Sentimenti e vissuti nelle nuove esperienze
Nel trattare il tema assegnatomi mi riferirò al modello psicoanalitico, in particolare alla scuola inglese che attraverso M. Klein e l’opera di Bion, Money Kyrle, Meltzer è venuta approfondendo e innovando alcuni presupposti freudiani.
Su questo sfondo va precisato che quando viviamo una nuova esperienza, iniziamo un nuovo lavoro, intraprendiamo un nuovo ciclo di studi, una nuova relazione, diventiamo genitori, cambiamo casa, città ecc., l’incontro con la nuova realtà è mediato dal nostro mondo interno. In altri termini, come in ogni percorso di apprendimento, quando entriamo in contatto con gli oggetti che popolano la nuova realtà (persone, cose, luoghi e contesti) non sono chiamate in causa solo funzioni intellettive, abilità e scelte strategiche consapevoli. Il modo in cui percepiamo il nuovo e lo rappresentiamo dentro di noi è influenzato dal nostro mondo interno ovvero da emozioni, affetti, fantasie, immagini anche molto concrete, paure e sensi di inadeguatezza, speranze spesso onnipotenti, teorie su noi e sul mondo anche molto primitive e confuse.
È necessario dunque tenere presente che soprattutto gli allievi principianti, sia pure con differenze soggettive, sperimentano il nuovo corso di studi attraverso emozioni e vissuti così intensi da influenzare le possibilità di pensiero, concentrazione e memoria.
In questo senso, le stesse possibilità di impegnarsi e perseverare nello studio di una nuova lingua vanno al di là delle intenzioni o delle doti intellettive degli allievi poiché le cosiddette capacità e abilità si collegano ad aspetti profondi, spesso inconsci, dell’individuo, a come sono state rappresentate nel mondo interiore figure genitoriali ed esperienze evolutive, a fantasie inconsce (“motore primo sia del pensiero che dell’azione”, Melzer, Harris, 1983); tutti elementi psichici che rimandano alle primitive vicende relazionali che il soggetto ha vissuto, in primo luogo con il primo oggetto di conoscenza, la madre.
In altre parole il modo in cui l’allievo è portato a vivere le richieste di una nuova esperienza di studio è costantemente influenzato dai modelli di funzionamento mentale che hanno caratterizzato la sua prima relazione con la figura genitoriale (Bion, 1972). La psicoanalisi ha dimostrato che in qualunque periodo della vita la conoscenza non è un fatto automatico, ma l’individuo che intraprende un percorso di apprendimento si ritrova a sperimentare comunque la dipendenza da un sapere che non gli appartiene ancora. Qualcosa che è esterno, ma al tempo stesso può essere introiettato, qualcosa che non basta desiderare perché possa diventare patrimonio del soggetto, qualcosa che affascina e attrae ma spaventa al tempo stesso proprio come avviene nel rapporto madre-bambino (Blandino, Granieri, 1995). Lo spazio mentale, cognitivo e affettivo, che separa l’allievo principiante dalla nuova esperienza (in quanto ancora da conoscere), può essere attraversato con fiducia, speranza e tollerando la frustrazione, o con rabbia e invidia, o vivendo come nemico l’oggetto da conoscere proprio come capita al bambino nel rapporto con il latte della mamma (Klein M., 1935).
Non a caso, l’esperienza fisica ed emotiva evocata dall’incontro con una situazione nuova ha una natura primitiva al punto di assomigliare a quella dei neonati e dei bambini molto piccoli: emozioni e vissuti, spesso inconsapevoli, sono sperimentati attraverso stati fisici primitivi come sensazioni di freddo, tremori, eccitazione. Un’esperienza fisica ed emotiva legata al sentirsi, come al momento della nascita, spinti fuori da un ambiente familiare (Bion, 1972, Saltzberger-Wittenberg, Henry-Polacco, Osborne, 1983).
