (Wilkins 1974, p.66)
Come direttore dell’Istituto degli studi di linguistica applicata dell’Università di Reading (Gran Bretagna), Wilkins era informato quanto chiunque su ciò che succedeva nelle classi di lingue del mondo. È chiaro dalla citazione che stava proponendo qualche cosa di nuovo. Più avanti nello stesso capitolo leggiamo: “Se diamo un posto più grande alle attività ricettive, non soltanto assicuriamo che le abilità ricettive stesse vengano imparate meglio, diamo al discente l’occasione di imparare ciò che non viene insegnato”. (Ibid., p. 67)
Vediamo qui una chiara rottura con la teoria comportamentista che aveva dominato la pratica dell’insegnamento delle lingue fino a quel momento. L’idea che qualcosa poteva essere imparata senza essere “insegnata” (cioè rafforzata e fatta ripetere) era sconosciuta dalla maggioranza della professione. Anche Julian Dakin, solo un anno prima nel 1973, parla del programma giacente dentro il discente ed è pienamente consapevole della novità di un tale concetto:
“L’idea di un programma interno può sembrare strana a prima vista. Siamo abituati a pensare che è l’insegnante che determina il programma e non il discente”. (Dakin, p. 16) Egli ci incoraggia a dare ai nostri studenti “esperienza della lingua che stanno imparando”. (Ibid., p.13).
Wilkins dice: “Nell’apprendimento delle lingue, l’esporre lo studente alla lingua in modo ricco può essere fornito soltanto attraverso la lettura e l’ascolto estensivi”. (Wilkins 1974, p. 67) Dice che “l’esposizione ampia” è necessaria per avere una conoscenza delle “restrizioni collocazionali della lingua” e una “conoscenza sintattica” più estesa (Ibid.).
Possiamo affermare, quindi, che nei primi anni ’70 la professione cominciava ad adoperare in classe materiali ricettivi i quali erano linguisticamente più difficili di ciò che gli studenti erano in grado di produrre, e questo per due motivi: a) per sviluppare le abilità ricettive; b) per permettere l’apprendimento di elementi non insegnati.
Ma non era che nel 1976 che la parola “autentico” è apparsa. Nella proposta di Wilkins di un “programma nozionale” (proposta che per quanto riguarda i tratti di superficie sembra destinata al museo, ma per la sua impostazione generale – cioè semantica – continua ad ispirare molti insegnanti e autori di testi, e che a mio avviso probabilmente continuerà a farlo per il resto del decennio) c’è una distinzione netta fra i concetti di ricevente e producente in una qualsiasi comunicazione. Lo studente deve imparare a diventare competente in entrambi i ruoli. Wilkins dice:
“In un contesto in cui mettiamo l’accento sullo scopo comunicativo della lingua e sull’utilità immediata della lingua studiata, l’acquisizione dell’abilità di comprensione pone un problema particolare. Mentre l’individuo è padrone di ciò che lui stesso sceglie di dire, non può effettuare nessun comparabile controllo sulla lingua che sente”. (Wilkins 1976, p. 78)
Più avanti propone che:
“… molta più attenzione va posta sull’acquisizione di una competenza ricettiva e che una particolarità importante di materiali ideati per produrre una tale competenza sarebbe quella di adoperare materiali linguistici autentici. Con ciò si intende materiali che non sono stati scritti o registrati per il discente straniero, ma che erano originariamente rivolti ad un pubblico di madrelingua. Tali materiali non sarebbero manipolati, nel senso che sezioni linguisticamente difficili non sarebbero cancellate”. (Ibid., p. 79)
Ho messo in evidenza la definizione che Wilkins ha dato originariamente all’aggettivo “autentico” perché avremo bisogno di fare riferimento ad essa quando, più avanti, dimostrerò che, anche laddove un debito è stato riconosciuto a Wilkins, la definizione non è sempre stata rispettata. Wilkins riconosce che testi autentici non sono in tutti i casi totalmente assenti dalle classi di lingua (“alcuni materiali contenenti testi autentici di ascolto esistono” [Ibid., p. 80]) ma, generalmente, questi venivano adoperati con livelli avanzati. La maggior parte dei suoi commenti si rivolge al futuro:
“Possiamo aspettarci che corsi orientati semanticamente presenteranno dall’inizio gli studenti a materiali autentici, e che questo contatto non sarà rimandato fino a quando il discente non si sarà presumibilmente impadronito di tutte le forme che lui o lei probabilmente sentiranno”. (Ibid.)
