Un laboratorio sull’autovalutazione
Durante il laboratorio abbiamo presentato tre forme di autovalutazione. L’obbiettivo era quello di stimolare i partecipanti a riflettere su come, se e perché sia utile portare lo studente ad autovalutarsi.
Primo esempio di autovalutazione: la lettera
Il primo foglio, da noi distribuito, era una lettera di uno studente. Paul, l’autore della lettera, era arrivato a scuola da due giorni quando consegna all’insegnante con cui condividevo la classe il foglio in questione. Vi erano esposte tutte le sue difficoltà in maniera a dir poco esaustiva, e chiedeva esplicitamente di cambiare livello.
Voglio cambiare livello a 2° o 1°, perché ho intrapreso questo corso per potere parlare e capire (cioè, capire la lingua parlata puitosto che scritta).
Sfondo: ho insegnato francese e latino, perciò capisco bene per esempio i tempi di verbi nell’astratto, ma non conosco ne le forme ne le parole in Italiano. Devo cercare in dizionari e nelle liste grammatice prima di potere dire frase elementari come:
- “andavano alla stazione”
- “sto cercando un negotio”
- “quali cibi … [non “ti” ma 2° persona plurale] piacono?”
- “domani andr… [non “-o” ma 1° persona plurale, futuro] alla catacomba.”
Anche per il sesso dei sostantivi, le forme dei aggettivi, eccetera. E anche per le parole elementare: coltello, strada, edificio, ecc.
Perche mi manca tutti questi, soltanto raramente posso intrare in conversazioni durante la lezione, a alla pausa.
Ho studiato Italiano soltanto da cassette, generalmente soltanto ascoltando, e non in modo regolare e logico ma saliendo da qui a la senza capire o ricordare molte cose. Dunque, qualche volta io so una cosa “avanzata”, mentre non so le cose elementari.
Anche generalmente mi e ancora difficile capire che cosa e detto par l’altra persona nelle conversatione e nelle lezione… molto più difficile che capire le lezione scritti.
Dunque, perché sto studiando per imparare udire e parlare, domando di scendere al livello 2° o 1° per potere imparare e praticare da baso la lingua orale.
La mia competenza nelle esserciti letti o scritti e ingannante (?) – cioè, puo far pensare che io so molto piu che quello che in verità so.
[firma]
Paul
Che fare?
Ne ho discusso con alcuni colleghi e siamo arrivati alla stessa conclusione. Dovevo parlarne insieme a lui, esporgli chiaramente la mia opinione in proposito cercando però di non dargli l’impressione di sminuire la sua accurata autoanalisi. Ne è seguito un incontro in cui gli ho chiarito le mie ragioni per le quali credevo che lui potesse e dovesse restare in quella classe. Ma non c’era niente da fare. Per lui era entrato in gioco un elemento fondamentale che non aveva niente a che fare con il corso di lingua in sé. Si sentiva insicuro, la situazione in classe era insostenibile dal punto di vista emotivo e quindi mi richiedeva espressamente di accogliere la sua richiesta. E così l’ho accontentato, tra mille dubbi, chiedendomi se avevo fatto bene o se avrei dovuto insistere di più. Alla fine della settimana, Paul mi ha cercato, voleva riparlarne. Quei giorni ad un livello inferiore gli erano serviti, aveva capito che poteva affrontare il livello più alto. E allora è tornato.
Ai partecipanti al laboratorio abbiamo chiesto di leggere la lettera e poi di discutere in piccoli gruppi su che cosa avrebbero fatto loro al posto dell’insegnante.
Secondo esempio: i disegni
Quest’attività è stata proposta ad un primo livello, alla terza settimana. L’insegnante ha consegnato il foglio con l’istruzione “fai un disegno per far capire come ti senti durante lo studio della lingua italiana.” Gli studenti hanno chiesto delle spiegazioni su alcune parole chiave dell’istruzione. Hanno poi disegnato per 20 minuti. Alla fine l’insegnante ha ritirato i disegni. A quel punto gli studenti, a coppie, si sono scambiati le loro impressioni sull’attività cercando di spiegare al partner il loro disegno.
Durante il laboratorio abbiamo consegnato ad ogni gruppo, formato da tre/quattro persone, i disegni in questione invitando ad osservarli. Dopo di che dovevano discutere su come si sentivano da insegnanti.
Pur nella piena consapevolezza che ogni disegno prodotto ha la propria unicità e carica espressiva, ne ho scelto uno che a mio parere dimostra una notevole consapevolezza del discente. Che ne pensate?
[inserire foglio “Antonella”]
Terzo esempio: produzione libera orale
Ho proposto quest’attività ad un livello avanzato, in un corso non intensivo. Le partecipanti erano in Italia da molto tempo, per lavoro o per studio.