D’altra parte, lo studio di una lingua straniera richiede sin dall’inizio allo studente di comunicare con gli altri secondo un codice linguistico di cui conosce molto poco. Non sono solo in gioco abilità e capacità di fonazione e di memorizzazione, ma l’allievo principiante si sente, sin dall’inizio, esposto e valutato come persona in un ambiente di apprendimento dove non solo sono poco noti i contenuti ma anche i partners, i compagni e i docenti. L’allievo che deve imparare a esplicitare, ad es. parlando, le proprie conoscenze linguistiche, davanti ai docenti e al gruppo dei compagni, si confronta inevitabilmente con i limiti dei suoi prodotti linguistici. In questo senso le difficoltà di iniziare un corso di studi di lingua straniera sono accentuate dal fatto che l’iter di apprendimento sin dall’inizio coincide con l’iter valutativo. La necessità di un continuo feedback in itinere da parte dell’insegnante espone immediatamente l’allievo anche alle difficoltà emotive legate alla valutazione (Blandino, Granieri, 1995).
Quindi non solo gli allievi si sentono lontani da ciò che è familiare fisicamente, mentalmente ed emotivamente e tendono e sentirsi disorientati, ma si sentono anche immediatamente sottoposti a valutazione, giudicati. È possibile che provino l’angoscia di non valere niente, di essere inadeguati come persone. Ciò esalta aspetti di estraneità e disorientamento peraltro già legati alla novità dell’esperienza.
Insomma, è particolarmente difficile per un allievo principiante sperimentare l’incertezza dell’ignoto e attraversare quello spazio indefinito che ci separa dal sapere, uno spazio dove le precedenti cognizioni si rivelano inutili e il desiderio può contribuire alla confusione. Si tratta di sopportare una sorta di salto nel vuoto dove il soggetto non può avere la certezza che le proprie risorse possono aiutarlo a raggiungere quello che confusamente intravede come qualcosa che può generare possibilità più ricche di vita. Quante volte, ad esempio, anche l’adulto rimane intrappolato in situazioni professionali o affettive che razionalmente riconosce come asfittiche e fonte di malessere. Poter arrivare a contesti più adeguati e soddisfacenti richiederebbe, infatti, il dolore di avviarsi per strade nuove e sconosciute e questo, anche per un adulto, è molte volte qualcosa di terrorizzante.
Così per l’allievo iniziare ad apprendere una nuova lingua è pur sempre qualcosa che lo espone a vissuti di paura e di inadeguatezza e lo fa sentire nudo di fronte all’esperienza. La sensazione è quella di non ritrovare dentro di sé alcun sapere a cui aggrapparsi per capire come muoversi fra nuove regole e ambiti linguistici. Tollerare ed elaborare questi vissuti presenta difficoltà cognitive, ma soprattutto emotive poiché ciò che non si conosce ancora è vissuto come qualcosa di informe e non mentale, bizzarro e cattivo, qualcosa che dà angoscia e che non sempre la mente riesce a tollerare dentro di sé. Nella misura in cui l’allievo potrà confrontarsi con questo dolore mentale sarà possibile perseverare nell’esperienza di studio.
È evidente, quindi, che gli allievi iniziano lo studio di un codice linguistico diverso da quello già conosciuto hanno bisogno non solo di strumenti cognitivi ma anche di strumenti emotivi, vale a dire devono poter ritrovare in sé un certo grado di equilibrio interno. Questo si basa su un patrimonio di buone esperienze che aiutano a superare la tempesta di emozioni evocate dall’ignoto e sulla fiducia che le proprie risorse interne possano venire in soccorso in questa situazione. Tale equipaggiamento interno è diverso per ognuno di noi e dipende appunto dalle nostre vicende relazionali, da quanto nel proprio passato personale, nella propria storia infantile non si siano patite frustrazioni troppo dolorose tali da impedire di poter avere un minimo di fiducia nelle rinnovate possibilità di vita e di incontro presenti in un esperienza nuova.