Possiamo dire quindi che la professione ha cominciato a dibattere i pro e i contro di, e a sperimentare, l’uso sistematico di materiale autentico con tutti i livelli dei discenti intorno alla metà degli anni ’70.
Quali sono le difficoltà implicate nella comprensione di materiale autentico? Come abbiamo già visto, il contenuto grammaticale e lessicale è molto più complesso di ciò che lo studente è in grado di produrre ma in più, esaminando la lingua parlata troviamo numerose altre difficoltà. Gillian Brown (1977) analizza il linguaggio di “buoni parlanti” inglesi (giornalisti radiofonici e simili) e rivela l’alta frequenza e regolarità di fenomeni fonologici quali “assimilazione” ed “elisione”. (Mentre un osservatore non attento potrebbe dire che queste sono “imperfezioni” o “errori”.)
Brown ha studiato “buoni parlanti” apposta, riuscendo così a sfatare il mito che loro non “mangiano le parole”, anche se parlano in situazioni che richiedono un “linguaggio controllato e attento”. Crystal e Davy dimostrano che nella “conversazione informale”, oltre a ciò che ha trovato Brown nel linguaggio controllato e attento, ci sono numerosi altri tratti che aumentano la difficoltà della comprensione:
“Troviamo una disinvoltura, una imprecisione rispetto all’argomento e al costruzione della conversazione informale; e ciò conduce a costruzioni non precisamente coordinate, alla incompiutezza, alla non-grammaticalità, alla vacillazione stilistica, e a tanti altri ‘errori’ linguistici”. (Crystal e Davy, p. 84) Proseguono nell’analisi di vari tratti della connettività quali: omissione del soggetto, omissione del verbo “essere”, variazione dell’ordine di parole, l’uso di tratti prosodici, l’uso di “Well, you know” (corrispondente a “Be’, capito?”), ecc.
Come risultato di tutta questa ricerca la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 hanno visto la pubblicazione di molto materiale che “diceva” di essere autentico. In molti casi, però, l’attenzione posta sui tratti di superficie della lingua autentica ha fatto perdere di vista la definizione originale che Wilkins ha posto così chiaramente: “materiali che non sono stati scritti o registrati specificamente per il discente straniero, ma che erano originariamente rivolti ad un pubblico di madrelingua”.
Ora, non sostengo che non si debbono registrare nuovi materiali; ritengo invece che la prova di autenticità sia data dall’impossibilità dell’osservatore nativo di distinguere questi materiali da quelli prodotti per persone di madrelingua. Questo, in molti casi, è lontano dall’essere vero. Considerate, per esempio, quanto segue:
A. I’m living in a student hostel, in London. London’s in the south-east of England.
B. How long have you been living in London?
A. Uhm, well, for the past two years.
B. And, where’ve you lived while you’ve been here?
B. In a hotel, in Bayswater.
Senza esaminare i tratti prosodici, che non ho segnato, ci sono sufficienti elementi nella trascrizione delle parole di questo dialogo per dimostrare che questa conversazione è lontana dall’essere reale. È vero che ci sono molti dei tratti di superficie dell’inglese autentico, quali l’alta frequenza di “uhm”, di contrazioni, di forme deboli, della generale noncuranza nella articolazione, e così via, ma come vicenda comunicativa è praticamente impossibile. Una persona inglese non spiega ad un’altra persona inglese dove si trova Londra.
Anche difficile immaginare quale sia il motivo dell’ultima domanda di B (spiegabile solo nel caso che non stesse ascoltando prima, e in questo caso A l’avrebbe commentato in qualche modo). Questo dialogo è stato estratto da una attività di ascolto presa da Building Strategies di B. Abbs e I. Freebairn (1979) ed è un tipico esempio del materiale di ascolto pubblicato in questo corso ed in molti altri ultimamente arrivati sul mercato.
Vediamo qui una versione indebolita del concetto di autenticità. Abbiamo, cioè, i tratti di superficie della lingua autentica (i diversi accenti, le esitazioni, la sintassi sconnessa, ecc.) ma non ne abbiamo i presupposti: vale a dire la motivazione da parte di almeno una delle parti interessate per comunicare con l’altro (più solitamente sono motivate entrambe le parti, altrimenti la conversazione si smorza subito).