Partendo da un articolo letto in classe dal titolo ‘Nemica grammatica’ in cui venivano analizzati i differenti stili cognitivi, gli avevo dato un compito da svolgere a casa, riflettere sulla domanda: che tipo di studente sei? Ne è scaturita un’interessante discussione (che ho registrato) sulle opportunità di sfruttare al meglio le loro capacità. Alcune di loro hanno fatto un confronto tra come avevano imparato la prima lingua straniera nel loro paese e l’italiano in Italia. Il denominatore comune, nella discussione, era sicuramente la scioltezza con cui affrontavano questi temi e soprattutto il forte interesse a scoprirsi in qualità di discenti. La settimana seguente, due di loro, mi hanno consegnato un foglio in cui avevano annotato i punti salienti della loro riflessione. È stata una piacevole sorpresa. Era evidente che avevano ancora molto da dirmi.
Ai partecipanti è stata consegnata la trascrizione di un brano, tratto dalla produzione orale, a cui è seguito l’ascolto.
Trascrizione
A: Io, per esempio, ho imparato l’inglese e il francese, in modo tradizionale diciamo. Ho preso i libri, ho studiato a scuola, dove si fa soprattutto la grammatica e quando sto in Francia o in Inghilterra, ho problemi d’esprimermi nella vita quotidiana. Invece l’italiano l’ho imparato parlando e qui non ho problemi d’esprimermi.
B: Ma guarda, secondo me questo…
A: E ho imparato la grammatica italiana los stesso.
B: Sì, certo.
A: Parlando, ascoltando, imitando.
C: E non hai problemi per scrivere?
A: No.
B: Certo, ma forse…
D: No, io così non posso imparare la grammatica. Per imparare la grammatica ho bisogno di qualcosa di scritto e devo vedere le cose, le forme, devo vedere come funzionano.
A: Certo che a un certo punto anche ho cominciato di leggere i giornali, di guardare la televisione dove si parla come si scrive,
a grammatica corretta.
D: Sì, però soltanto ascoltando non posso memorizzare le cose, anche se le ascolto due, tre, quattro volte non mi rimangono in mente. Devo, quando…
A: Le forme no, ma il modo di usarle. Le forme certo che le ho studiate ma il modo di usarle. Per esempio ho capito meglio come si usa il congiuntivo, come si usa il condizionale quando l’ho sentito parlare.
A questo punto del laboratorio, dopo aver presentato le diverse proposte di autovalutazione, abbiamo distribuito il seguente foglio in cui abbiamo cercato di riassumere sotto forma di domande alcuni degli obbiettivi e dei rischi nello stimolare l’autovalutazione dello studente. Il compito per i partecipanti era quello di discutere, in gruppo, su ogni singolo punto e di confrontare le loro esperienze a tale riguardo. Dopo la consultazione è seguita una breve ma interessante discussione in plenum.
CHE NE DICI?
“The very idea of self-assessment is a contradiction in terms. How can an individual learner be expected to take an objective view of his or her own attainment without succumbing to the temptation to cheat? The whole idea is ridiculous!” [“L’idea stessa di autovalutazione è una contraddizione in termini. Come si può credere che il singolo discente abbia una visione obiettiva del proprio progresso senza cadere nella tentazione di imbrogliare? E’ ridicolo”].
(da “Self-instruction in Language Learning” di Leslie Dickinson,1987 Cambridge University Press)
- Autovalutazione per alzare/abbassare il livello di tensione/frustrazione
- Autovalutazione applicabile alle svariate situazioni scolastiche e metodologie didattiche
- Autovalutazione: la strada verso l’autonomia?
- Autovalutazione: autorivalutazione delle proprie capacità?
- L’autovalutazione fa bene / fa male allo studente
- La consapevolezza dello studente fa bene / fa male all’insegnante?
Impressioni, commenti e conclusioni
Nel plenum sono scaturite alcune riflessioni interessanti che vorrei qui riportare perché credo che per quanto riguarda il tema ‘autovalutazione dello studente’ più domande ci facciamo come insegnanti, più dubbi vengono fuori e più ci rendiamo conto dei ‘limiti’ della valutazione in genere. Molti partecipanti hanno trovato utili i disegni. E’ innegabile infatti che il disegno può essere un mezzo molto efficace per superare, soprattutto all’inizio, le barriere linguistiche di ogni sorta e che invece, a scuola, viene poco sfruttato. Ma per altri, invece, i disegni da noi presentati, avevano il limite esprimere impressioni stereotipate. E quindi suggerivano di adottare delle tecniche di disegno con cui lo studente arriva veramente ad aprirsi e a raggiungere un alto livello di autoconsapevolezza.
Tanti i dubbi sulla lettera, il nostro primo esempio. Per alcuni non è stato facile immaginare un loro possibile comportamento di fronte ad uno studente del genere. Altri invece hanno vissuto male le sue paure. “È un S.O.S. drammatico – l’ha definita qualcuno – ma non mi avrebbe fatto piacere riceverla”. Alcuni partecipanti, invece, nutrivano delle forti riserve sull’applicabilità, soprattutto nella scuola pubblica, di attività di questo tipo.
Allora, l’autovalutazione fa bene all’insegnante?
Io credo proprio di sì. Egli infatti si deve abituare ad avere più fiducia nella soggettività dei giudizi da parte degli studenti. È l’insegnante colui che deve essere in grado di riconoscere lo studente che vuole più spazio e che non vuole barare.