Talvolta, nell’allievo, vi è la paura – inconscia naturalmente – di provare sentimenti distruttivi come l’invidia, l’odio, e la rabbia che sono legati alla difficoltà di tollerare la frustrazione di non sapere subito se si sarà adeguati alla nuova esperienza e se questa sarà abbastanza soddisfacente e remunerativa. Questo porta il soggetto a cancellare ogni vissuto, ogni coinvolgimento emotivo o a rifiutare di proseguire l’esperienza. È una sorta di patto con il diavolo: per non sentire l’odio, il panico della confusione, si congelano anche sentimenti costruttivi come la curiosità, l’amore, la speranza di arrivare al sapere.
D’altra parte, il non voler pagare il prezzo emotivo insito in un processo di apprendimento autentico è qualcosa che riguarda anche le istituzioni scolastiche che trascurano la dimensione emotiva e relazionale della conoscenza e privilegiano rigidità e stereotipie burocratiche. Non a caso o mancano completamente momenti e attività dedicate all’accoglienza dei nuovi allievi e questa si riduce a un monologo dell’istituzione che presenta le proprie regole e consuetudini, dove il riferimento ad un modello dato difende dal pericolo del nuovo o meglio dei “nuovi”.
E qui il discorso si allarga ad esplorare la funzione dei docenti. Se l’esperienza iniziale di contatto con una nuova lingua presenta non solo difficoltà cognitive ma soprattutto difficoltà emotive come possono gli insegnanti aiutare i propri allievi a contenere ed elaborare paure e vissuti implicati?
Si è detto che all’inizio di una nuova esperienza di studio, la situazione è percepita come non strutturata poiché lontana da ciò che ci è familiare fisicamente, mentalmente, emotivamente. È certo utile, quindi, far conoscere la scuola come luogo fisico ricco di determinate strutture, laboratori, spazi di apprendimento ed esplicitarne obiettivi, percorsi, richieste, regole e riti. Non è sufficiente, però, tentare di rendere più strutturata la percezione del nuovo contesto lavorando solo ad un livello razionale se parallelamente non si lavora con gli allievi anche intorno agli aspetti emotivi che caratterizzano l’esperienza stessa. Infatti iniziare un nuovo corso di studi è un’esperienza nuova e ricca di prefigurazioni fantastiche che, spesso, intervengono nella percezione del nuovo ambiente scolastico rendendo più difficile un adeguato rapporto con i nuovi insegnanti, con i nuovi compagni e con le nuove esperienze di apprendimento.
Si tratta, pertanto, di aiutare gli allievi a esplorare e narrare i sentimenti sperimentati in un’esperienza che espone ad una realtà che sfugge alla sicurezza del familiare e del posseduto; questo permette di dare un nome all’angoscia e alle emozioni, in un certo senso consente di riconoscerle e comprenderle. Dare un nome, infatti, aiuta l’allievo a transitare da un’area mentale nebulosa e di solitudine ad una zona dove le ansie possono essere tollerate, capite e condivise. Le parole sembrano agire come quegli oggetti (il succhiottino, l’orsacchiotto di pelouche, il ricordo della favola letta dalla mamma) che possono tranquillizzare il bambino piccolo prima di addormentarsi o quando si separa dalla mamma poiché fanno da ponte fra la mamma che non c’è più e la possibilità non ancora autonoma di affrontare da solo la notte sconosciuta (Blandino, Granieri, 1995). È questo lavoro mentale cognitivo ed emotivo insieme che può consentire agli allievi, da una parte, di non essere sopraffatti dai vissuti più difficili e, dall’altra, di iniziare ad esaminare la situazione con l’aiuto degli aspetti più adulti della personalità in modo da contrastare paure e ansie primitive che spesso impediscono un risposta adeguata alle richieste di realtà.
Può essere utile, quindi, destinare dei momenti a far parlare gli allievi della propria esperienza emotiva nei momenti iniziali in cui stanno avventurandosi in un nuovo corso di studi, pur tenendo presente che è difficile, anche per l’insegnante, riuscire a trovare le parole e le forme espressive utili ad esprimere gli aspetti indefiniti e senza forma delle fantasie interne dell’allievo le quali influenzano tanto più l’esperienza scolastica quanto più rimangono inespresse e inconsapevoli.