Si potrebbe sostenere che l’accezione forte dell’aggettivo “autentico” non è stata applicata perché, nonostante l’attrattivo teorico della definizione di Wilkins, si devono fare dei compromessi per ridurre le difficoltà degli studenti. Però se lo studente deve: “predire, quando appare solo la punta delI’iceberg, quale dev’essere la forma della parte rimanente dell’iceberg” (Brown, p. 168), e se in classe viene incoraggiato a fare ipotesi sul contenuto della registrazione affinché diventi sempre più bravo a fare ipotesi appropriate, dovrebbe essere ovvio che non ipotizzerebbe mai che un adulto inglese dicesse ad un altro adulto inglese dove si trova Londra. In altre parole, questo tipo di materiale di ascolto è più difficile da capire che registrazioni di vicende comunicative autentiche, cioè quando due persone vogliono parlare l’una con l’altra.
Non tutti i produttori di materiali hanno applicato questa accezione indebolita di autenticità però, e speriamo che altri seguiranno l’esempio di quelli come Mary Underwood; Crystal e Davy; Luzi Catizone, Piva e Humphris; ecc.
Tanto per l’aggettivo “autentico” applicato a materiali. Ma ora guardiamo ciò che ci si aspetta che lo studente faccia con questo materiale durante la lezione. È superata l’epoca in cui lo studente doveva scrivere periodi completi come risposte a domande “di comprensione”, le quali non erano affatto domande di comprensione, ma una prova grammaticale. La maggior parte dei corsi moderni ha una larga gamma di tavole, grafici, diagrammi, asserzioni “vero-falso”, asserzioni a scelta multipla, figure, ecc., il cui scopo non è di “esaminare” lo studente ma di stimolarlo e aiutarlo a cercare di captare il “succo” di ciò che succede nella registrazione.
Ciò nonostante, se esaminiamo ciò che tutti questi esercizi richiedono allo studente, troviamo presenti quasi dappertutto due fattori: a) si chiede a tutti gli studenti le stesse cose; e b) ciò che devono cercare è solo ciò che Oller chiama informazioni “factive” (cioè pertinenti a fatti oggettivi). Mentre nella realtà, quando persone di madrelingua (cioè ascoltatori pienamente competenti: il modello a cui vogliamo che i nostri studenti si avvicinino) ascoltano, sono altamente selettive per quanto riguarda quale contenuto “factive” cercano. Allo stesso tempo, e questo è più importante, la loro affettività non è spenta. Numerosi esperimenti nella psicologia sociale hanno dimostrato che la reazione dell’ascoltatore viene influenzata almeno tanto da come una persona parla quanto da ciò che dice. Il fatto importante che l’ascolto autentico coinvolga sia delle risposte emotive personali sia la selezione soggettiva di significato “factive” non è stato quasi per niente riconosciuto nelle attività di ascolto. Il riconoscimento di questo fatto produrrà nell’insegnamento un maggior numero di occasioni nelle quali ogni studente può esprimere qualsiasi cosa voglia esprimere.
Per questo sarà necessario l’abbassamento dei fattori inibitori nella classe. Probabilmente il modo migliore è la creazione di piccolissimi gruppi basati sulla scelta personale. Ciò di cui parla ogni gruppo sarà determinato dalla personalità, il carattere, l’ambiente sociale e l’esperienza extralinguistica di ognuno dei membri. Non ci saranno due gruppi che discutono il materiale d’ascolto nello stesso modo.
Questo articolo, quindi, ha brevemente cercato di sostenere che, quando viene applicata l’accezione forte dell’aggettivo “autentico” sia al materiale ricettivo adoperato in classe sia al comportamento incoraggiato negli studenti rispetto a questo materiale, finalmente i discenti di lingua eserciteranno direttamente l’abilità di “pragmaticamente applicare contesti extralinguistici in contesti linguistici” (Oller, p. 19), che è il nodo di tutta la questione.
Bibliografia
Abbs, B., Freebairn, I. 1979 Building Strategies, Longman.
Brown, Gillian 1978 Listening to Spoken English, Longman.
Crystal, D., Davy, D. 1975 Advanced Conversational English, Longman.
Dakin, J. 1973 The Language Laboratory and Language Learning, Longman.
Luzi Catizone, R., Piva G., Humphris, C. 1981 Comunicare subito, Edizioni Dilit.
Oller, John W., Jr. 1979 Language Tests at School, Longman.
Underwood, Mary 1976 What a Story, Oxford University Press.
Wilkins, D.A. 1974 Second Language Learning and Teaching, Arnold.
Wilkins, D.A. 1976 National Syllabuses, Oxford University Press.