La presenza e la funzione di ascolto dell’insegnante è fondamentale. Il docente offre, infatti, una mente adulta che struttura un ambiente di ascolto e di apprendimento più sicuro dove gli allievi possono confrontarsi anche con i loro compagni, che vivono una situazione simile. La possibilità di aiutare l’alunno a verbalizzare i sentimenti, anche quelli negativi di inadeguatezza, rabbia, perdita, gelosia, e le dinamiche emotive che sembrano evidenziarsi può contribuire a rendere meno opprimenti le fantasie persecutorie implicate nell’apprendimento. Grazie al contenimento offerto dall’insegnante, l’allievo, infatti, sperimenta che anche i vissuti più difficili possono essere portati fuori dal proprio mondo interno e condivisi con altri che forse li comprendono. Parallelamente, può riconoscere i propri sentimenti anche attraverso le parole dei compagni.
È questa possibilità di maggior contatto con le proprie emozioni e fantasie che permette di pensarle, tenerle nella mente mitigandone gli aspetti più difficili e distruttivi quelli che impediscono un’interazione più realistica con la nuova esperienza e con i propri desideri, aspettative e speranze.
Se si leggono i resoconti relativi ad esperienze formative e scolastiche in cui è stata offerta ai soggetti coinvolti in una nuova esperienza, adulti o bambini di scuola elementare, si può osservare come le paure e le aspettative siano centrate su di sé, sull’istituzione, sull’autorità e sul gruppo-classe (Saltzberger-Wittenberg, Henry-Polacco, Osborne 1983; Blandino, Granieri, 1995). In particolare si rileva un’oscillazione fra fantasie di inadeguatezza e pericolo e fantasie di segno opposto che idealizzano i nuovi spazi, le nuove attività, i nuovi docenti quasi a sostenere le motivazione ad esplorare il nuovo percorso di conoscenza nonostante le difficoltà.
Vi è la sensazione di sentirsi persi, confusi e inadeguati, come se il proprio bagaglio interno di competenze ed esperienze possa rivelarsi improvvisamente svuotato inutilizzabile rispetto alle richieste della nuova esperienza. “Non sapevo dove andare, anche quando la segretaria me lo ha detto ho aperto le porte sbagliate” “Sento un senso di isolamento e sono contento che le sedie quasi si tocchino una con l’altra e che la stanza sia così piccola”, “Volevo avvicinarmi al mio vicino in modo da sentirmi meno tagliato fuori” “Mi sento ignorante e stupido e mi domando perché sono stato scelto” “Mi sono sentito in imbarazzo, arrivando in ritardo ho pensato che lei potesse essere arrabbiata” dicono alcuni insegnanti alla formatrice, all’inizio di una esperienza di formazione (Saltzberger-Wittenberg, Henry-Polacco, Osborne 1983). Aspetti che riguardano anche i bambini che nei primissimi giorni di scuola evidenziano insicurezza e disorientamento nei corridoi, stati di sonnolenza, regressione nelle acquisizioni concettuali e dell’autonomia. Sensazioni e vissuti di pericolo e paura sono espressi anche dalle fantasie sulla scuola “A scuola ci sono le classi, i banchi, tanti bambini, anche bambini cattivi…” “A scuola, ho paura di trovare i serpenti, mi fanno schifo i serpenti…” Altri raccontano sogni di terrore “…c’era un mostro gigante e io lo attaccavo… lo colpivo in un occhio! Lo attaccavo con un’arma e lui moriva.” “…stavo dormendo, ero dentro al letto, poi sono andato all’inferno… c’era il diavolo, era come uno scheletro, aveva la testa di uno scheletro con due corna… Aveva certe unghie quando se le infilava dentro si faceva i buchi, mi ha preso il cuore e sono morto…” Claudia racconta di aver pensato di “…trovare a scuola maestre cattive che danno bacchettate in testa”, Davide dice: “Non vorrei essere messo in castigo”. Daniel confessa: “Ho paura di non saper fare le cose, colorate sì, ma il resto non lo so” (Blandino, Granieri, 1995).
Parallelamente si evidenziano aspetti costruttivi di fiducia e speranza. “Le aule sono grandi, hanno un bel pavimento, i banchi sono messi a ferro di cavallo”, “La scuola è bella proprio come l’avevo sognata… si imparano tante cose nuove” “…si trovano nuove maestre e nuovi compagni” “A scuola è meglio perché le maestre spiegano meglio, all’asilo parlavano in fretta e io non sentivo nulla.” dicono i bimbi. Così un insegnante dice alla formatrice “Ho provato sollievo quando lei è entrata e ha preso in mano il controllo della situazione, ho pensato che essere in un grande gruppo senza leader mi fa paura”.
Paradossalmente gli “adulti”, genitori e insegnanti, spesso contribuiscono a incrementare i vissuti difficili degli allievi evidenziando le difficoltà della nuova scuola e sottolineando la necessità di doti di perseveranza e applicazione. Argomentazioni che allontanano e soffocano l’accoglimento e la comprensione degli aspetti più fragili della personalità degli allievi, paradossalmente proprio quelli che noi sappiamo essere implicati nei primi momenti di un’esperienza importante di apprendimento.
In realtà, anche per i docenti iniziare un nuovo percorso di studi con nuovi allievi è qualcosa che evoca disagio e mette in ansia. Anche i docenti non sanno come sarà la nuova esperienza e non conoscono le persone con cui lavoreranno. Così, temono che i nuovi allievi possano o vogliano metterli in difficoltà, che siano oppositivi o poco interessati. D’altra parte hanno l’aspettativa magica e inconscia di incontrare allievi molto capaci e interessati con cui riuscire a costruire quei percorsi e prodotti che non è stato possibile elaborare con gli allievi precedenti.
L’incontro non può in questo senso che essere deludente e confermare l’estraneità e la distanza di questi nuovi interlocutori, lontani e diversi dagli allievi già fantasticati e incontrati.
In questo senso per poter aiutare gli allievi a comprendere ed elaborare vissuti e sentimenti affinché questi non ostacolino la nuova esperienza, gli insegnanti devono rimanere vicini anche alle proprie emozioni e fantasie. Poter comprendere infatti che, anche come insegnati, pur difesi da un ruolo, possiamo vivere l’incontro con gli allievi come una minaccia per la nostra stabilità interna e per la nostra sicurezza può aiutare a identificarci con quello che provano gli allievi.
Non poter avvicinare e ascoltare le proprie emozioni porta l’insegnante a difendersi. Il nuovo corso di studi e l’incontro con i nuovi allievi non potranno quindi essere intesi e modulati come dei nuovi ed arricchenti momenti della propria vita ma ridotti a una ripetizione sterile, ma rassicurante, di esperienze passate, in modo da non dover fronteggiare la paura del nuovo e dei cambiamenti.
Bibliografia
Bion W. R. (1962) Apprendere dall’esperienza, Armando, Roma, 1972.
Blandino G., Granieri B., La disponibilità ad apprendere, Cortina, Milano, 1995.
Klein M. Scritti, 1958, Boringhieri, Torino, 1978.
Meltzer D., Harris M., (1983) Il ruolo educativo della famiglia: un modello psicoanalitico dei processi di apprendimento, Centro Scientifico Torinese s.r.l., Torino, 1986.
Money-Kyrle R. (1965), Successi e fallimento nella maturazione mentale, in Scritti, Loescher, Torino, 1985.
Money-Kyrle R. (1968), Sviluppo cognitivo, in Scritti cit.
Wittenberg I., Polacco G., Osborne E. (1983), L’esperienza emotiva nei processi di insegnamento e di apprendimento, Liguori, Napoli, 1987.